23 Giugno 2020
filosofemme.it

Ida Dominijanni: soggetto politico, soggetto dell’inconscio

di Alice Pinotti


Filosofemme è un progetto in rete e sui social, nato da un gruppo di giovani filosofe che nutrono la loro passione col pensiero e la voce delle donne. Nei due articoli ripresi qui, Alice Pinotti dialoga idealmente con Ida Dominijanni su filosofia, inconscio, pratiche politiche femministe. Non anticipiamo altro, solo ricordiamo che il recente libro «La carta coperta» (Moretti e Vitali, Bergamo 2019) sta proprio sul crinale di filosofia, psicanalisi e femminismo.
La redazione


Parte I – 22 giugno 2020

Eccoci di nuovo qui a parlare del nuovo incontro di CONTRA/DIZIONI che ha avuto come protagonista la giornalista e filosofa Ida Dominijanni. Nello specifico, la discussione si è svolta attorno a due suoi testi: Soggetto dell’inconscio, inconscio della politica e Pratica dell’inconscio, inconscio della pratica (1).


Il primo testo nasce da una domanda molto antica: che cosa la politica apprende e cosa invece non riesce ad apprendere dalla psicoanalisi?

In che rapporto stanno questi due saperi che, pur condividendo per certi versi una storia di interessante parallelismo nella modernità, non si parlano?

C’è infatti una sordità della politica, sia come prassi che come filosofia politica (ma anche della filosofia in generale) alla questione molto perturbante della costituzione anche inconscia del soggetto. La politica, infatti, lavora da sempre sul presupposto di un soggetto interamente razionale che si associa razionalmente agli altri soggetti attraverso la costituzione di un patto sociale: in questo modo prende vita la Politica stessa, considerata però come il prodotto razionale e artificiale di un soggetto a sua volta razionale e dotato di volontà. Questa concezione del soggetto è però incompatibile con quella freudiana, che a quello razionale aggiunge l’elemento essenziale dell’inconscio, del desiderio, delle pulsioni: non sempre positive e non del tutto dominabili razionalmente.

Se negli anni ’70 c’era un’apertura del pensiero politico verso l’inconscio e la psicoanalisi, essa si è poi paradossalmente chiusa con l’avvento del capitalismo neoliberale.

È questo un paradosso, perché è proprio questo tipo di capitalismo ad essersi accorto della pluridimensionalità del soggetto, cominciando a sfruttarla a suo vantaggio e investendo non più solamente sul soggetto razionale, ma soprattutto su quello dell’inconscio: il sistema capitalistico, infatti, funzionafacendo leva sui desideri individuali e traducendoli in desideri consumistici – ovvero di un oggetto o dell’altro, ma sempre inteso come oggetto e mai come persona – per proporre infine una soddisfazione mercificata del desiderio. Lo si vede bene guardando al funzionamento dei social network: essi lavorano infatti facendo leva sull’elemento emozionale, istintuale e irriflessivo dei loro utenti, che si esprime attraverso la modalità del like o delle reazioni, ovvero emozioni molto primarie che spesso rispondono a istanze non consapevoli (inconsce o preconsce, ma quasi mai razionali). 

Un primo interrogativo che lega dunque i due testi di Dominijanni è come il rapporto con la dimensione inconscia del soggetto sia stato spesso mancato dalla politica della trasformazione (quella che in teoria dovrebbe essere rappresentata dalla sinistra), e come esso sia stato invece utilizzato dalla parte opposta, che ben si adatta alle ideologie capitaliste contemporanee, e come allora questa dimensione inconscia della soggettività operi nella politica.

Per spiegare meglio che cosa ciò implichi nel concreto, Dominijanni propone una riflessione sull’attualità: a fronte della situazione inedita creatasi a causa di questa pandemia, sarebbe infatti interessante interrogarsi sul futuro (e sarebbe bene che lo facessero soprattutto le pratiche politiche) tenendo in considerazione le conseguenze che questa situazione ha causato sull’inconscio.

