23 Gennaio 2005

Iris Murdoch: l’incontro

 Serena Fuart

“In un tempo in cui le parole girano intorno e si riferiscono a cose già definite e quindi perdono la sostanza naturale quasi sparendo, incontro questa filosofa, scrittrice, impegnata in una lotta contro l’irrealtà, perché il nostro parlare sia un parlare di qualcosa di reale. Questa sua lotta prende la forma di un’anti anti metafisica” E’ uno dei pensieri espressi da Luisa Muraro nel corso dell’incontro su Iris Murdoch introdotto da Liliana Rampello, tenutosi alla Libreria delle donne, il 7 maggio. Iris Murdoch, romanziera e filosofa, due mondi, due scritture. Scritture, secondo Luisa Muraro, concomitanti e pur tuttavia indipendenti.

Di fatto un incontro, quello avvenuto tra Luisa Muraro e Iris Murdoch. A parlarne è Liliana Rampello. Si tratta di uno scambio più che di un incontro, sostiene, uno scambio che ha modificato il pensiero di Luisa Muraro e non solo il suo.
Nel corso del suo intervento Liliana ci parla più precisamente di un doppio incontro. Doppio perché “mi era capitato cinque o sei anni fa a Londra di vedere un volume di Iris Murdoch intitolato Esistenzialisti e mistici con tutti gli scritti filosofici di lei, un testo complesso che mi interessava. Ho preparato la scheda per l’editore (Il Saggiatore) e nel farla mi sono resa conto che stava toccando molte problematiche che di sicuro incrociavano il pensiero di Luisa Muraro, che aveva già scritto molto sulla mistica. C’era tutta una parte di questo testo che sicuramente, se presa in mano da Luisa, avrebbe permesso all’editore di far arrivare questo testo in Italia, cosa di cui ho avuto conferma poi vedendo il suo lavoro”
Iris Murdoch era conosciuta in Italia nel periodo che va dagli anni ’60 fino agli anni ’70 grazie ad alcuni suoi romanzi, Il sogno di Bruno, Il rosso e il verde, (pubblicati da Feltrinelli) e un piccolo racconto La ragazza italiana (Einaudi). Poi era scomparsa dalle librerie italiane. Il suo lavoro filosofico, poi, era quasi del tutto sconosciuto in Italia.
“Si trattava di capire – continua Liliana – come portare un volume di questo genere quasi all’improvviso in Italia. Luisa Muraro sa di mistica e c’è un grosso lavoro della Murdoch sulla mistica, quindi si trattava di tradurre il testo da una parte e farlo poi introdurre da Luisa Muraro con uno scritto che sostituisse quello dell’introduzione inglese. Anche l’edizione inglese aveva avuto bisogno di una serie di scivoli. Questo mi è stato d’aiuto per far capire all’editore che c’era già un pubblico in Italia, il pubblico di Luisa Muraro sulla mistica e su Margherita Porete, come Le amiche di dio, Lingua materna scienza divina. D’altro canto c’era la possibilità di far incontrare due filosofe perché, di fatto, questo è quello che è avvenuto. Nel lavorare su questo testo, nel leggere i romanzi che man mano la Rizzoli stava ripubblicando (ce ne sono tre), quello che è avvenuto, secondo me, è che i due pensieri si sono incontrati. Quando dico incontrare intendo dire che non si è trattato di metterli semplicemente a fianco. Anche a partire dal testo di Luisa nel testo collettivo Concepire l’infinito (La Tartaurga) in cui è presente il saggio Una scrittura infinita. Un’introduzione a Iris Murdoch e dal suo lavoro introduttivo ai saggi filosofici in via di pubblicazione nel prossimo gennaio, mi è parso di capire che questo incontro sia di fatto avvenuto come scambio. Luisa Muraro ha rilanciato già da questo saggio, con grande originalità, un pensiero filosofico che era conosciuto, ma non troppo in Inghilterra, considerato e messo in parte ai margini da una discussione filosofica tradizionale. L’operazione di Luisa è stata quella di restituirla alla sua radicalità, cosa molto importante filosoficamente parlando. Una radicalità che poi ha avuto una ripercussione sullo stesso pensiero di Luisa Muraro. Sento un’eco nel suo pensiero più recente, nel movimento abbastanza continuativo con cui torna ad alcuni testi della Murdoch sia narrativi sia filosofici”
Non solo un incontro quindi ma uno scambio, “non si è trattato di mettere quel tipo di filosofia a oggetto di analisi del pensiero, né in qualche modo Luisa ha accompagnato il pensiero della Murdoch introducendolo e spiegandolo”.

