2 Novembre 2022
Critica Marxista

La politica del desiderio che i maschi non sanno vedere

di Alberto Leiss


È uscita una nuova edizione del libro di Lia Cigarini La politica del desiderio: il femminismo della differenza dagli anni Sessanta a oggi. Una pratica politica basata sul “partire da sé” e sull’invenzione simbolica. La “libertà relazionale” che chiede modifiche radicali al modo di vivere e produrre. Uno sguardo e una chiave per comprendere meglio la crisi che stiamo vivendo. Ma dal mondo degli uomini finora è mancata la capacità di capire e rispondere.

«La vittoria delle destre per l’Italia è una sventura, che tuttavia rivela alcuni fatti e può aprirci delle porte strette, se sappiamo analizzare le nuove contraddizioni con i nostri strumenti. Intanto, quando si parla di destra e sinistra bisogna distinguere tra uomini e donne: cioè tra un sesso in crisi e uno in movimento […] La sinistra ha abbandonato un’ipotesi incentrata sul protagonismo e sull’autorità femminile per tornare a una politica che rivendica la parità. In campagna elettorale si è presentata alle donne con un programma tutto diritti e parità, di nuovo basato sulla rappresentazione delle donne come sesso svantaggiato, laddove il senso comune femminile si era già spostato sul protagonismo. […] E la destra ha finito con l’interpretare le aspirazioni femminili meglio della sinistra, mettendo in campo donne che non avevano la preoccupazione di difendere parità e diritti».

Sono parole pronunciate dalla filosofa femminista Luisa Muraro non, come potrebbe a tutta prima sembrare, a proposito della vittoria di Giorgia Meloni, del suo partito e (molto meno) dei suoi alleati il 25 settembre del 2022, ma nel lontano 1994, subito dopo l’affermazione della coalizione formata da Berlusconi con la Lega di Bossi e Alleanza nazionale di Fini. Successo che portò all’elezione alla presidenza della Camera della trentenne «cattolica integralista, leghista di ferro» Irene Pivetti.

A definire così la neoeletta alla terza carica dello Stato e a raccogliere le opinioni di Luisa Muraro e di Lia Cigarini, fondatrici della Libreria delle donne di Milano, è Ida Dominijanni in una intervista sul manifesto raccolta il 25 aprile di quell’anno. Giornata in cui nella capitale del Nord si svolse la grande manifestazione antifascista che apparve come una prima risposta vitale delle forze di sinistra e democratiche al successo poco previsto e scioccante del neonato centrodestra. Al corteo si presentò a sorpresa anche Umberto Bossi: sopportò i fischi, voleva affermare una sua diversità1. Questa intervista, seguita dall’articolo di Lia Cigarini Meteore, uscito sulla rivista della Libreria di Milano Via Dogana qualche mese dopo, chiudeva la prima edizione del libro La politica del desiderio, raccolta dei principali scritti di Lia Cigarini a partire dai primi anni Settanta, pubblicato nel 1995 da Pratiche Editrice con una introduzione di Dominijanni.

Ora è stato ripubblicato da Orthotes con una nuova nota introduttiva di Stefania Ferrando (il saggio di Dominijanni si conserva in appendice) e una seconda parte che comprende scritti fino al 2020, chiusa da un’intervista all’autrice di Riccardo Fanciullacci. La lettura di questi testi consente una conoscenza diretta dell’elaborazione teorica e pratica del femminismo della differenza nel nostro paese, e anche una interpretazione di un buon mezzo secolo di storia politica italiana – e non solo italiana – dal punto di vista delle donne che hanno vissuto e vivono una ricerca di libertà secondo una via radicalmente alternativa a quella seguita dalle culture politiche, maschili, sia di radici marxiste, sia di orientamento cattolico o liberale, per non parlare delle realtà più a destra.

Un esercizio utile per comprendere il presente, a quasi trent’anni da quel 25 aprile che apriva, dopo l’89, dopo Tangentopoli e con la nuova legge elettorale maggioritaria (il “mattarellum”), la cosiddetta “seconda Repubblica”.