Questo significa, per esempio, indagare le paure e le fobie profonde che sono emerse da questa condizione di pericolo, che molto probabilmente avranno a che fare con l’impatto con la morte ridotta a un problema di smaltimento dei cadaveri, che ci ha privato della possibilità di avere un compianto pubblico e un’elaborazione adeguata del lutto. In che modo tutto ciò ha cambiato in profondità noi stessi? Secondo Dominijianni, questa è una dimensione che andrebbe indagata per capire come si potrebbe renderla produttiva politicamente; altrimenti essa diventerà sì produttiva, ma in modo “selvaggio”, causando atti sociali di rancore, rabbia e colpevolizzazione nei confronti dell’ordine costituito a cui in parte abbiamo già assistito in questi mesi.In altri termini, una ribellione nei confronti del potere.

A questo proposito è utile chiederci: qual è la vita psichica del potere e quali sono i dispositivi psicologici e inconsci attraverso i quali noi accettiamo il potere? Perché e in base a cosa accettiamo di essere governati oppure ci ribelliamo al potere?

Per rispondere bisogna prima di tutto uscire dal dualismoche contrappone un potere delle dinamiche sociali positivo, estroverso e riconoscibile, a una dimensione oscura e criptata dell’inconscio. Si tratta di capire attraverso quali dispositivi psichici e inconsci noi accettiamo o contestiamo la normatività sociale: questa è la forza dell’inconscio. Basti pensare al ruolo fondamentale che esso ha avuto nell’adesione ai totalitarismi, come ha fatto notare la psicoanalisi ma anche altre studiose, tra cui Hannah Arendt e Simone Weil: perché, in determinate circostanze storiche, gli esseri umani accettano di sottostare a un dominio che li mortifica, li reprime e li violenta? Attraverso quali dispositivi? E, parallelamente, perché a un certo punto ci si ribella? 

Se vogliamo iniziare a ragionare e a lavorare sulla soggettività politica come soggettività fatta sia di ragione che di processi inconsci, possiamo cercare di capire in che modo l’inconscio è coinvolto nelle dinamiche sociali e politiche. Questo vuol dire, per esempio, cercare di capire come mai la normatività eterosessualeè stata ed è ancora dominante: cosa ce la fa accettare e cosa invece ci fa ribellare? Qual è la capacità di ribellione creativa che ha il nostro inconscio per far sì che noi ci ribelliamo alla norma? Anche di questo si occupano le pratiche femministe: di questo, però, parleremo meglio nel prossimo articolo.


Parte II – 23 giugno 2020

Nell’articolo di ieri abbiamo avuto modo di riflettere su come la dimensione inconscia della soggettività operi nella politica; ora, invece, ci interrogheremo sul rapporto tra l’inconscio e il pensiero femminista. Per farlo partiremo dunque dal secondo testo di Ida Dominijanni su cui si è concentrato l’incontro di CONTRA/DIZIONI, ovvero Pratica dell’inconscio, inconscio della pratica. Come quello precedente, anche questo testo parte dalla ricostruzione del nesso tra pratica politica e pratica psicoanalitica, nesso che il Femminismo (soprattutto quello italiano, ma non solo) ha sempre tenuto molto in considerazione.


Tuttavia, qualcosa è cambiato: anche nella trattazione femminista, infatti, risulta la tendenza a fare a meno degli interrogativi sull’inconscio. E invece è importante sottolineare che il Femminismo nasce proprio da una pratica di rapporto con esso.

Ci si domanda allora: considerando che oggi l’inconscio è messo al servizio del sistema capitalistico per la sua implementazione (per esempio attraverso la pubblicità) anziché per la creazione di strategie che lo rivoluzionino, il femminismo di ultima generazione è ancora interessato ad approfondire il percorso di scoperta e valorizzazione del desiderio e dell’inconscio?

