31 Luglio 2022
Leggendaria

Katia Ricci: Guarire vecchie ferite

di Titti Follieri


Il libro di Katia Ricci Controra nasce, come scrive l’autrice, da un atto di fedeltà al proprio sentire, il desiderio di ripercorrere a ritroso la storia della propria famiglia per riconciliarsi con il proprio passato e ritrovare le proprie radici. C’è una necessità interiore che María Zambrano definisce: «Lo scrivere richiede fedeltà […] essere fedeli a ciò che chiede di essere tratto dal silenzio». È possibile per l’autrice la ricostruzione delle dinamiche familiari grazie a una maturità raggiunta, a un percorso di consapevolezza che riesce a esercitare la comprensione e rimarginare antiche ferite; è un nuovo sguardo che riconosce la gioia di un’appartenenza alla casa, ai cari estinti, ai luoghi di cui si resta eredi e a cui si appartiene per il tempo lì vissuto durante l’infanzia e l’adolescenza. Il luogo evocato da Katia Ricci è Rignano Garganico, dove la sua famiglia possedeva un terreno agricolo con fattoria, che ne ha segnato l’identità e la storia con le sue controversie. La narrazione si svolge su diversi piani: c’è lo svilupparsi degli eventi familiari a partire dal ritrovamento di lettere scambiate tra i suoi familiari – dopo la loro scomparsa – e della ricostruzione delle relazioni intercorse tra di loro. Emerge la fotografia di una mentalità, a cavallo della Seconda guerra mondiale, legata a una tradizione conservatrice che condiziona in modo potente uno dei protagonisti della storia: Pasqualino, il padre che rifiuta il matrimonio “combinato” – in voga per estendere le proprietà – per amore di Anna, che non è una possidente terriera. Questo atto di libertà viene vissuto dalla famiglia come una trasgressione inaccettabile, mentre la figlia Katia scriverà: «Ho sempre apprezzato questo gesto di mio padre che aveva rotto con l’antica consuetudine non solo familiare, ma in uso all’epoca, almeno tra i proprietari terrieri e di una certa classe sociale, di combinare i matrimoni tra uomini e donne dello stesso ceto sociale per aumentare i patrimoni, acquisire titoli nobiliari». Questo è il secondo piano: la ricostruzione dei ricordi dell’autrice, che nell’addentrarsi nella lettura delle lettere scopre il lato nascosto, il non detto delle relazioni ed è costretta a modificare le immagini interiorizzate della madre Anna e del padre Pasqualino. C’è una presa di coscienza, il bisogno di ricostruire come in un puzzle le tessere mancanti, allargando lo sguardo alla complessità che nasconde ogni essere umano. Quindi il ricordo si arricchisce di altre scene, altre parole taciute, pur conservando il conflitto doloroso vissuto nella relazione con il padre. Com’è noto, la generazione del boom economico si è fatta portatrice di un’istanza di rinnovamento culturale e sociale, sognando di cambiare il mondo. Proprio negli anni Settanta la nascita del femminismo ha portato ad una rivoluzione “gentile” nella società, con la pratica dell’autocoscienza molte donne hanno individuato il giogo imposto dalla società patriarcale. È bene però anche ricordare che già a partire dagli anni Sessanta nelle famiglie molte ragazze contestavano l’atteggiamento dei padri, di come si relazionavano alle loro mogli, del ruolo richiesto a una generazione che aveva vissuto il fascismo, con l’idea che moglie e madre fossero i ruoli fondamentali per la realizzazione di una donna. Le giovani figlie della generazione del dopoguerra desideravano realizzare la propria libertà di autodeterminarsi, rompendo le catene degli stereotipi attribuiti al ruolo femminile nella società dell’epoca. Il conflitto con il padre raccontato da Katia Ricci è personale, ma è stato anche esperienza collettiva di tutta una generazione. È uno dei moventi della scrittura affrontato nel ricordo della madre, nel suo insegnamento impartito con l’esempio e con il suo modo di agire […]. È in nome di mia madre che cercherò di riconciliarmi con mio padre e sciogliere la ruggine che sento in me perché come tanti uomini pensava che fosse suo diritto imporre il suo punto di vista, magari uno schiaffo, alla donna che pure amava appassionatamente e forse malamente. Il quadro familiare è inserito in un contesto storico, ma nello stesso tempo «il microcosmo di un mondo agropastorale» – come lo definisce l’autrice – prende corpo nei volti, nelle parole citate della nonna Lucietta, del nonno Pietro, dello zio Vincenzo e zia Tetella e di altri parenti, nel groviglio di una storia familiare in cui ognuno recita la sua parte, come se rievocandoli, l’autrice li trasformasse in attori vivi di un teatro in cui possiamo rispecchiarci e scambiare i loro nomi con i nomi delle nostre famiglie. Un ultimo aspetto da sottolineare è l’uso delle immagini, ben armonizzate dall’editore nel testo, con varie foto, alcune di famiglia, altre in appendice di Alfred Eisenstaedt, fotografo e fotoreporter statunitense di origine tedesca, che documenta negli anni del dopoguerra la vita rurale degli abitanti di Rignano. Scelta di una documentazione preziosa, motivata dalle competenze artistiche dell’autrice, ma anche testimonianza dell’Amor Loci, dell’amore per i suoi antenati, per il riconoscimento delle radici che ci permettono, come in un albero, di scendere in profondità per poi trascendere e puntare verso il cielo, allargando lo sguardo ad un ampio orizzonte.


(Leggendaria n. 154 – Estate, luglio 2022. p. 46)


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