Le due scritture
“…la felice carriera di una pensatrice la cui opera si distribuisce nettamente su due versanti: quello della letteratura e quello della filosofia e in entrambi eccelle. Un unico percorso e due scritture…” Da Una scrittura infinita. Un’introduzione a Iris Murdoch.
“Ma queste due scritture, che potrebbero essere rubricate semplicemente come due registri diversi di un farsi del pensiero – continua Liliana Rampello -, sono, secondo Luisa Muraro, concomitanti e pur tuttavia indipendenti. Quando si dice di due scritture che sono concomitanti e indipendenti si è già fatta un’operazione molto precisa di lettura di questi testi.
In quali punti avviene lo scambio tra le due filosofe, scambio che porterà una modificazione che riguarda anche il pensiero di Luisa Muraro?
“Lei ci parla dell’esistenza di un’asimmetria – dice Liliana – di quello che si può immaginare e rappresentare con l’arte del linguaggio e quello che si può argomentare e spiegare con la logica. Asimmetria di cui la Murdoch ha saputo fare una vera e propria risorsa del pensiero filosofico. A me sembra che in qualche modo Luisa si sia sentita sfidata dal lavoro artistico di Iris Murdoch più che da quello filosofico. Quello filosofico le era più consueto. E’ qualcosa che lei conosceva molto bene. Mentre il mettere al centro la scrittura creativa, scrittura che lavora attraverso le immagini, che impasta quindi linguaggi metaforici è qualcosa di diverso. E’ come se Luisa avesse incrociato un Giano bifronte. Le due cose sono concomitanti e non si eludono mai a vicenda. Il suo pensiero è stato sfidato dal segreto della bellezza, perché un’opera d’arte deve ambire ad essere bella, non deve eludere questo nodo ed è lì che, a me pare, si sia messo in moto qualcosa di Luisa, qualcosa di importante. Oltretutto sia nella scrittura letteraria che filosofica di Iris Murdoch, il problema della bellezza è fortemente e costantemente affiancato al problema del bene.”

