4 Ottobre 2009
Il Sole 24 ORE

La pantera scomunicata

Ritorna «I loro occhi guardavano Dio» di Zora Neale Hurston. L’autrice, paladina delle battaglie femministe e dei diritti dei neri, fu paradossalmente accusata di razzismo proprio dalla comunità afroamericana – Tacciata di descrivere gli uomini di colore simili agli stereotipi dei bianchi, la protagonista cercava libertà, non facili ideologie
Elisabetta Rasy

Nel 1973 Alice Walker, che non era ancora l’autrice del bestseller Il colore viola ma una poetessa e giornalista militante per i diritti delle donne e degli afroamericani, comprò una lapide per una tomba anonima e abbandonata del cimitero di Fort Pierce in Florida e ci scrisse un nome: Zora Neale Hurston. Cominciò così la resurrezione di questa scrittrice che dopo essere stata la prima allieva nera del sofisticato Barnard College, una figura di spicco del movimento della «Harlem Renaissance» negli anni Venti, un’ importante antropologa della scuola di Franz Boas e un’autrice di successo, nel 1960 era morta povera e sola nell’ospizio dove era ricoverata, già in parte sprofondata in quell’oblio che divenne assoluto dopo la sua fine.
Quando poi Walker nel ’75 pubblicò un saggio su di lei, Zora divenne un punto di riferimento per Toni Morrison e le altre scrittrici afroamericane degli ultimi decenni del Novecento: le furono dedicate biografie, saggi, film e fu inclusa nella lista dei cento neri più importanti del secolo.
Ma Hurston non era stata sempre ammirata e apprezzata dagli intellettuali con cui aveva diviso il cammino, e la sua vita era stata segnata da polemiche e scomuniche. Soprattutto il suo romanzo più importante, I loro occhi guardavano Dio (che ora viene riproposto nella accurata versione italiana di Adriana Bottini) fu accusato di scandalosa scorrettezza razziale.
Era nata nel 1891 in Alabama, figlia di un contadino- predicatore che poi si trasferì con la famiglia in Florida. Si era guadagnata non senza fatica un’istruzione superiore, arrivando persino a togliersi tutti insieme dieci anni d’età nel 1920 per ottenere una borsa di studio all’università di Baltimora. Il suo però non è il profilo di un’accademica né di una integrata soddisfatta, e neanche quello di un’edificante progressista in lotta per i suoi fratelli perseguitati. Zora ama il jazz e il folclore nero, cui dedica le sue ricerche e di cui teme si perda l’eredità, viaggia in continuazione tra i Caraibi e l’America del Sud mentre scrive saggi e racconti per «Fire!!», la rivista di Langston Hughes, è moglie per qualche anno di un jazzista, poi, quasi cinquantenne, per qualche mese di un ragazzo di ventitré anni, e sa addentare le complicazioni della vita senza perdere il suo smagliante sorriso.
Ma quando nel 1937 esce I loro occhi guardavano Dio, un protagonista del movimento afroamericano di quegli anni, lo scrittore Richard Wright, l’attacca senza esclusione di colpi: il libro di Zora Neale Hurston tradisce le regole dell’impegno, i suoi neri somigliano troppo alla versione che ne danno i bianchi, la loro lingua è troppo pittoresca, soprattutto troppo spesso non collimano con l’immagine che la correttezza politica richiede, perché non sono solo dei derelitti sfruttati né degli eroici combattenti per i propri diritti.
Richard Wright aveva ragione, i personaggi della Hurston non sono né miserabili né militanti, ed è proprio per questo che a settant’anni dalla nascita il suo romanzo continua ad affascinare, non ha perso intensità e non è invecchiato. E soprattutto non è invecchiata la protagonista Janie che, come scrive Zadie Smith nella prefazione all’attuale edizione italiana, è assai diversa non solo dagli stereotipi più antichi delle figure femminili nere, ma anche da quelli contemporanei: «Oggigiorno le protagoniste di colore sono sin troppo spesso infallibilmente forti e sentimentali; sono sessualmente voraci e prive di paura; prendono le sembianze irreali di madri della terra, regine africane, dive, spiriti della storia; sfilano maestose e imponenti attraverso le pagine di romanzi intrisi di un lirismo da biglietto di auguri.
Hanno poco della complessità, dei difetti e delle indecisioni, della profondità e della bellezza di Janie e del romanzo della Hurston».
La Janie de I loro occhi guardavano Dio non è impegnata, non ha ideologie, la sua naturale ribellione nasce da un’umile fame di felicità. È figlia di un bianco che ha violentato una schiava nera, ma entrambi sono svaniti nel grande buco del passato e sua nonna la alleva con un unico obiettivo: farle sposare un marito abbiente.
Janie di matrimoni ne farà tre, non per potersi sedere su una sedia a dondolo nel portico come un tempo facevano solo le padrone bianche, ma perché è convinta che ci sono due cose essenziali che ognuno deve fare nella propria esistenza: «avvicinarsi a Dio e scoprire cos’è la vita». Con il suo terzo uomo, un ragazzo che ha la metà dei suoi anni e non possiede nulla salvo la gioia di vivere, Janie toccherà il suo orizzonte, in un crescendo che culmina nel grande uragano con il quale si conclude, anche simbolicamente, la vicenda. Ed è spostandosi nelle regioni del femminile che Zora Neale Hurston disegna pionieristicamente una comunità nera complessa anziché compatta e cambia le carte sul tavolo della lotta al razzismo: perché le donne nere, come spiega la nonna a Janie, sono i muli del mondo, sotto i bianchi ma anche sotto gli uomini neri, e non basta la politica a redimerle: sta al loro coraggio e alla loro intraprendenza, in altre parole al loro spirito più profondo e più singolare, lottare per non soccombere.

Zora Neale Hurston, «I loro occhi guardavano Dio», traduzione di Adriana Bottini, introduzione di Zadie Smith, postfazione di Goffredo Fofi, Cargo, Roma-Napoli, pagg. 266, € 17,50.

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