11 Giugno 2023
Corriere della Sera

La coscienza del pavone

di Telmo Plevani


L’andamento è quello un giallo filosofico e scientifico. Testi densi e meditati differenti sono integrati non da normali illustrazioni, ma da disegni giocosi, per affrontare uno dei temi da sempre più ostici nella scienza: come si è evoluta la coscienza in natura. Due note filosofe israeliane della biologia, di formazione scientifica, Simona Ginsburg ed Eva Jablonka, intrecciano le loro competenze con la matita ironica di Anna Zeligowski, artista e medico, in questo libro originale (un oggetto anche esteticamente pregevole), Figure della mente. La coscienza attraverso la lente dell’evoluzione, pubblicato da Raffaello Cortina, la cui tesi sfida molti stereotipi. Benché quella umana sia speciale, secondo le autrici la coscienza è una proprietà antica e diffusa tra gli animali poiché coincide con la capacità di orientarsi in un territorio nuovo e complesso per procurarsi cibo e trovare un partner. Ogni breve capitolo o quadro delle cinque sezioni del libro termina con più domande che risposte e va a comporre una sorta di mandala teorico. Abbiamo chiesto a Eva Jablonka di scioglierne qualche filo per noi.

Nel libro parlate di organismi che non sono coscienti, ad esempio batteri e piante, e che tuttavia sono le forme di vita di maggiore successo sulla Terra. Siete sicure che essere coscienti serva a qualcosa?

C’è modo e modo di avere successo nell’evoluzione. Gli organismi unicellulari hanno, in termini numerici, più successo di quelli multicellulari, ma la multicellularità si è evoluta molte volte. La sua domanda è una delle più impegnative sulla coscienza: qual è la sua funzione? Secondo noi, è quella di creare un nuovo regno di obiettivi. Consente all’organismo di prendere decisioni flessibili e dipendenti dal contesto, raggiungendo obiettivi che altrimenti non sarebbero affatto riconosciuti come tali. La femmina di pavone sceglie il maschio con la coda più lunga e i motivi più colorati, simmetrici e luminosi. La sua capacità di discriminare, che è possibile secondo noi solo quando l’animale è cosciente, ha portato all’evoluzione di modelli complessi e diversi nel corpo maschile.

Quindi la pavonessa è cosciente. Esplorare il mondo consapevolmente, scrivete, è una meravigliosa danza di curiosità, gioia e sofferenza. Perché essere senzienti ed essere coscienti sono sinonimi?

Perché gli aspetti affettivi e cognitivi sono sfaccettature diverse di ciò che significa essere coscienti o senzienti. Un essere senziente è un agente autonomo che ha esperienze private, soggettive e coerenti. Tra queste: percepire il mondo (vedere il rosso, annusare il gelsomino); sentire (dolore, piacere, gioia, fame, postura del corpo e movimenti); e in alcuni animali anche avere esperienze di realtà virtuali (rivivere il passato, sperimentando ricompense o punizioni anticipate). Gli esseri senzienti si preoccupano della loro esistenza e si impegnano in comportamenti atti a raggiungere i loro obiettivi di sopravvivenza.

D’accordo, però un animale potrebbe avere un abbozzo di coscienza senza con ciò avere anche un vero e proprio senso del sé.

Un animale, anche relativamente semplice come una mosca, percepisce il mondo in continua trasformazione e lo valuta: deve esserci qualcosa come un “centro dell’io” da cui discernere gli aspetti del mondo. Un animale deve anche distinguere tra gli effetti che il mondo ha su di lui che sono indipendenti dalle sue azioni e quelli che invece dipendono dalla sua azione.

Voi fate coincidere l’emergere della coscienza con la comparsa, nell’evoluzione, di una particolare forma di apprendimento associativo aperto e illimitato: che cosa significa?

Si tratta di un marcatore evolutivo, come quando diciamo che il requisito per una forma di vita minimale è la presenza di un sistema ereditario illimitato, ovvero di un lungo polimero che si replica. Il marcatore della coscienza minima richiede che tutte le proprietà che la maggior parte degli scienziati e dei filosofi attribuisce alla coscienza siano presenti.

Dunque, quando nasce la coscienza nell’evoluzione?

Pensiamo che la coscienza sia apparsa più di una volta: negli artropodi e nei vertebrati circa 540 milioni di anni fa durante il Cambriano; e nei polpi, calamari e seppie 250 milioni di anni dopo. Lo sappiamo grazie alle prove fossili e alle inferenze genealogiche che mostrano che le strutture cerebrali che permettono un apprendimento associativo illimitato e aperto erano presenti negli artropodi e nei vertebrati durante il Cambriano e nei cefalopodi tempo dopo.

Quindi le piante non sono coscienti. State sfidando la fiorente letteratura sull’intelligenza delle piante?

No, comportamento intelligente e coscienza non sono sinonimi. Tutte le creature viventi, inclusi i batteri, mostrano intelligenza: tutte possono apprendere, percepire, reagire in modo adattativo, comunicare, riparare i danni e così via. Noi condividiamo l’entusiasmo per l’intelligenza delle piante. Sono esseri viventi straordinari, ma non manifestano un apprendimento associativo aperto, e quindi allo stato attuale delle conoscenze non possiamo affermare che siano senzienti.

Altri animali hanno immaginazione, sogni, memoria, capacità di ingannare. L’unicità umana si assottiglia sempre più. Cosa c’è di speciale nella coscienza di Homo sapiens? E in quella di Neanderthal?