Luisa e Iris
L’approccio ai romanzi è la via principe alla sua personalità sostiene Luisa Muraro. “Vorrei spiegare il perché del mio interesse. Quello che dice Liliana delle risonanze che lei ha avvertito è giusto, ma io ho sentito anche la sfida del suo pensiero filosofico, sebbene indubbiamente la cosa di cui avrei voluto venire a parlare era della romanziera Murdoch. Quello che volevo spiegarvi è perché mi interessa e in quale contesto: un contesto di sfida filosofica del tempo presente che ha generato una filosofia che viene chiamata post strutturalista. Non è tanto la filosofia che questo tempo ha generato, è il problema di questa civiltà sempre di più parlata attraverso discorsi autoreferenziali. Le parole girano intorno e si riferiscono a cose già definite e quindi perdono la sostanza naturale, quasi sparendo.
In questo tipo di situazione incontro questa filosofa, scrittrice, impegnata in una lotta contro l’irrealtà, perché il nostro parlare sia un parlare di qualcosa di reale. Questa sua lotta in lei prende questa forma di un’anti anti metafisica: cioè davanti alla chiusura di qualsiasi possibilità di altro rispetto a quello che è interno al nostro sistema referenziale, rispetto a qualsiasi possibile trascendenza, lei lotta perché una trascendenza sia possibile. Lo fa sia nella filosofia che nei romanzi. Quindi c’è questa lotta contro l’irrealtà che ha due registri e due scritture. Quella filosofica, con scambi e contrasti, mi affascina molto indagare.
Un altro motivo per cui la Murdoch mi piace è perché è una donna sicuramente molto laica, non ha tentativi di recupero della religione”.
Iris Murdoch, spiega Luisa, è nata nel 1919, all’interno di una famiglia laicissima. Si è formata tra Oxford e Cambridge tra gli anni ’30 e ’40. Diventata professoressa a Oxford negli anni 50-60 è sempre vissuta lì, in un ambiente quindi molto laico “Nonostante questo ho sentito in lei una parentela lontana con Giacomo Leopardi – dice Luisa.
“L’ho sentita quando constata la caduta delle illusioni religiose e piange su questo fatto come una perdita. Leopardi è il primo pensatore del disincanto che registra lucidamente la fine della civiltà religiosa. La registra diversamente da Nietzsche che la considera una specie di trionfo. Leopardi, al contrario, coglie aspetti di perdita, perdita della possibilità di essere felici. Questo atteggiamento lo ritroviamo anche in Iris Murdoch. Lei sa che la civiltà religiosa veicola delle cose importanti. C’è anche in lei il constatare la difficoltà di impegnarsi ad esplorare le difficoltà, c’è un discorso filosofico sulla trascendenza e il suo dio si chiama il bene”.

