15 Aprile 2023
la Repubblica

In medio stat virtus

di Chiara Valerio


Come tutti, in fondo, sappiamo, e come dichiarava il personaggio di un film qualche anno fa «esistono le grandi verità, le grandi bugie e le piccole bugie, e poi esistono le statistiche». Il saggio di Sara Chaney* srotola la storia dei nostri rapporti con i dati e con essi la tensione e il tentativo di misurare il mondo per trarne, si direbbe dopo aver letto questo magnifico saggio, non tanto informazioni quanto desideri e intenzioni. Il fine di queste campagne di misurazione di corpi e abitudini, abitudini e natalità, eccezioni e mortalità, malattie e curvatura degli archi sopracciliari o misura dell’angolo nel quale iscrivere il corpo umano è in effetti identificare una norma umana. Un uomo medio. Una donna media. E, stabiliti i campioni dell’umanità, segnare le distanze da essi. E cominciare a chiamare chi è semplicemente diverso a sé, diverso, e a questa diversità attribuire una sfumatura di pericolo, stranezza, sospetto, diffidenza, e alla fine paura.

«La scienza della normalità creata da questi ricercatori, dunque, è anche la storia di come intere comunità siano state alterizzate e definite in opposizione agli standard occidentali che fissavano il “giusto” modo di essere». Prima degli anni Ottanta dell’Ottocento, l’umanità tutta non aveva formulato tale domanda, che subito, appunto, è diventata un desiderio. Sara Chaney – ricercatrice presso il Queen Mary Center di Londra, questo è il suo primo libro tradotto in italiano – per dimostrare quanto l’idea della norma sia sentimentalmente radicata in noi e sia praticata parte da quel periodo della sua vita – e della nostra – nel quale è difficile stare bene con sé stessi: la terribile adolescenza. Tutti abbiamo goduto, ma soprattutto sofferto del nostro aspetto, dei nostri abiti, dei nostri modi, tutti abbiamo misurato e ci siamo sentiti misurati. Chaney parte da sé stessa per dichiarare il punto di vista dal quale parte e cioè una donna bianca eterosessuale cresciuta nella provincia britannica con possibilità di accesso agli studi superiori. Possiamo arrivare all’università – laddove esista – solo accettando che non lo siamo noi. Chaney spazia, nel suo studio, dalla disabilità alla moda prêt-à-porter, svelando in questo caso, per esempio che «i mercati di massa ci hanno regalato la semplicità degli abiti confezionati in serie, con i quali sono i consumatori a doversi adattare a ciò che indossano, e non il contrario». Il campione della definizione della normalità è ovviamente britannico. Dico ovviamente perché è chiaro che gli imperi coloniali tutti, e in special modo un impero che si muoveva economicamente sui mari e diffondeva quella macchina economica chiamata Compagnia delle Indie, hanno la necessità di stabilire una norma e di segnare una distanza. Il campione è Sir Francis Galton che oltre ad essere cugino di Charles Darwin, importante meteorologo ed esploratore e aver inventato un abile dispositivo in matematica – cercate su Google Macchina di Galton – era anche convinto che l’eugenetica fosse la via per una umanità più vicina alla perfezione e dunque alla bontà e, con molte sue congetture ha posto un freno a ciò che oggi chiamiamo medicina di genere. Galton pensava che l’uomo bianco eterosessuale fosse la misura del mondo. «Galton e i suoi colleghi scienziati eliminavano i dati che consideravano irregolari prima ancora di calcolare le norme». I bambini – con la loro irritante tendenza a crescere di anno in anno – rappresentavano da tempo un problema per gli studiosi di statistica. E così anche le donne. Galton “trasformò” i dati sulle donne per poterli confrontare direttamente con quelli sugli uomini: per esempio, fu necessario aumentare le altezze femminili mediante un’equazione ideata da Galton stesso finché i dati continuassero a rientrare in una curva a campana. Tali modifiche non erano soltanto una strategia per il confronto statistico. Si tradussero anche in un vero e proprio standard: gli uomini rappresentavano la normalità biologica alla quale bisognava adeguare i dati femminili. E ovviamente gli uomini bianchi rappresentavano la norma con la quale le altre razze dovevano essere confrontate. Così a leggere Chaney si capisce chiaramente anche un’altra cosa, che, visto dove e come siamo oggi, il più grande romanzo d’invenzione dell’Ottocento è stata la statistica, altro che eroi ed eroine tragici o comici, altro che battaglie in campo aperto e trame nei salotti, la più grande invenzione narrativa – più tragica che comica – è stato l’Occidente come centro di gravità permanente del mondo, e il maschio bianco come centro del centro di gravità. Chaney non giudica, racconta, non cancella e non nega, accumula. E soprattutto conforta: possiamo abbandonare il grande racconto statistico e, anche con le statistiche, farne un altro. Meno “normale” per tutti.


(*) Sarah Chaney, Sono normale?, Bollati Boringhieri, traduzione di Bianca Bertola, pagg. 274, euro 27,00


(la Repubblica – Robinson libri, 15 aprile 2023)

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