18 Ottobre 2020
Alias - il manifesto

La modesta reticenza di Anne Brontë che affascinò la genovese britannica…

di Stefano Verdino


«Meno penosa dell’agonia terribile di Emily, questa fu tanto discreta da passare inosservata agli altri ospiti della casa. Nel momento stesso in cui Charlotte si chinava a chiudere gli occhi della sorella, alla porta semiaperta dell’alloggio fu annunciato che il pranzo era servito». Può bastare questo breve passaggio sulla morte di Anne Brontë (1820-49), sorella minore delle più note autrici di Cime tempestose (Emily) e Jane Eyre (Charlotte), per darci il tono di questo bel ritratto della scrittrice vittoriana, fatto da una notevole scrittrice italiana, Beatrice Solinas Donghi (1923-2015): il tragico (una morte così giovane) si mescola con l’ordinaria routine in un sottotono, che pare adeguato alla protagonista, ma non sfuggirà il dettaglio della «porta semiaperta» a proiettarci in un’esattezza quotidiana. Anne Brontë la gemella minore è appena edito, postumo, per le cure di Massimo Bacigalupo (il canneto editore, pp. 131, € 15,00) e corredato di una bella scelta di poesie sempre da Donghi tradotte. Donghi, genovese di ascendenze britanniche, aveva più che un occhio in quel lontano Ottocento, scenario di tanti suoi testi per ragazze e affine a un suo invincibile temperamento di inattualità. Le Brontë poi più volte hanno intrigato sia la scrittrice in proprio (Vite alternative, sempre il canneto, 2010) sia la saggista, con il più ampio ritratto di Emily (Campanotto, 2001). E probabilmente anche questo racconto critico dovette configurarsi in quel tempo, intrigata dal nesso e dalla diversità di Emily e Anne. Donghi forse si trova più a suo agio con Anne, che rispetto al turbine romantico della sorella, sceglie per i suoi romanzi una tonalità morale, a volte anche moralistica, ma dove «Il suo punto di forza era il realismo: quieto e discreto quanto si voglia, ma lucido e talvolta spietato». Donghi usa per Anne una sigla «quietness, la modesta reticenza», che si potrebbe usare per lei stessa (per i suoi racconti essenziali, mirabili congegni tra un gusto fiammingo del dettaglio e un sottile e suggestivo alluso). Dei due romanzi di Anne (Agnes Grey, 1847; The Tenant of Wildfell Hall, ’48, tradotto come Il segreto della signora in nero) Donghi privilegia il secondo, che ha un complesso montaggio narrativo, con vari passaggi di punti di vista, e una istanza femminista, stupefacente per l’epoca, non esitando a prendere posizione anche contro la legislazione vigente pronta a «equiparare a un crimine l’abbandono del tetto coniugale». Del resto la mite e defilata Anne ha sensibilità per più aspetti precorritrici, anche un tratto animalista, quando su un carrozzino «insistette per impossessarsi delle redini, non volendo che il ragazzo alla guida costringesse l’animale a un tratto troppo sostenuto». Come scrive Bacigalupo nella prefazione, qualità di Donghi è «trovare un filo tra tante storie, informazioni» e «opere memorabili» e svolgerlo in una «lingua insieme personale e di trasparenza quasi classica». Sulla scorta di carteggi, testimonianze e biografie inglesi Donghi è assai fine nel ridelineare, con il suo gusto del dettaglio, alcune scene come l’incontro di Charlotte e Anne con l’editore londinese George Smith che «non trovò particolari attrattive in quelle due sbiadite signorine di provincia, modestamente vestite e stanche del loro strapazzoso viaggio notturno» e «La sera stessa se le trascinò dietro all’opera: ad ascoltare II Barbiere di Siviglia, che le frastornò più di quanto non le divertisse. Era imbarazzante, oltre tutto, non possedere il vestiario adatto all’occasione».


(Alias – il manifesto, 18 ottobre 2020)

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