Il bene
Enorme l’importanza che questo tema ha nel pensiero della Murdoch e nei suoi scritti, raccolti sotto il titolo La sovranità del bene, continua Luisa. Il bene è il nome che lei dà a Dio.
Qualcuna però, racconta Luisa riferendosi a una sua studentessa, tutto questo trionfo del bene non l’ha trovato. Secondo la sua lettura, nel romanzo Una sconfitta quasi onorevole, assistiamo proprio alla sua sconfitta.
Si narra la storia di tre coppie. In queste si intromette un uomo, George, un personaggio che ha intenzioni maligne. Sembra tranquillo, non soffre di sensi di colpa. Provocherà la disunione di una coppia con un’astuzia diabolica, grazie anche al suo fascino. La separazione porterà al suicidio di uno dei due amanti che non reggerà il venir meno dell’amore e il distacco dalla donna amata. George, ‘il cattivo’ è un uomo maligno, freddo ragionatore sulla natura umana che agisce e ragiona con lucidità, sostenendo che l’amore non c’è. Questo lo vorrà dimostrare e di fatto lo farà.
Il quadro è molto complesso. Verso la fine compare Charles, un personaggio buono ma con poco credito, poche qualità, poca statura e studi, però con la caratteristica di essere buono. Charles ha autorità su George, gli chiederà infatti di lavare i piatti. Questo atto svelerà qualcosa: George, nel sollevarsi le maniche, renderà visibile il distintivo del campo di sterminio. Spiegherà poi che il suo nome è di origine ebraica. In questo romanzo trionfa il male, male che è inestinguibile, che gli è entrato dentro.
“I romanzi sono difformi non solo nella scrittura – dice ancora Luisa – ma anche dalle aspettative della sua filosofia. Ci sono delle invenzioni letterarie nella sua filosofia.
Quello che mi ha colpito è il fatto che questa giovane filosofa a trent’anni era già da tempo orientata alla filosofia”.
Luisa racconta di una delle sue primissime conferenze presso la Società Aristotelica di Londra. Davanti al ghota della filosofia di Oxford e Cambridge e ad altri personaggi importanti, lei (trentenne appunto) agirà molto coraggiosamente prendendo le distanze dalla filosofia dominante. Una filosofia analitica del linguaggio da cui si distanzierà in una maniera particolare: non di sfida, evitando di rifugiarsi in una delle filosofie minori presenti in quelle città pullulanti di pensatori di altre tendenze.
La conferenza ‘Nostalgia del particolare’ portava un titolo un po’ romanzesco, novellistico. Al tempo Iris era già una romanziera e il suo scudo era quello di esserlo, di pubblicare e di venir letta.
Tutti i filosofi presenti erano pieni di arroganza, ce n’era solo uno buono, che tra l’altro morirà precocemente – racconta ancora Luisa-. Ma Iris neanche era buona, aveva un disordine sessuale marcato, tradiva sistematicamente il marito, confessandoglielo quasi ogni volta. Il biografo Peter Conradi racconta che in un’occasione lui, stanco di questo suo atteggiamento, le chiese per lo meno, di non raccontargli più nulla. Iris però non era un’arrogante e davanti a quel pubblico inizia la sua sfida molto misurata. Qualè la modalità del suo distacco?
Dicono che possiamo parlare dei fatti senza parlare dell’esperienza, ma uno che non è d’accordo potrebbe dire: possiamo veramente?
Tutto ciò con la presenza di qualcuno che non è d’accordo, The Objector, personaggio che sarà presente in tutta la conferenza. Questo personaggio esordisce con un ma possiamo veramente? Questa, da un punto di vista filosofico, è una sfida grandissima: togliere la nozione di esperienza dal linguaggio filosofico. Recentemente, Joan Scott ha prodotto uno scritto molto importante in cui proponeva di togliere la nozione di esperienza dal linguaggio storico, perché, sosteneva tra le altre cose, non è scientifica. Iris combatte tutta la sua battaglia su questa questione e anche un’altra e inventa questo personaggio, The Objector come fosse un personaggio romanzesco. Ogni tanto espone le risposte all’obiezione, allora The Objector si alza sempre dicendo che però c’è dell’altro.
Nel corso di quella conferenza, uno dei colleghi, Isaiah Berlin, andatosene maleducatamente, (come racconta il biografo di Iris), commenta dicendo “Quella signora che certo non è famosa per la chiarezza delle sue idee”. La battuta è maligna perché fa riferimento alla libertà sessuale che Iris si permetteva, libertà che pochi uomini si concedevano per non parlare delle donne”
Iris, racconta Luisa, aveva delle ottime amiche e questo lato della sua vita è molto affascinante: le amicizie femminili l’hanno sempre accompagnata e a vi è stata fedelissima tutta la vita. Le sue amiche, (ben cinque) erano tutte filosofe che si occupavano di filosofia morale”
“Comunque – continua Luisa – ,le sue relazioni personali, le sue amiche hanno sanato un aspetto della sua personalità molto maligna che il biografo prontamente descrive”
Riguardo la sua filosofia “lei ha concepito e proposto una filosofia che ha la vita morale e politica, la dimensione della moralità e della politica come base, e, in questo senso, è tutta la filosofia che è intesa in chiave di vita morale e politica senza soluzione di continuità .
L’altro aspetto di lotta, l’altra battaglia che ha vinto, è stata quella contro il dogma che separava i fatti dai valori. Questo vuol dire la descrizione delle cose unita all’impegno personale, morale e politico che abbiamo nei confronti di esse. C’era allora il dogma, che alcuni sostengono ancora ma in filosofia non vale più, che pretende che è possibile e si devono separare le due questioni in quanto dimensioni diverse: una è la dimensione delle cose, dimensione scientifica, e una è quella dei valori, morale, etica che si aggiunge indipendentemente. La Murdoch sostiene che non è così. Lo sforzo di non confondere le proprie posizioni soggettive con la descrizione e il racconto delle cose, è lo sforzo di una posizione morale lodevole, ma è una posizione morale. Lei combatte un paradigma scientifico presuntamente neutro, un paradigma di una scientificità neutra con una soggettività che non interviene”.

L’esperienza di lettura
“I personaggi incarnano un problema – sostiene Liliana Rampallo -, letteralmente, come se qualcuno avesse un problema nella sua testa e ne facesse carne, sangue e ossa di figure che vuole presentarci. Le trame mi sembrano un po’ bislacche nel senso che ogni tanto lascia dei fili che non porta avanti, costruisce delle cose abbastanza rocambolesche. E’ come se fossimo di fronte a un lavoro che non tiene tanto alla perfezione dell’architettura della trama, dell’armonia delle parti, quanto piuttosto che sia veramente sollecitata in modo, che io direi drammatico, quasi shakespearianamente sollecitata a mettere in scena i suoi problemi”.