È seguito l’alternarsi di governi di centrodestra e centrosinistra, dei governi “tecnici” e delle inedite maggioranze seguite alle affermazioni dei 5 Stelle e della Lega di Salvini: ora ci ritroviamo, per così dire, al punto di partenza. Con la novità non di poco conto che la destra è più radicalmente a destra, con in mostra i vecchi legami con il neofascismo, ed è guidata da una donna che per la prima volta sale al governo del paese.

A maggior ragione, forse, serve provare a adottare uno sguardo femminile.

Quale desiderio

Ma che cosa significa l’espressione «politica del desiderio»? C’è il desiderio, il bisogno profondo «di valere come singolarità» che prova ogni persona – scrive in apertura Stefania Ferrando – e che viene intercettato dalle società neoliberali offrendo però «surrogati scadenti e violenti, che si traducono nella competizione, nella dinamica della prestazione, in relazioni strumentali e quindi alla fine in una esistenza a disposizione del mercato, schiacciati da una realtà che, di per sé, appare immutabile». Ma c’è una libertà – e un desiderio di libertà – che il liberalismo non conosce (o forse la intravede e cerca di sradicarla), simile a quella di chi crea opere d’arte, «ed è la libertà di inventare nuove mediazioni, indipendenti dai soldi e dai rapporti di forza. Che vuol dire: uscire dal determinismo, scoprire che il mondo racchiude molti mondi e che noi già lì abitiamo».

Queste sono invece parole scritte insieme da Lia Cigarini e Luisa Muraro2 che così proseguono: «Il linguaggio e le relazioni sono il luogo di questa scoperta, anzi: noi siamo il luogo di questa scoperta, nella misura in cui ci lasciamo modificare nello scambio con le altre, gli altri. Mettere le relazioni al cuore della politica, è come l’apertura di un mercato libero e creativo, dove uno/una smette di essere numero, mezzo, variabile, categoria, questione […] e acquista quella che i linguisti chiamano competenza simbolica: l’autorità di dire con le sue parole quello che gli capita di essere e di vivere. Dunque la libertà».

Ho riportato questo lungo passo perché contiene già molte delle parole-chiave che raccontano questa differente idea e pratica della politica. Ed è significativo che ciò avvenga in un testo che partiva dall’analisi di un documento sindacale3, scritto da cinque sindacalisti della Fiom – quattro uomini e una donna – in cui si leggeva tra l’altro che «l’esperienza e il punto di vista delle donne è condizione ormai irreversibile per i rapporti sociali». Una premessa indicativa della consapevolezza di un assetto completamente mutato delle relazioni tra uomini e donne, subito contraddetta però, nello stesso documento, dalla tendenza tipica della cultura della sinistra a ridurre la cosa a “questione sociale” al problema di una “categoria” colpita da determinate ingiustizie. Il ripetersi di questa «riduzione delle donne, da presenza viva e parlante, a un problema, oggetto di un discorso neutro- maschile – osservano le autrici – è impressionante».

Politica e simbolico

Come può emergere una «presenza viva e parlante» delle donne e come può contribuire a una politica di segno nuovo? Capace di coinvolgere anche il mondo maschile? La ricerca di Cigarini nei primi gruppi di autocoscienza si orienta subito al lavoro che “partendo da sé”, dalla propria esperienza reale e dal contesto relazionale in cui è vissuta, guarda prima di tutto alla “narrazione” e alla invenzione di un altro linguaggio. Grazie anche a una reinterpretazione delle scoperte della psicanalisi, da Freud a Lacan4. L’autrice ci tiene a puntualizzare che se sono gli anni del ’68 e successivi quelli che vedono emergere e realizzarsi il femminismo e “il taglio” del separatismo, le origini e la dinamica del movimento delle donne sono fin dall’inizio distinti e diversi da quelle che hanno caratterizzato la rivolta studentesca e giovanile, e poi l’ideologia dei vari gruppi di sinistra, il ’69 operaio, e dall’altro lato la deriva della lotta armata.