A fare una grande differenza sono i nostri sistemi simbolici, che includono la capacità linguistica. Il sistema simbolico non solo ha aggiunto molte capacità intellettuali a quelle ancestrali, ma ha anche alterato il nostro profilo emotivo e la memoria percettiva. Noi supponiamo che i Neanderthal fossero abbastanza simili ai Sapiens che vivevano all’epoca. Se trovassimo un bambino neanderthaliano e lo crescessimo nella nostra società, lo considereremmo umano. Quanto vorremmo avere una macchina del tempo e incontrarli, per saperne di più sulle somiglianze cognitive ed emotive e sulle sottili differenze tra noi e loro.

Domanda inevitabile al tempo di ChatGpt: un’intelligenza artificiale capace di apprendere diventerà mai cosciente?

ChatGpt e i programmi di intelligenza artificiale più avanzati sono consapevoli quanto il programma su cui gira il nostro cellulare. Sono programmi, addestrati su enormi quantità di dati, e i programmi non sono coscienti. Possono indurci a pensare che lo siano, quando i loro risultati sono simili ai nostri, ma non lo sono. Nessuno si illuda che gli algoritmi di traduzione dal cinese all’italiano, ad esempio, capiscano ciò che traducono. I programmi sono costruiti per eseguire operazioni in base ai loro algoritmi e ai dati di input forniti. Non hanno comprensione, nessun sentimento, nessun interesse personale e quindi nessuna coscienza. La coscienza poi richiede hardware e interazioni con il mondo.

Va bene, allora aggiungiamo un corpo: robotico. Sarà mai senziente e cosciente?

Non è impossibile in linea di principio, ma molto più difficile di quanto la maggior parte delle persone pensi, per tre ragioni. In primo luogo, la macchina deve essere in grado di apprendere in modo aperto sul mondo e sulle proprie azioni che cambiano il mondo, il quale a sua volta poi la cambia. In secondo luogo, l’implementazione di apprendimento aperto in un robot andrebbe realizzata con materiali “morbidi”, sensibili a un’ampia gamma di condizioni ambientali. In terzo luogo, potrebbe essere necessario che il robot abbia uno sviluppo morfologico e comportamentale, come tutti gli animali. Sebbene non possiamo essere sicuri che una tale macchina sarà cosciente, il principio di cautela richiederà che la trattiamo come tale: come se percepisse, valutasse e agisse dalla propria prospettiva per promuovere il proprio benessere privato.

Nelle ultime immagini del libro scrivete che occorre prepararsi a intelligenze coscienti cyborg immerse in realtà virtuali: dobbiamo preoccuparci?

Certo, sempre. Ogni salto tecnologico può essere utilizzato in modo improprio, portando a maggiori disuguaglianze, manipolazioni, sfruttamenti. In un mondo dominato dalle idee capitaliste, dove la crescita economica sembra essere il valore supremo, in un mondo in cui molti leader promuovono attivamente l’egoismo, il razzismo e il sessismo, è necessario preoccuparsi del modo in cui ci troveremo immersi in realtà virtuali che possono essere controllate da manipolatori.

Nel libro, i disegni e le metafore visive di Anna Zeligowski non hanno solo un valore estetico, ma contribuiscono all’interpretazione della parte scientifica.

Sì, pensiamo che abbiano un valore epistemico. L’arte ci permette di impegnarci nel “libero gioco dell’immaginazione”, come diceva Immanuel Kant. Permette l’esplorazione, la gioia giocosa, l’apertura di nuovi orizzonti di comprensione. Allo stesso tempo, i giudizi estetici sono condivisi dalla comunità, quindi consentono anche la comunicazione. L’arte di Anna apre la mente.

La coscienza come corrente di un fiume, farfalla, centro di un vortice. Che ruolo ha la metafora nella ricerca scientifica?

Non possiamo pensare senza metafore, e non possiamo creare nuovi significati senza di esse. La filosofa Evelyn Fox Keller ha sottolineato il ruolo essenziale delle metafore nello sviluppo dei concetti scientifici: «In quale altro modo cercare la comprensione del nuovo, del non ancora intelligibile, se non confrontandolo con ciò che è già familiare?». Certo, le metafore possono essere fuorvianti. Dicevano Arturo Rosenblueth e Norbert Wiener: «Il prezzo della metafora è l’eterna vigilanza».

Nella vostra teoria c’è una componente “gladiatoria” – la guerra della natura, la sofferenza, la paura – solitamente associata al maschile. Ha un rilievo il fatto che siate tre donne o non c’è connessione con la costruzione della vostra ipotesi sulla coscienza?

C’è un aspetto gladiatorio nell’evoluzione, ma la cooperazione è altrettanto importante. Abbiamo scritto sull’evoluzione della gioia, sull’aiuto che le madri hanno ottenuto dal resto del gruppo per crescere i loro piccoli, sulla comunicazione e la condivisione di informazioni. Avremmo dovuto sottolineare di più questo punto, ha ragione. Durante la stesura del libro abbiamo discusso degli stereotipi di genere. Anna è particolarmente sensibile a questi, ha un gran numero di immagini sulle donne, la loro forza e fragilità, i loro ruoli sociali, le loro lotte e solidarietà. Spesso ci siamo chieste come il fatto di essere donne avrebbe influito sulla lettura del nostro libro. Immagino che lo scopriremo!


(La Lettura – Il Corriere della Sera, 11 giugno 2023)

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