Quello che si può fare (e che dovrebbero fare a maggior ragione le pratiche femministe) è provare a tenere sempre più conto dell’esistenza di una dimensione inconscia della soggettività che è sempre presente in maniera inconsapevole e che dunque può essere fonte di “sorprese”. Non si tratta per forza di sorprese negative e traumatiche, come si tende a pensarel’inconscio infatti è anche il luogo della creatività, dell’insorgenza, del desiderio che spiazza rispetto alla volontà.


Dunque, dal momento che questa dimensione – invisibile ma costante – entra necessariamente a far parte dell’agire politico, bisognerebbe lasciarla libera di esprimersi e di agire per la trasformazione.

Una particolare tipologia di desiderio su cui il Femminismo ha posto l’accento è il desiderio erotico: tutto il movimento, infatti, è partito dal riconoscimento di un elemento erotico che c’era nello stare tra donne, nel senso di un desiderio lesbico, ma anche nel senso più lato del termine, ovvero il piacere di stare insieme tra donne, di dare valore all’altra, di non essere misurate dal desiderio maschile.

Tutti questi desideri sono stati la spinta iniziale della nascita del Femminismo e sono tutt’ora vie di contestazione dell’ordine dominante nonché segnali precisi che i nostri corpi ci mandano e che, in quanto tali, hanno un’enorme valenza politica

Come aveva fatto per spiegare come l’inconscio influisca sull’agire politico, Dominijanni lega questi argomenti col nostro presente: che cosa succede all’erotismo in una situazione dominata dalla paura del contagio? Il distanziamento sociale, infatti, è distanziamento fisico, e questo può avere delle conseguenze enormi dal punto di vista della perdita del contatto con l’altro. Per questo motivo c’è un grande bisogno di parlarne in questo momento, soprattutto per i soggetti più giovani.


Ed è importante farlo partendo dal linguaggio, perché esso non è mai soltanto razionale: il linguaggio è ciò attraverso cui l’inconscio trapela, sempre, al di là della volontà del soggetto.

Questo lavoro comprende anche l’invenzione di nuovi significanti. Un esempio di significante inedito creato dal femminismo è, primo tra tutti, differenza sessuale: significante non biologico ma discorsivo che voleva significare il desiderio della libertà femminile. La politica, infatti, è sempre anche produzione di significanti inediti (la lotta di classe di Marx ne è un esempio): la politica è politica del linguaggio. La difficoltà, di nuovo, è che formare un significante nuovo, efficace, performativo e mobilitante, non è mai un processo solamente razionale, ma deve emergere da più elementi, alcuni dei quali inconsci.


Anche il desiderio femminile che il Femminismo della seconda ondata ha con la sua ribellione riportato a galla era desideriorepresso dal Patriarcato e dunque inespresso.

Proprio per questo motivo, Dominijanni suggerisce che anche il Femminismo Intersezionale, oltre ad occuparsi della pluralizzazionedei soggetti e della riflessione sull’intersezionalità del soggetto politico, dovrebbe andare più in profondità nel processo di decostruzione della struttura ontologica del soggetto.

E dovrebbe farlo proprio tenendo presente anche la dimensione inconscia del soggetto politico: struttura che ha spesso a che fare con la differenza sessuale intesa come struttura dell’immaginario e che non si può eliminare con la sola liberazione del genere, poiché essa rimane come struttura di pensabilità.

Bisogna infatti tenere in conto che, nei processi di soggettivazione politica (ovvero i processi di adesione o ribellione al potere), il punto non è solo il pluralismo dei soggetti e la loro intersezionalità, ma anche la dimensione dell’inconscio. Altrimenti si rischia di dar vita a un Femminismo solamente sociale che però ignora completamente tutta quella parte della soggettivazione che ha a che fare con i processi psichici non razionali. E anch’io, come Ida Dominijanni, mi sento di dire che sarebbe una grave perdita oltre che un’occasione sprecata per comprendere sempre più a fondo ciò che riguarda la soggettività e la sua relazione col potere.


(1) Per chi fosse interessato, entrambi i testi sono disponibili in modalità lettura sul cloud di CONTRA/DIZIONI (potete trovare il link sulla loro pagina Facebook).


(filosofemme.it, 22 e 23 giugno 2020)

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