Anzi questa storia nasce prima del ’68. Già nel 1965, ricorda Cigarini5, esisteva a Milano il gruppo Demau (Demistificazione autoritarismo patriarcale) che nei due anni successivi produsse vari testi su quella che ancora veniva definita “questione femminile” per poi pubblicare nel ’69 Il maschile come valore dominante6. Analisi nella quale tra l’altro si critica la «mistica della lotta politica» in cui restano rinchiusi i movimenti anti-autoritari, che non vedono e non mettono «al centro della loro lotta la problematica delle donne».

I primi scritti raccolti nel libro di cui parliamo infatti affrontano subito alcuni nodi simbolici emersi già nei primi anni Settanta. Una polemica con Elvio Fachinelli e il regista della Grande abbuffata Marco Ferreri7: secondo l’autore de Il desiderio dissidente il film racconta che il maschio sta diventando inconsistente e superfluo mentre la femmina si rivela «madre mortifera». Non sembra questa obietta Cigarini – la realtà delle cose, piuttosto si tratta di «fantasmi». Abitanti menti maschili che avvertono che qualcosa sta cambiando ma sempre con caratteristiche rimozioni: si vede del femminismo la critica al maschio-padrone, e la si liquida sbrigativamente come cosa schematica, “ottocentesca” (i maschi-padroni non esistono più?), ma non si vedono le donne stesse, il loro moto di liberazione, il loro stare insieme, e la «lotta per dare un linguaggio a questa gioia (delle donne)».

Si vede invece la figura della madre e la si definisce mortifera. La critica prosegue utilizzando termini analitici (l’attribuzione alla figura materna del potere fallico nasconde «il desiderio di ucciderla per mettersi al suo posto») e si conclude con un folgorante riferimento alla concreta realtà italiana: una società con «madri onnipotenti ed esaltate, donne particolarmente asservite e mute, parata virile e fascismo endemico». Parole scritte nel 1974, che purtroppo non suonano troppo anacronistiche anche oggi.

Altro passaggio determinante, due anni dopo, è l’intervento scritto insieme a Luisa Abbà, L’obiezione della donna muta8. Anche in questo caso si parte dalla propria esperienza personale, gli anni di analisi, l’abbandono della politica in un partito, il disagio provato, fino al blocco della parola, anche nel gruppo di autocoscienza quando da questa pratica si avverte il bisogno di spostarsi su altri temi. Dal “personale” al “politico”: lavoro, istituzioni, medicina, la gestione di una libreria… Ma qui sorge il rischio di ricadere in nuove astrazioni, di rompere la relazione con se stesse e con le altre, “la perdita della sessualità”. «Mi sono convinta – recita il testo, originariamente pubblicato anonimo, come usava nel movimento, sul Sottosopra rosa9 – che la donna muta è l’obiezione più feconda alla nostra politica. Il “non politico” scava gallerie che non dobbiamo riempire di terra».

Vedere e provare a nominare il rimosso, a partire dal proprio silenzio oltre che da quello altrui. Un esempio di come l’esperienza analitica e il punto di vista aperto dalla psicanalisi possano contenere la tendenza della politica (maschile) alla verbosità vuota, alla costruzione di analisi astratte, all’indicazione di “obiettivi” che non sono nelle nostre mani.

Potere e autorità

La vittoria elettorale di Giorgia Meloni a capo dei Fratelli d’Italia ha riaperto una discussione sul rapporto tra donne e potere. Come mai a sinistra, e nei partiti e movimenti che si collocano nell’area democratico-progressista, il tanto parlare di diritti e di parità non si è ancora tradotto in Italia in forti leadership femminili? Appena eletto segretario del Pd Enrico Letta ha deciso di sostituire i due capigruppo maschi alla Camera e al Senato con due donne. Una scelta che ha avuto il sapore di una logica correntizia (contro il renzismo interno) oltre che essere un premio ma di tipo octroyé – al protagonismo femminile. Le donne di destra, poco favorevoli alle quote, si affermano perché omologate ai modelli maschilisti? E quelle di sinistra non dimostrano spesso forme di subalternità ai potentati maschili nei partiti? La filosofa Michela Marzano si è chiesta se «l’ossessione che hanno certe donne di arrivare a ogni costo al potere» non sia sbagliata. «La libertà e l’autonomia femminile, con il potere, c’entrano poco»10.

