28 Gennaio 2025
il manifesto

Kelly Yang, «le mie storie illuminano i contributi degli immigrati»

di Arianna Di Genova


La scrittrice americana di origini cinesi racconta nei suoi romanzi per lettori e lettrici giovani (Motel Calivista, buongiorno! e Le tre chiavi, usciti per Emons) le vite degli irregolari e di chi tenta di farcela. «Da bambina, la Proposition 187 mi fece molta paura. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, quali miei amici sarebbero stati banditi dalla scuola, o peggio. Purtroppo, quegli stessi timori oggi con Trump si sono riaffacciati»


«I recenti incendi in California sono stati terrificanti. La mia famiglia è stata costretta a evacuare e molti miei amici hanno perso la loro casa. Nonostante sia stato un incubo, mi ha commossa vedere la comunità di Los Angeles così unita, pronta ad aiutare. Ho piena fiducia nella ricostruzione. Questa catastrofe ci ricorda però che il cambiamento climatico sta avvenendo rapidamente. Riguarderà tutti: siamo interconnessi e i problemi degli altri ci riguardano sempre».

Kelly Yang, quarantunenne scrittrice americana con origini cinesi, premio Strega Ragazze e Ragazzi nella categoria 11+, è cresciuta in California con la sua famiglia immigrata proprio come Mia, la protagonista dei suoi due romanzi pubblicati in Italia da Emons: Motel Calivista, buongiorno! e Le tre chiavi, Motel Calivista 2 (pp. 350, euro 14,50, traduzione di Federico Taibi). Quest’ultimo incrocia l’attualità bruciante del ritorno di Trump e la sua volontà di rinverdire deportazioni e discriminazione razziale. Lupe, infatti, amica del cuore di Mia, è angosciata per una nuova legge (il riferimento qui è alla famigerata Proposition 187 varata nel 1994 e anni dopo resa vana dall’impegno dei democratici, ndr) che vieta a chi è senza documenti (come lei) di frequentare la scuola.

Appena Trump ha giurato come presidente, ha subito dichiarato guerra agli immigrati e attaccato lo ius soli. Sono temi a lei molto vicini, addirittura autobiografici, che ha spesso affrontato nei suoi libri. Un passo indietro per la democrazia americana?

Mi preoccupa molto il fatto che Trump stia cercando di abolire la cittadinanza acquisita con la nascita, un diritto sancito dalla Costituzione. La sua ossessione di fare degli immigrati il capro espiatorio di tutti i nodi della società non è, ovviamente, una novità. Lo abbiamo già sperimentato nella sua prima amministrazione. I miei libri tentano di illuminare non solo i contributi degli immigrati, ma anche di rendere visibili i soprusi che subiscono. Da bambina, la Proposition 187 mi fece molta paura. Non sapevo cosa sarebbe accaduto, quali miei amici sarebbero stati banditi dalla scuola, o peggio. Purtroppo, quegli stessi timori oggi si sono riaffacciati.

«Una volta una persona molto saggia mi disse che in America ci sono due montagne russe: una per i ricchi e l’altra per i poveri». Lupe, la compagna di Mia nel romanzo “Le tre chiavi” è un simbolo della prevaricazione sociale ai danni degli immigrati… La sua vita rispecchia quella di molti altri come lei?

Credo che la citazione delle due montagne russe sia più che mai reale. Viviamo in tempi sempre più diseguali, con una disparità di risorse economiche che si aggrava sempre di più. Mia e Lupe ne patiscono gli effetti, come tutti noi. Come noi, lottano per potersi permettere casa e cibo. Tutto ciò, purtroppo, non potrà che peggiorare se continuiamo a rendere capri espiatori i membri deboli della società, invece di allearsi e risolvere il vero problema: solo l’1% della popolazione accumula tutta la ricchezza.

Crede che la lettura e la conoscenza culturale possano essere uno sprone per immaginare un mondo alternativo e meno divergente nei diritti?

Assolutamente sì. In epoche attraversate da paura, confusione e incertezza, i libri sono il nostro bene salvifico. Ci regalano soprattutto empatia. Ci permettono di immaginare un percorso migliore.

Può dirci qualcosa sul Kelly Yang Project da lei fondato: in cosa consiste?

Il Kelly Yang Project è un programma di educazione che ho creato a Hong Kong per insegnare ai bambini a scrivere e a discutere insieme. Ho vissuto a Hong Kong per quindici anni e con quel programma, di cui vado fiera, ho cercato di fornire a tutti gli strumenti per avere un impatto, pensando con la propria testa. Il progetto è ancora fiorente.

Cosa ha significato per lei crescere in California, un territorio di “frontiera”?

Penso che la California sia un posto speciale, con al suo interno una ricca storia di immigrati, compresi quelli cinesi che nell’800 arrivavano per costruire le ferrovie. Crescere in questo territorio, quindi, ha significato rendere onore a quella eredità e alle persone giunte prima di noi per realizzare il Golden State.


(il manifesto, 28 gennaio 2025)

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