7 Settembre 2008
il Sole 24 ORE

La favola del principe rosa

E’ vero che la scrittura femminile ha una sua specificità? Di certo era così nel Giappone di mille anni fa. Il “Racconto di Genji”, capolavoro della letteratura nipponica è opera di una dama di corte, e fu copiato e illustrato da una donna.

Gian Carlo Calza

A distanza di mille anni dalla stesura è impossibile pensare al Racconto di Genji (Genji monogatari) senza sentire di entrare in un mondo dove eleganza, bellezza e stile regnano sovrani sulle vicende descritte. Che dico? Senza percepirli come la sostanza stessa che informa di sé tutta l’opera. E questo sia che ci si riferisca al capolavoro indiscusso della letteratura giapponese, sia alla sua più antica illustrazione rimasta: i Rotoli dipinti del racconto di Genji di circa un secolo posteriori e a loro volta capolavoro della pittura giapponese d’ogni tempo.
Il romanzo fu scritto nella capitale imperiale di Heian, l’attuale Kyoto, da una dama di corte ricordata con l’appellativo di Murasaki Shikibu, in un ambiente raffinato, ricco di suggestioni di struggente bellezza, frutto di una perfetta fusione tra l’approccio più speculativo sino-indiano del buddhismo, con la struttura politico-sociale, d’origine cinese, del confucianesimo, ma soprattutto la religiosità shintoista, quindi autoctona e primigenia, della natura.
Kyoto era stata fondata nel 794 a immagine di Chang’an la cosmopolita capitale dei Tang (618 al 907), e attuale Xi’an, e rimase sede del governo imperiale per più di mille anni. Per due secoli, quello prima e quello dopo la stesura del Genji, si sviluppò un ambiente sociale di livello altissimo per l’impronta estetica e nazionale. Esso caratterizzò la società e l’epoca di Heian (794-1185) come espressione del più alto momento culturale della tradizione nipponica, la sua classicità. Suo fulcro, anzi unico centro polarizzatore fu la capitale imperiale stessa.
La cultura, la letteratura, l’arte, la concezione dello spazio, quello naturale come quelli architettonico e urbanistico, ma soprattutto il canone dei comportamenti, lo stile della vita concepita come un costante, festivo cerimoniale, costituirono il modello imprescindibile, una sorta di Stella Polare dello spirito, per la società giapponese di allora e di tutte le epoche successive anche nei momenti di massima depressione civile. La città di Heian divenne il simbolo dell’eleganza e la bellezza per antonomasia.
Vivere nella Kyoto dell’epoca Fujiwara, dal nome della famiglia che detenne il potere politico dall’894 al 1185, equivaleva a vivere nella civiltà e nella cultura – creare e respirare bellezza ed eleganza, fondare uno stile imperituro – così come esserne lontani significava trovarsi immersi nella barbarie.
L’intreccio del romanzo ruota per 54 capitoli intorno alla figura del principe Genji, in realtà il nome di una casata, ai suoi amori, ai suoi successi politici, mondani, letterari, architettonici, pittorici, ma anche intorno alle sofferenze, incomprensioni, gelosie, invidie, tradimenti che l’Autrice ritenne necessario di fargli attraversare perché potesse rappresentare il “Principe splendente”, l’immagine dell’uomo ideale rappresentante la cultura di Heian. Una cultura però che in parte Murasaki medesima contribuì a formare diffondendone quella immagine, spesso sublimata rispetto alla realtà corrente anche quella della corte. Certo, come nel Rinascimento italiano, il mondo meraviglioso di eleganza e qualità, di giardini e di architetture finissime, di religione fideistica dalle dolci immagini narrato da Murasaki era anche contornato da gente rozza e volgare, immerso in passioni di forza terribile e devastante, pari a quelle descritte nell’inferno dantesco. Ma il fatto rimane che l’arte di Murasaki trasformò, come appunto l’inferno dantesco o le opere d’arte e di cultura del Rinascimento, queste passioni grezze e violente in veicoli di conoscenza e perfino di bellezza. Il romanzo venne copiato e illustrato in maniera sontuosa, circa un secolo dopo essere stato scritto, in quella che è a tutto oggi l’opera più antica giunta a noi che ne contenga immagini e calligrafia: i Rotoli dipinti del racconto di Genji (Genji monogatari emaki).