Negli scritti di Cigarini si ritrova il filo di una continua riflessione ed esperienza su questo punto. La libertà femminile è il frutto di una competenza simbolica su di sé e nasce dalla relazione e dello scambio con altre donne. Naturalmente ogni donna è un universo a sé e la relazione si incarna con il riconoscimento delle altre, di un’altra, vedendo anche le “disparità”. Anzi è proprio la relazione di “affidamento” con un’altra donna alla quale si riconosce un di più, se sono chiari il desiderio e il contenuto dello scambio, che produce autorità femminile. Questa critica all’idea di una indistinta “sorellanza” ha sollevato discussioni nel mondo femminista. Disparità, affidamento, autorità: questa dialettica non porterà, di fatto, a nuove gerarchie di potere?

Autorità è una parola che ha anche il significato di un potere che si istituzionalizza. Ma il senso che le si attribuisce in questo caso è opposto (più simile, ma non coincidente, con “autorevolezza”). Per Cigarini, e nella ricerca di questa tendenza del femminismo, l’autorità è «una figura dello scambio», non è un sinonimo del potere che si incarna in questa o quella persona. Anche se naturalmente esistono donne alle quali l’autorità è riconosciuta. D’altra parte «quella dell’autorità femminile è una questione aperta, sempre in forse»11. E il lavoro per riconoscerla, costruirla «è tremendo», giacché l’ingombro creato nei secoli dal simbolico maschile è pesantissimo: «ha occultato e confuso la differenza dei sessi, persino nella procreazione, dove non vi è, da nessuna parte, la donna e il suo desiderio».

Da qui, anche, la valorizzazione della “relazione materna” che ancora una volta, pur radicandosi nel rapporto con la madre reale, è una figura simbolica, che spinge alla ricerca di una propria genealogia, orienta la “contrattazione” tra donne per affrontare gli inevitabili conflitti. Non esistono “madri simboliche” in carne e ossa, ripete Cigarini: questa ricerca e questa pratica politica vuole formare «autorità femminile alla quale tutte possono attingere per realizzare liberamente nel mondo i propri desideri”. Una pratica che “impedisce che si formi un’autorità di tipo materno o di tipo fallico, nel senso che la libertà di stabilire le regole misurata con la libertà dell’altra è tua».

Naturalmente lo scoglio del potere non può essere rimosso: «La questione del potere scrivono Lia Cigarini e Luisa Muraro in un articolo uscito su questa rivista12 – [è] centrale per la politica (come per la vita degli esseri umani e per la vita in genere)». Per le due autrici il femminismo ha vissuto la possibilità «provata praticamente, di creare autorità senza potere nei rapporti sociali. Fino alla distruzione di ogni forma di potere?», si chiedono. E la risposta è questa “formula”: il massimo di autorità con il minimo di potere. Non sarebbe “volontarismo”, perché la più parte delle donne «sono internamente oppresse dal potere, dalla sua logica e dai suoi simboli».

Ma è una formula che può essere fatta propria anche dagli uomini? Non lo sappiamo, osservano Cigarini e Muraro, perché “manca da parte maschile un lavoro di presa di coscienza. Non possiamo quindi sapere quanto l’avere potere conti per un uomo e per la sessualità maschile”.

Femminismo e sinistra

In numerosi interventi nella parte centrale del libro – cronologica- mente tra fine degli anni Ottanta e anni Novanta – Cigarini torna su un episodio emblematico del rapporto tra il femminismo e la sinistra, in particolare il Pci dell’ultimo periodo prima della “svolta” che ne cancellerà il nome, e di fatto anche la sostanza. È l’iniziativa di Livia Turco, giovane responsabile femminile nella segreteria Natta, succeduto a Berlinguer, di lanciare una “Carta itinerante delle donne comuniste” intitolata Dalle donne la forza delle donne13. Il documento, che fu approvato dalla Direzione del Pci nel 1986 e che animerà in effetti numerose iniziative politiche e sociali verso le realtà femminili, nel mondo del lavoro e non solo, era costituito da una prima parte che mutuava dal femminismo della differenza i concetti del ruolo fondamentale delle relazioni tra donne, del desiderio e della libertà femminili, e in una seconda parte con una serie di obiettivi e rivendicazioni programmati- che. Una sorta di “compromesso”, quindi, tra l’ispirazione del femminismo radicale e la “politica di massa” per com’era intesa dal Pci. Ma il punto dolente fu la scelta delle donne comuniste – non senza discussioni interne – di battersi per il “riequilibrio della rappresentanza” tra donne e uomini nelle istituzioni, e di fatto accentuando una forma di politica separata dentro il partito nelle commissioni femminili. In questo modo le donne, secondo Cigarini, rinunciavano a “mettersi al centro” della politica in un partito e dell’azione per cambiarlo, inoltre aprivano l’equivoco che donne elette in Parlamento lo fossero per rappresentare altre donne.

