21 Gennaio 2008

“La figlia della gallina nera” di Gloria Origgi

Liliana Rampello

Piccole cose importanti, perché riguardano le relazioni e il linguaggio. Gloria Origgi si è andata cercando attraverso un lessico famigliare che disegna un universo borghese, figure di un interno milanese, attraverso le parole che si usavano in casa. Non ha trovato solo qualcosa per sé, padre, madre, sorella e tanti altri, che fioriscono in immagini delicate, ironiche e autoironiche, ma qualcosa che funziona come un piccolo detonatore anche per la memoria nostra. La si ascolta e si può fare lo stesso esercizio, per analogie e differenze, e quella sua personale lingua, che definisce, scopre, si inarca verso il passato e ritorna nel suo presente, accende anche il nostro ricordo. Ho sorriso spesso, leggendola, insinuandomi in una distanza che da lei è passata a me. E’ un libro che riposa, nel senso buono del termine, risveglia l’addormentato, i fou rire più nascosti e che ogni tanto per fortuna riesplodono inaspettati, tra noi “trombone” e “sciabalente”, fra le nostre cose “sgangherate” e “velleitarie”. Nel linguaggio ci sono i sogni, e Gloria Origgi lo sa.

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