13 Giugno 2020
D - la Repubblica

Jia Tolentino: perché lo specchio dei social sta danneggiandoci

di Laura Piccinini


Jia Tolentino è bionda e filippina, cioè asian-american figlia di immigrati a Houston, ha trentun anni, è la più giovane reporter voluta e assunta nello staff dell’autorevole New Yorker, già segnalata dalle liste under 30 dei magazine preposti alla Forbes. Ha scritto un libro subito best-seller, definito “fondamentale guida al presente”. Seguitissima sui social in qualità di “influencer culturale”. Un nuovo tipo di star, la versione intellettuale dei dispensatori di marchi e stili di vita con relativi prodotti e cose da consumare. A differenza di loro, lei non vuole venderti niente, anzi, semmai invita a “riflettere” bene prima di credere a tutto quello che vedi, e il termine non è casuale. […]

Una generazione allo specchio, recita il titolo del suo volume, Trick Mirror. Le illusioni in cui crediamo e quelle che ci raccontiamo (in uscita qui il 29 giugno per NR Edizioni). E il posto in cui si vede meglio come funziona lo scherzo dello specchio, l’abbaglio, spiega lei, «sono i social media, dove spesso gli individui pensano di star guardando il mondo, ma vedono solo se stessi riflessi, le proiezioni che hanno e quelle che gli rimanda la rete, che con i loro “data” li insegue e sa cosa vogliono vedere». Il trucco dello specchio è diventata una specie di formula, come un algoritmo che sta dietro a tutto quello che succede oggi. «Così ci ritroviamo una giovane popolazione fondata sulla truffa come etica generazionale. In un capitolo elenca le maggiori 7 scams, truffe, e loro derivate, legate alle promesse della new economy, dagli organizzatori di festival fantasma ai fondatori seriali di compagnie che falliscono (loro le chiudono e reinvestono, e gli ex dipendenti imparino come si diventa leader) […]».

Quando l’ha capito? La prima volta che ha sperimentato lo scherzo dello specchio è stato su se stessa, piccolissima.

«Me l’ha insegnato l’essere filippina. La stessa diversità può punirti o premiarti. Tu ti vedi uguale, un altro ti vede diversa. Da asian-american vieni “graziata” rispetto agli afroamericani perché assimilata ai bianchi, ritorni diversa quando nei giochi da ragazzini sei costretta a fare il Power Ranger giallo come il tuo “muso”, e non puoi identificarti nella bianca Baby Spice o nelle eroine dei romanzi, per fare gli esempi più innocui. Ma se cambi “narrazione” e contesto puoi essere, come me, estremamente fortunata. Perché improvvisamente tutte le cose che potevano essere viste come ostacoli – non avere avuto i soldi per uno stage a New York, niente college esclusivi tipo Ivy League – sono stati punti di forza. Credo che la gente si sia rotta di vedere in tv o leggere cose fatte e scritte da bianchi liberal della classe medio-alta. Ma quel piccolo choc, o grande choc da piccola, ha profondamente influenzato il mio modo di giudicare altri sistemi, il capitalismo truccato da mito della condivisione, il femminismo inglobato dal marketing o usato come marchio e alibi, come le girlboss, che se volete vi svelano la formula a colpi di conferenze a pagamento. Comincia in un modo e finisce in un altro. Illusione, disillusione».

Cominciamo dalle tre I, Illusioni, Internet, Identità. […] Identità. Cos’è che ce la dà oggi, da spiegare un giorno a sua figlia/suo figlio?

«[…] Quello che direi a un figlio è che la rete rischia di farti dimenticare che gran parte delle esperienze che ci fanno sentire individui completi – il sesso, l’amore, ballare a un concerto o perfino pregare – sono quelle in cui le identità sembrano dissolversi e confondersi. L’identità non serve a sentirsi vivi, contano le relazioni, i corpi».

Corpi, parliamone. Pensavamo di essere quasi immortali.

«E adesso abbiamo scoperto di no, che non siamo per niente virtuali. In quarantena e maternità ho letto il finale della trilogia di Hilary Mantel che impazza negli Usa, The mirror and the light [“Lo specchio e la luce”, ndr]. […] E c’è qualcosa di confortante nello scoprire che le epidemie sono parte della storia umana e se siamo qui è perché le abbiamo superate. […]»

Metterci il corpo, impegnarsi attivamente, un po’ come si dice da noi “metterci la faccia”, lei si è arruolata nei Peace Corps (l’organizzazione di volontariato internazionale).

«Già, il lusso di entrare in un negozio dopo il lockdown mi ha ricordato quell’anno in Kirghizistan dove negozi non ce n’erano, né acqua corrente, tornavi nella tua stanza sapendo che fuori continuava il genocidio. Fui arrestata. Avevo vent’anni e il virus che colpiva in patria molte di noi erano i disturbi alimentari, anoressia e bulimia. Arrivata là, non c’era tempo di pensare al corpo, se non a mantenerlo forte per non ammalarsi di cose tipo la tubercolosi, e darsi da fare per i corpi degli altri».

[…]

E adesso, i social network come li stiamo usando?

«Uno degli ostacoli psicologici della rete e che non c’è contesto, ci vedi scorrere roba idiota e ironia quotidiana e, come nei giorni appena vissuti, conteggi mortuari e tombe collettive nei parchi. Senza avere il tempo di cambiare stato d’animo. È quello che ci fa sentire sopraffatti. Ma sui social in quei giorni è circolata anche una dolcezza inaspettata, e i valori che Internet aveva esasperato sembravano offensivi e fuori luogo, facendo capire che mandare foto di vite pazzesche è un po’ da sociopatici. Abbiamo imparato a tenere più conto del fondale di fatalità che abbiamo dietro. Questa del coronavirus è una crisi completamente nuova, per la prima volta la nostra salute dipende da quella di cittadini più fragili e chissà che non faccia ripensare ad altre minacce, come il cambiamento climatico, non più come a qualcosa di lontano e separabile da noi, siamo interconnessi. […] Per questo seguo le vostre concittadine della Libreria delle donne di Milano, avevo letto il loro Sexual Difference [originale it. Non credere di avere dei diritti, ed. Rosenberg & Sellier 1987, ndr], quando è uscito il mio libro mi hanno mandato una calorosissima e-mail dicendomi che erano contente di sentire un legame tra generazioni».


[…]


(D – la Repubblica, 13 giugno 2020)

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