Nel Pci che dopo la scomparsa di Berlinguer cercava una difficile via di rinnovamento tra tendenze interne opposte, le idee del femminismo della differenza venivano formalmente riconosciute. Il congresso del cosiddetto “nuovo Pci”, nel marzo dell’89, fu aperto da un intervento di Luce Irigaray, autrice di quel libro, Speculum14, che aveva inaugurato la riflessione sulla differenza sessuale, pagando la sua “eresia” con l’espulsione dall’Università di Vincennes e la rottura con Lacan e l’Ecole Freudienne de Paris, dove Luce si era formata.

Pochi mesi dopo il crollo del muro di Berlino e il metodo con cui il Pci andò alla rimozione del proprio nome di fatto cancellarono quei tentativi di contaminazione. Nelle formazioni seguite alla fine del vecchio partito le politiche rivolte alle donne saranno sempre più improntate alla parità e ai diritti. Ma la legge non ha principalmente il potere di cambiare la realtà, può registrare il cambia- mento quando avviene nella testa e nei comportamenti delle persone.

Il lavoro e la legge

Questo tentativo di lettura dei testi di Cigarini, mettendoli saltuariamente in relazione con gli eventi della storia politica italiana dell’ultimo mezzo secolo sarebbe monco se non citassi almeno altri due aspetti della sua riflessione e esperienza. Il mondo del diritto, e quello del lavoro.

La professione di avvocata ha portato l’autrice a riflettere radicalmente sul funzionamento della giustizia nel processo e sul significato della legge. Da un lato l’idea che la pratica politica femminista tende ad agire «sopra la legge»15, cioè nel luogo «dell’esistenza simbolica, il luogo dell’autorità che io oggi riconosco ad altre donne e mi riconosco». Il rischio di puntare in primo luogo a nuove leggi è quello di passare da una condizione di «escluse-internate» in un ordine normativo segnato dal maschile, a quello di «incluse-internate» nello stesso ordine. Come ha scritto Antoinette Fouque quello che si desidera è invece «un gran balzo al di fuori, in indipendenza», che cambia quella condizione. Ciò non vuol dire che si escluda la possibilità, vista la crescita del cambiamento ottenuto dal movimento delle donne, della creazione di un nuovo diritto. Ma questo, secondo l’autrice, può avvenire se si creano nella pratica del processo quelle relazioni tra donne, avvocate, clienti, magistrate, che sappiano modificare le norme costruendo nuove mediazioni. Che devono necessariamente avere una valenza universale.

Al mondo del lavoro è dedicata una sezione, “Immagina che il lavoro”, nella parte nuova del libro che copre gli anni più vicini. Anche qui i testi sono in grande misura il racconto di pratiche che nel corso degli anni hanno coinvolto sindcaliste, ma anche imprenditrici, intorno alla Libreria delle donne di Milano. Il titolo della sezione rimanda al Sottosopra che nel marzo 200916 fa un punto su questiscambi, insistendo sulla idea che per lavoro si debba intendere «tutto il lavoro necessario per vivere». Quindi non solo l’attività produttiva riconosciuta dal mercato economico, ma anche tutto il lavoro di cura, o di “manutenzione”, della vita, che in genere è svolto dalle donne senza essere, letteralmente, messo nel conto. Un punto di vista che apre a una concezione del “mercato” radicalmente diversa: un luogo a cui “portare tutto”. Non solo le prestazioni professionali, ma anche desideri, sentimenti, relazioni. Un cambiamento che dovrebbe coinvolgere tutti, donne e uomini, nei loro tempi e modi di vita.