“Mentre nella scrittura filosofica la Murdoch è piuttosto sobria, nella narrazione è sontuosa – interviene Luisa Muraro -: ci sono dei paesaggi, il suo ideale è situare un personaggio e far sì che questo cominci ad avere una paura o qualche problema. Il tutto all’interno di un paesaggio naturale, difficile, pericoloso, malconcio, paludoso oppure in un mare freddo, magari con dei vortici. E’ il suo sogno accostare un essere umano con la tremarella e questi scenari. Liliana Rampello diceva che le sue trame sono un po’ bislacche. Le trame, Iris, non le costruiva prima, le creava man mano, come gli scrittori dell’Ottocento che pubblicavano sui giornali. Tuttavia quelli avevano il romanzo incarnato in testa, lei invece sapeva che il romanzo realista dell’ottocento era ormai perso, avrebbe voluto fosse il suo modello, ma non lo segue. Antonia Bayatt sostiene che lei abbia scritto romanzi metafisici. Sotto la rete è un romanzo filosofico.(i titoli mettili sempre in corsivo senza virgoette)
L’altra cosa che piace alla Murdoch sono i grandi tormentoni concettuali, psicologici e morali. Questi personaggi continuano sempre, a letto, a pranzo, dentro le grotte, in barca, a disquisire e trattare problemi, perché sono i problemi che tengono occupatissima lei. Però poi ci sono sempre i personaggi taciturni che sono i suoi preferiti.
Sotto la rete è un po’ filosofeggiante però ha una caratteristica che è anche della sua filosofia: quella di non mettere mai personaggi eroici solitari. Ci sono i momenti terribili di solitudine nei suoi scritti soprattutto in mezzo alla natura infida e pericolosa (grotte, paludi, buio), ha delle descrizioni molto vive, da fare impressione. Teniamo conto però che lei era fisicamente molto coraggiosa. Nel romanzo Sotto la rete già si sente la follia della trama. Sia per me che per lei le trame dei romanzi che stanno insieme sono le più distanti dal vivere vero. Più queste invece sono strampalate più somigliano alle nostre vite.
Il protagonista di Sotto la rete, va in giro un po’ ‘strampalato’ ma alla fine diventa portantino a mezzo tempo e si mette al lavoro per diventare scrittore. C’è nei suoi romanzi l’impegno al moral change. Gli esseri umani sono sempre immersi in questo moral change, falliscono, ritentano e vanno verso il cambiamento morale. Il protagonista va verso questo. I personaggi non ci vanno mai eroicamente da soli, ma sempre aiutati da tanti altri personaggi. Lei aborrisce l’eroe esistenzialista, però le piacciono questi personaggi scalcagnati che però quasi tutti ce la fanno.
La campana è caratterizzato dalla figura della badessa, personaggio vero che ha conosciuto. Questa ricerca della dimensione religiosa che era in lei non aveva una grande tenuta ma un’autentica attenzione alla cultura e civiltà religiosa. Ha scritto di un ordine religioso anglicano sopravvissuto alle riforme fornendo un quadro storicamente esatto.
Ogni volta che scrive un romanzo inventa un mondo. Alcuni le riescono benissimo, altri no, ma lei sostiene che fallisce anche la grande arte e poi aggiunge: “chi vuole bene non fallisce mai”. Per lei l’artista e l’essere umano buono si corrispondono, sono in rispondenza: uno sul piano del bello l’altro sul piano del buono.
Il romanzo L’apprendista inizia con un personaggio che, per frivolezza, dà dell’acido di nascosto a un suo amico carissimo in quanto quest’ultimo era contrario ad assumere droghe. Glielo mette nel cibo, l’amico va ‘in trip’ e, per una distrazione di quello che aveva fatto lo scherzo, si butta dalla finestra e muore. Il libro quindi inizia con questo antefatto: l’orribile senso di colpa di questo personaggio.
Lei scrive i romanzi per sé, cioè per noi, ma noi siamo al servizio di lei. Lei aveva bisogno di scrivere, era la sua vita, la scrittura l’ha tenuta in vita. Era una donna violenta e scrivendo romanzi, che avevano poi successo, trovava gratificazione, e questo l’ha aiutata a vivere e a pensare.”

