26 Maggio 2022
la Repubblica

Jane Austen, benvenuta tra i grandi

di Alessandra Quattrocchi


Con un Meridiano in due volumi che raccoglie i suoi romanzi in una nuova traduzione, finalmente anche l’Italia rende giustizia alla scrittrice inglese. Che si è imposta con le armi delle sue eroine: ironia, allegria, rigore


È una verità universalmente riconosciuta – per dirla con l’incipit di Orgoglio e pregiudizio, il più amato dei suoi romanzi – che Jane Austen sia stata ammessa tardi, troppo tardi, nel Canone dei grandi scrittori. Finalmente anche in Italia le si rende giustizia con un’edizione di riferimento, un Meridiano Mondadori in due volumi (il primo è appena uscito), curato da Liliana Rampello e con la traduzione di Susanna Basso per tutti e sei i romanzi dell’autrice, scritti fra il 1803 e il 1816.

«Austen è stata tradotta molto, in tanti modi, dal meglio al peggio» spiega Rampello. «Adesso si offre al suo pubblico sterminato un’unica voce e un ampio apparato di commento. Una piccola magia che ci permette di accedere alla scrittrice con un percorso diverso.»

Ed è essenziale per sfatare il mito una volta per tutte: Austen non è un’autrice “per donne”, non scrisse romanzi “rosa”, sebbene sul suo nome sia nato un vero brand, un impero di imitazioni, sequel, prequel, gadget, film, serie tv. La fortuna dei period drama in costume forse è dovuta anche alla nostalgia per un mondo che ci appare più semplice, «grazie alle tante regole» spiega Rampello. «Le classi sociali sono definite dalle case, dagli abiti, elementi che aiutano a visualizzare le cose. La differenza però è che leggendo i romanzi scompare la patina romantica ed emerge l’ironia, che rovescia la realtà e ce la fa vedere spolpata.» Allora Austen si rivela come la grande innovatrice e il genio che fu, nei temi che tratta, nei personaggi, nel linguaggio, nella scrittura narrativa.

«Le sue eroine sono protagoniste del loro destino. Il tema universale – ed è per questo che lei è letta ovunque – è quello della felicità individuale, alla luce del desiderio femminile» sottolinea ancora Rampello. «Ma la libertà interiore si incrocia con la necessità del matrimonio; sicché le sue protagoniste si sposano bene, e rompono non solo la struttura patriarcale ma anche la ferrea divisione in classi. Insomma, è lei che costruisce davvero il romanzo di formazione femminile, perché la formazione al maschile non è compatibile con la vita delle ragazze. Però non si mette mai in una posizione vittimista, non fa rivendicazioni, regala alle sue protagoniste la libertà di muoversi in un mondo codificato, e le fa vincere, secondo una geografia morale ferma e precisa, che implica l’assunzione di responsabilità.»

Ballando ballando

Le tante norme, però, non uccidono la vitalità: emblematiche le tante scene di ballo, «la fortissima sensualità dei due ballerini che devono seguire le regole ferree dei passi mentre i corpi si sfiorano appena, come i meccanismi umani che lei sa indurre per allusione»; e si sa che Jane amava ballare. Altro tema cruciale, la presenza non solo delle eroine, ma di un intreccio fittissimo di relazioni fra donne: madri figlie sorelle amiche parenti. «Andare da sole nel mondo degli uomini è perdente. Ma Austen ha uno sguardo limpido su entrambi i sessi»: i suoi romanzi sono popolati anche di donne meschine – come l’intrigante Lucy Steele in Ragione e sentimento – o sciocchissime – come Lydia Bennet in Orgoglio e pregiudizio. E ancora, la struttura: «mette in gioco tutto questo in romanzi dove esplode una vocazione fortemente teatrale, shakespeariana». Monologhi, dialoghi, scene corali che dipingono i rapporti e tracciano ritratti fulminanti. «Tutto ciò la rende estremamente moderna.»

Il primo volume del Meridiano contiene i primi tre romanzi: L’abbazia di Northanger, Ragione e sentimento e Orgoglio e pregiudizio, oltre a una selezione dei Juvenilia, gli scritti giovanili sempre più studiati dalla critica. I romanzi, come gli ultimi tre che usciranno nel secondo volume, hanno la “voce” di Susanna Basso. Operazione editoriale necessaria perché, dice Rampello, «la traduzione è un passo interpretativo e quindi critico, a tutti i livelli; abbiamo un debito grandissimo per questa versione che riesce anche a rendere la maturazione progressiva della scrittrice».

