28 Gennaio 2023
Il Quotidiano del Sud

La Giornata della Memoria e le suore francescane

di Franca Fortunato


Ci sono storie di donne che vanno conosciute e raccontate perché diventino parte della memoria collettiva, storie straordinarie come quella delle suore francescane del convento della Misericordia che hanno salvato dalla persecuzione e deportazione dodici ebrei durante l’occupazione nazista di Roma, città pullulante «di camionette e di spie». Storia che Ritanna Armeni ha scoperto per caso e ha voluto raccontare nel suo romanzo Il secondo piano (Ponte alle Grazie), arrivato nelle librerie a ridosso della Giornata della Memoria. Una storia di coraggio, di carità e amore cristiano verso «i fratelli ebrei», di strategie di sopravvivenza tra paure, ansie e fatiche, una pagina di lotta e di resistenza che le suore «non avrebbero mai immaginato di vivere». La storia ha inizio la sera in cui un gruppo di ebrei suonò al campanello del convento. Era il 16 ottobre 1943, il giorno dell’incursione dei nazisti nel Ghetto a caccia di ebrei. Ne presero e deportarono ad Auschwitz-Birkenau mille di cui 800, fra cui 200 bambine/i, furono mandati direttamente nelle camere a gas. Molte/i che erano fuggite/i giorni prima trovarono riparo nei conventi, nei monasteri maschili e nelle parrocchie che ne nascosero e salvarono tra 4 e 5.000. Quella sera le suore francescane a una donna e un uomo anziani, a un ragazzo, a una coppia giovane, a una ragazza e a un bambino, a cui più in là se ne aggiunsero altre/i, spalancarono il portone del convento, consapevoli dei rischi che avrebbero corso. Madre Ignazia, la superiora, li sistemò al secondo piano e fino al giorno della liberazione di Roma (3 giugno 1944), insieme alle altre sorelle, li tenne al sicuro, ne ebbe cura in quell’«oasi di pace, lontano da quella atmosfera di sospetto e di timore che dominava nelle vie centrali» della città. Ogni giorno, alcune di loro si avventuravano in città con prudenza in cerca della questua. «Suor Elisabetta, era una donna forte, non si scoraggiava facilmente […]. Era capace di percorrere chilometri per scambiare un vasetto di marmellata con un po’ di farina». Mai un rumore arrivava dal secondo piano con le finestre sempre chiuse e oscurate per non destare sospetti nel sacrestano che moriva dalla voglia di compiacere i nazisti, che intanto si erano sistemati al piano terra del convento con un’infermeria. Mesi difficili ma tranquilli fino a quando due ufficiali chiesero di perquisire il convento. Il sacrestano le aveva tradite. La madre superiora con fermezza intimò loro di fermarsi e lesse, in tedesco, la sua lingua madre, l’ordine del comando militare che proibiva la perquisizione. Dopo pochi giorni arrivò la liberazione, i tedeschi scapparono, le campane suonarono a festa, «tutti erano liberi di circolare nel convento e nel giardino (…), le ansie, le paure e le fatiche dei mesi appena passati si sciolsero in sorrisi e parole gioiose». Una storia raccontata con passione e amore verso quelle suore forti e coraggiose, escluse dalla Memoria. Storia già scritta dalle sue protagoniste – suor Ignazia, suor Elisabetta, suor Emilia, suor Benedetta, suor Maria Rita, suor Lina –, dal racconto della superiora del convento, dai diari di madre Ignazia e di suor Lina, dall’unico rifugiato rimasto in vita, dalle ricerche storiche di suor Grazia Loparco. Non restava che raccontarla e Ritanna Armeni l’ha fatto, per gratitudine verso quelle suore oggi tutte morte.


(Il Quotidiano del Sud, 28 gennaio 2023)

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