Sullo spunto di un intervento, Luisa racconta poi del rapporto di Iris Murdoch con la psicoanalisi.
“Dalla biografia della Murdoch emerge il fatto che avesse avuto un rapporto di attrazione-rigetto per questa. Mi sono chiesta se la scrittura dei romanzi fosse la sua psicoanalisi. No, mi sono detta, è fare a meno della psicoanalisi. E poi l’altra questione è la difficoltà di entrare in relazione: nei saggi filosofici entrare in relazione con gli altri è ossessivamente martellante, è importantissimo, continua a dirlo. Come dire che la scrittura dei romanzi mette in scena una possibilità che le fa difetto.

Tra le sue trame.
Relazioni, teatralità, il bene

Questi alcuni nodi principali che si intrecciano tra gli interventi di alcune partecipanti e delle relatrici.

“Lei attua una messa in scena drammatica del teatro classico inglese, che si sente benché scelga di tenere quella trama che altrimenti non saprebbe tenere nelle mani dell’ io narrante: se si tira il filo dell’io narrante, tutto si disfa essendo senza nuclei – interviene Liliana Rampello e continua -… Luisa sosteneva che, per Iris, in qualche modo l’uomo buono è meglio dell’artista. Io sento lenorme difficoltà della Murdoch di avere esperienza di relazione, mentre si sente che ha esperienza di ciò che lei presenta come malignamente capace di rompere i legami, che nei suoi romanzi continuamente si rompono. E’ questo che viene messo in scena, se poi dopo questo fatto si traveste da bene riuscirà da qualche parte, dove la bellezza non riesce. Può darsi però che la maschera sua sia la maschera di chi conosce. Chi è buono nei suoi romanzi? Quelli che tacciono o si perdono di vista?”

Sul tema della relazioni…”…la cosa che mi ha colpito ancora di più – ammette una partecipante – è questa difficoltà delle relazioni che si traduce nell’ossessione a tormentare l’altro tormentandosi, però un altro che non viene mai visto, tant’è che quando accade questo famoso cambiamento avviene perché qualcosa succede che fa vedere l’altro a questo io narrante.
Inizialmente ero stordita da tutte queste interrogazioni dell’ io narrante che sembrava essere un grande approfondimento di relazione”

C’è una grande presenza di relazioni secondo Clara Jourdan “E’ vero che si rompono, però cambiano, si modificano e, come diceva prima Luisa, l’io narrante e i vari personaggi non sono mai soli. Non c’è la questione dell’esistenzialismo, c’è invece una forte relazionalità e una grande libertà della scrittrice”.