Purtroppo sono rimaste solo diciannove tavole illustrative e ventotto di testo dalla squisita calligrafia della serie di forse venti rotoli con oltre cento illustrazioni intervallanti l’intera narrazione di circa trecentosettanta fogli: un quindicesimo dell’opera originaria. L’autore dei Rotoli di Genji è sconosciuto, ma è stato ipotizzato che l’opera sia stata realizzata da quattro gruppi di pittori che lavoravano sotto la direzione di un coordinatore, artista o no, di grande capacità estetica. Lo stesso vale per il testo calligrafato: nei ventotto frammenti rimasti sono state individuate cinque mani diverse. Lo stile è quello elegante e fluido in “caratteri di mano femminile” (onnade no kana) detto anche “a caratteri d’erba” (sogana) con riferimento all’uso in forte corsivo sia dei caratteri fonetici di recente invenzione sia di quelli cinesi.
Il testo scorre elegante e veloce su una carta decorata di bellezza senza pari e sembra cadere nel foglio con l’effetto di fiori che si stacchino dagli alberi. La bellezza ne risalta sulla carta impreziosita da ispessimenti, coloriture, inserzioni di scaglie e polvere d’oro e d’argento, sortendo l’effetto di paesaggi collinari avvolti nelle nubi. I fogli venivano così accuratamente preparati per ricevere il testo usando vari colori sulla carta spruzzata di foglia d’oro e d’argento in varie forme e dimensioni con motivi di foglie con spruzzate di polvere d’oro e d’argento per produrre una fantasia cromatica e di forme straordinaria. Il Genji, sia nella sua stesura letteraria, sia nei rotoli dipinti, ha condizionato la sensibilità estetica e la vita emozionale dei giapponesi per l’ultimo millennio. Esso emerge sulle altre opere coeve e successive e influenzò e continua a influenzare una lista interminabile di scrittori, letterati, artisti. Solo nel Novecento è stato più volte tradotto in lingua moderna da romanzieri eminenti come Tanizaki Jun’ichiro, Ishikawa Jun, Harumi Setouchi e anche dalla poetessa Yosano Akiko. La sua contemporaneità è sempre stata rinnovata con interpretazioni attraverso i secoli. Inoltre l’immaginario derivatone all’arte figurativa è pari a quello in letteratura. La massima parte della pittura della corte imperiale si sviluppò per dieci secoli sull’iconografia del Racconto di Genji e dei suoi rotoli dipinti con pitture, paraventi, libri e album di illustrazioni e oggi con film e manga. Il Genji rivela un mondo che ruota intorno alla polarità maschile, ma dove quella femminile sembra essere il motore di ogni cosa. In quella epoca la letteratura giapponese e soprattutto la narrativa erano dominate dall’aristocrazia femminile. Gli uomini sembravano disdegnare il racconto in lingua giapponese come forma espressiva non abbastanza elevata. Così, come Dante fece per il nostro, anche per Murasaki si può dire che “mostrò ciò che potea” il proprio di volgare in tutta consapevolezza, e dichiarandolo nel famoso passaggio sull’arte del romanzo. In quei secoli straordinari, pittura, letteratura e lingua nazionale fiorirono insieme influenzandosi reciprocamente e dando luogo a una trasformazione culturale di portata pari all’assorbimento della civiltà cinese nel sesto secolo o di quella occidentale nel ventesimo, ma senza manifestazione di violenza e con effetti ancora vivi e attivi a distanza di mille anni.

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