Per voce sola

Susanna Basso è traduttrice di lungo corso che ha all’attivo fra l’altro i capolavori contemporanei di Ian McEwan, Kazuo Ishiguro, Julian Barnes, Alice Munro. Per un impegno come l’integrale di Austen, dice, è servita un po’ di sconsideratezza: «Ho attraversato molti momenti di crisi, ma era impossibile dire di no. Tradurre Jane Austen è straordinario; tanto più ritradurre Orgoglio e pregiudizio. Lo avevo già fatto nel 1999 per Sperling&Kupfer, ma questa versione è diversa, anche perché è cambiata la mia posizione di lettrice del testo, con vent’anni in più».

Tradurre Austen significa rendere in italiano la soavità della sua lingua sarcastica. «Si affronta nella speranza di riuscire a “dire quasi la stessa cosa”, il che è di per sé anche una definizione dell’ironia. Con la pazienza, grazie al sostegno redazionale che si crea intorno a un Meridiano, cercando di restituire l’allegria incrollabile di tono, di lingua.» Altra sfida: il discorso indiretto libero, cioè quell’artifizio moderno che proprio Austen cominciò a usare massicciamente, con cui lo scrittore trascrive i pensieri del/la protagonista fuori dalle virgolette, così che si mescolano con la voce autoriale. «Austen ci dà degli indizi: studiando i manoscritti vediamo dove usa i trattini invece della punteggiatura, e sono pause di riflessione, incertezze, così come le esclamazioni: lì il discorso appartiene ai personaggi, perché la sua voce autoriale non conosce pause né enfasi.»

E ancora: quella di Austen è una lingua complessa nella sua eleganza, un periodare lungo pieno di secondarie e giravolte: c’è la tentazione di spezzare, traducendo? «Fuori dai dialoghi, che sono un motore narrativo quasi teatrale, e hanno leggi di traduzione un po’ diversi, posso dire che no, non si spezzano le frasi di Jane Austen. L’italiano offre una sintassi così ricca che si può lasciare il ritmo originale, e del resto è proprio l’autrice a offrire una bussola incredibile, bisogna andarle dietro.»

Mistero svelato

Tre anni di traduzione in ordine cronologico; adesso, dice Basso, la spaventa affrontare Mansfield Park, il più cupo, doloroso, stratificato dei capolavori austeniani. Noi lettori aspettiamo il progetto integrale perché in Italia si comprenda meglio il “mistero Austen”. Un mistero che tale non è. Austen crebbe, sì, nella canonica del padre pastore protestante; con pochi soldi ma con libero accesso a un’ampia biblioteca, e in una baldoria di giovani, fra i numerosi fratelli maggiori, la sorella Cassandra e gli studenti del padre, le recite teatrali inscenate per gioco, le serate in cui leggeva le sue creazioni al pubblico familiare, esercitando lo spirito satirico e il gusto del paradosso. Vediamo dietro di lei la figura del padre – che le regalò il quaderno per la bella copia del secondo volume dei Juvenilia, e uno scrittoio portatile oggi alla British Library – e che la incoraggiò strenuamente nei suoi primi tentativi editoriali.

Il padre: per tante scrittrici ottocentesche la figura che cementa la capacità di credere in se stesse. Benché Austen abbia pubblicato fino alla sua prematura morte firmandosi semplicemente «a Lady», dalle sue lettere sappiamo bene quale fiducia avesse nel proprio talento. «Questo Meridiano dà molte risposte a un universo di questioni», dice Rampello, «e alla spaccatura storica della critica, fra detrattori e adoratori». Stiamo riscrivendo il Canone? «Sono cinquant’anni che le donne scavano e studiano; non si tratta solo di riscoprire scrittrici, ma di riposizionare la letteratura e la critica delle donne. Abbiamo il vantaggio che leggiamo tutto, uomini e donne, mentre persino Italo Calvino in Perché leggere i classici scriveva, paternalisticamente, “Amo Jane Austen perché non la leggo mai ma sono contento che ci sia”. Noi siamo tante e ci occupiamo di letteratura senza pregiudizi. C’è molto da affermare; con la serenità con cui Austen affermò se stessa.»


(la Repubblica, 13 maggio 2022)

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