Sulla questione della teatralità di Iris Murdoch interviene Luisa Muraro “In verità negli scritti della Murdoch, a parte la conferenza ‘La nostalgia del particolare’ con il suo The Objector ( che si può definire un’invenzione teatrale), soprattutto nei romanzi, c’è la questione del teatro. Lei ha idea che questo sia l’espressione letteraria più alta e lo spiega: il teatro coniuga la forma e la contingenza, cioè ci sono cose che capitano per caso ma capitano in una forma conclusa, in quanto, sostiene, abbiamo bisogno di questa unità della forma e, nel teatro, questo avviene”.
Luisa precisa poi il suo pensiero circa il discorso del fallimento dell’arte. “Anche la grande arte fallisce anzi si distingue proprio perché questi sono fatti in un certo modo, sono speciali, come se l’arte si arrendesse alla contingenza ultima delle cose. La grande arte ha questa capacità, i suoi difetti li esibisce come qualcosa di teatrale mentre l’arte media e mediocre hanno la caratteristica di cercare di tamponare, di sanare”.
Prima veniva detto da qualcuna che la Murdoch non si lascia colpire dalle relazioni…io correggerei in questi termini: lei in verità non si lascia colpire…
Poi seguita a parlare del suo saggio in cui “…dicevo che la bravura di Murdoch sta nel parlare della libertà e di pensare la libertà nei termini di non farsi trovare nelle traiettorie del potere. C’è quella mossa della schivata, mossa che fanno gli animali inseguiti dal predatore che fanno la schivata di lato e il predatore resta nella sua traiettoria. La questione della schivata a Judith Butler in Scambi di genere manca, seppur la tenti, la immagini, cerchi di descriverla. Proporrei di dire: Iris non si lascia colpire dal difetto di relazioni. Questa povertà relazionale che si porta dentro è che in qualche maniera c’è, lo hanno notato più persone. E’ difficile identificarsi con i personaggi della Murdoch, sono personaggi che hanno qualcosa di scostante. Lei fa della povertà simbolica il lavoro dell’arte, è questo che c’è in lei: le goffaggini di trama sono giocate alla grande. Lei non è una grande romanziera è una romanziera difettosa ma non è infilzata dalla sua difettosità, è come se questa difettosità la offrisse a chi la legge. Bisogna leggerla così, spartendo insieme a lei qualcosa di doloroso e di mancante, profondamente mancante”.

“L’ulteriore grande idea di Iris Murdoch è di pensare che il lavoro simbolico dei segni dentro di noi, nei rapporti con gli altri e con il mondo e preso in ogni senso dell’esprimere, del comunicare, del rappresentare in ogni direzione, che questo lavoro può prendere dalla grande arte alla conversazione quotidiana, quando è lavoro consapevole e deliberato, quando è una pratica di parola è anche per sua natura un lavoro morale e perciò positivamente sensibile all’orientamento del bene…” (Da Una scrittura infinita. Un’introduzione a Iris Murdoch). Secondo Luisa questa intuizione l’ha portata alla pratica della scrittura. “Appoggio quest’ipotesi – continua Luisa – , la Murdoch ha avuto l’idea che c’è un ordine simbolico. L’ha avuta scoprendo che le cose sono caotiche, contingenti, mal fatte e capita sempre qualcosa che fa disordine e crea sofferenza e scoprendo che la parola, se è fatta come pratica di parola, può far ordine. Ho capito che questa idea del bene l’ha messa in termini molto platonizzanti e in questo senso poco credibili per noi, ma il concetto dentro questa intuizione è che il parlare, quando è un parlare vero e bello, non necessariamente artistico e filosofico, è il parlare di chi vuol bene, di chi cerca di dire la verità, ed ha un orientamento interno al bene, cioè fa ordine, c’è un ordine libero”.

Sul tema del bene una partecipante suggerisce che “in questo momento mi è venuto da pensare che il bene o e il buono non sono delle evidenze -. , Mentre ciò che è bello può avere un’evidenza nell’apparire, il bene o il buono no, e quindi non può che essere come nel titolo di quel romanzo citato…non risulta nella mia esperienza che ci sia un apparire del bene e del buono”.

A questo proposito Luisa risponde che nel testo La sovranità del bene, disgraziatamente il bello si mostra e la perfezione in quest’ordine di cose la cogliamo, siamo capaci, la sentiamo ma nell’ordine della moralità è tutto una confusione, incertezza. “Forse queste parole sono una chiave per capire quello che diceva la mia studentessa, cioè che nei romanzi tutto questo trionfo del bene non c’è. Lei citava le parole inglesi che esprimono, nel linguaggio della Murdoch, la confusione, il pasticcio l’impasto”

Sull’importanza delle relazioni nei romanzi della Murdoch interviene Liliana Rampello
“Premettendo che una vita non spiega l’opera e l’opera non spiega una vita, certamente la conoscenza di alcuni elementi della vita di un’artista possono fare da bussola ma non vanno intese come una reciprocità. Permettono di capire meglio cosa fa avvenire nel romanzo. Che cosa lei fa avvenire? Il disfarsi delle relazioni, che poi questo presupponga che lei ha un mondo di relazioni, che le cura, è un’altra cosa. Quello che avviene è un continuo slegarsi delle relazioni che secondo me è legato al fatto che tutte ripetiamo di non identificarci con i suoi personaggi. Io credo che lei non permetta di identificarsi con un suo personaggio. Secondo me lei disfa continuamente la propria identità.
Un discorso è ‘mi identifico con l’Io narrante o non mi identifico con nessun personaggio’, un’altra cosa è quello che lei fa avvenire, che è un disfarsi dell’identità. Tanto è vero, è la cosa che mi ipnotizza di più, che lei ha un tipo di scrittura proprio ipnotica. Forse per questo fatto la mia cadenza è legata al maligno, lavoro che si vede molto in atto. Il problema del rapporto tra il bello e il bene passa, ma passa fortemente da questa malignità rappresentata e la rappresentazione della malignità è lo slegare il legame altrui. Il diabolico slega i legami”.

“Lei vede l’umanità immersa nella possibilità della trasformazione di sé che può essere orientata verso il meglio – dice Luisa Muraro -, verso un ordine simbolico, il bene, dice, in filosofia non nei romanzi dove però c’è questa drammaticità. Le sue trame non danno quel gusto estetico della risoluzione della perfetta parabola e bisogna vedere questa pluralità.
Il fatto del disfarsi dell’identità di cui diceva Liliana è molto post moderno ma va preso in considerazione perché c’è un disfarsi dell’identità che lei è capace di raccontare, è capace di raccontarlo anche con un ri-farsi. Anche Judith Butler parla di un disfarsi e di un rifarsi. Mi veniva in mente quando Liliana sottolineava questa capacità di raccontare il disfare i legami, che questo è alla lettera il proprio del diabolico. Nell’origine della parola diabolico, diabolico è opposto a simbolico che è il mettere insieme, “sum”, mentre “dia” è separare”.
Continua poi: “quell’enfasi sul bene, che viene dal platonismo e che ha molte spiegazioni nel contesto in cui si pone, è difficile da governare filosoficamente, si può vederla nella prospettiva di un ordine simbolico. Ci sono elementi che ho raccolto abbastanza consistenti in questo senso per cui ho azzardato di dire che la Murdoch antepone Platone ma in realtà ha un’intuizione e che ha una polarità con il diabolico del disfare i legami che lei sa raccontare molto bene nei suoi romanzi”

Sul tema del disfare i legami interviene anche Clara Jourdan: “in parte c’è un disfare ma anche un rifare dei legami. Il cambiamento che avviene, il moral change di cui parlava prima Luisa, avviene grazie a un mutamento delle relazioni. Vengono disfatti legami fasulli. Le relazioni non le vedo idealizzate…lei non le idealizza: vede il cambiamento delle relazioni attraverso le relazioni”.

Luisa Muraro chiude l’incontro con il suo ultimo intervento
“Iris Murdoch è post post moderna, anti anti metafisica, è facile da leggere ma ti frastorna un po’, ci si chiede cosa si sta leggendo. Aveva in mente il modello dell’Ottocento ma non lo seguiva, aveva bisogno di scrivere tanto, uno via l’altro e in fretta. Un intervistatore una volta le ha chiesto quanto tempo passava tra quando ne finiva uno e quando ne iniziava un altro. Lei rispose: un’ora.
Il mio suggerimento: leggetela come una vostra compagna di banco che scrive bellissimi romanzi senza aver avuto a disposizione tutto il tempo che aveva il nostro bellissimo Manzoni. Il tempo mettetecelo voi: si può scrivere ragionare pensare e godersela con lei, lei si fa leggere”.

Print Friendly, PDF & Email