Ma la sezione è aperta da un intervento di spessore teorico – Se Marx avesse capito17 letto nel 2015 al convegno I ritorni di Marx, tenuto presso la Fondazione Luigi Longo di Alessandria. Il ritorno all’autore del Capitale di Lia Cigarini presenta un Marx «mai rinnegato», ma riletto – e corretto – con gli occhi di Simone Weil, accostata al contemporaneo pensiero di Antonio Gramsci. Due coetanei che non si conoscevano, «corpi fragili, abitati da un’intelligenza superlativa e dalla passione politica».

Da questa lettura esce assai ridimensionata la pretesa “scientifica” delle previsioni di Marx (un «idealismo utopico») così come l’aver concentrato nell’economia la «chiave dell’enigma sociale della sottomissione del numero più grande ai pochi detentori del potere». Ne deriva un’idea di libertà del lavoro, e di libertà di e per tutte tutti che non rimuove la “singolarità irriducibile” del soggetto, ma senza avere nulla a che fare con la libertà borghese o con quella del neoliberismo: una «libertà relazionale», che «non è data una volta per tutte ma che si struttura nella interdipendenza tra gli esseri umani».

E questa acquisizione, propria del movimento delle donne e del femminismo, possono essere – afferma Cigarini – «una possibile risposta agli interrogativi e alla estrema sofferenza del mondo del lavoro».

Una risposta mancata

Quel saggio su Marx terminava, ribadendo la “complessità”, ma anche la verità di una idea della libertà non liberale ma relazionale. Qualcosa che supera il paradigma dell’uguaglianza, oltre un mondo “già pensato” (giustizia, socialismo, comunismo): la libertà delle donne «apre un campo non concluso ma in divenire: il conflitto tra i due sessi è dinamico». «Noi ci stiamo pensando aggiungeva Cigarini – ma se gli uomini a loro volta non lo fanno, in specifico, se non pensano al rapporto tra produzione e riproduzione continuano a mancarci le mediazioni necessarie».

Come in altri interventi l’autrice qui poneva la necessità – a questo punto della storia – dello sviluppo di “relazioni di differenza” tra donne e uomini per aprire un mutamento complessivo, che spesso questo femminismo ha nominato come un “cambio di civiltà”. Qualcosa che presume una modificazione radicale dello sguardo e del desiderio anche da parte nostra. La domanda rivolta a noi maschi torna nella lunga intervista condotta da Riccardo Fanciullacci, che chiude il volume ricapitolando e aggiornando tanta parte del materiale precedente. Intanto siamo entrati in un nuovo decennio e le cose non vanno molto bene.

È in crisi la politica della rappresentanza e dei partiti, e sono in crisi le stesse grandi democrazie occidentali: siamo davanti al precipizio nella guerra dopo una pandemia i cui effetti e interrogativi non sono ancora sciolti, conclusi. La lettura di Cigarini è che questa crisi sia in buona misura interpretabile con la caduta della pretesa di universalità che avevano le costruzioni e istituzioni maschili, quindi anche come un effetto del movimento delle donne. Ma ancor più come prodotto «dell’insufficienza della risposta che a questo hanno dato gli uomini».

L’intervistatore prova ad argomentare che, se non nei luoghi del potere, dell’informazione, della politica, ma nell’agire quotidiano, a fronte dei maschi che reagiscono con violenza, fino al femminicidio, c’è sicuramente una maggioranza di uomini che accettano per esempio il fatto di essere lasciati, per- ché «sanno che questa possibilità è nell’ordine delle cose giacché è conseguenza della libertà femminile». Questo è vero, riconosce l’autrice, tuttavia non sanno ancora mette- re in parola questo mutamento, dargli valore simbolico e quindi farne discendere conseguenze piano politico o sul piano della organizzazione del lavoro.

Cigarini, a questo proposito, fa un esempio sul quale non posso mancare di interloquire. Ci sono stati lunghi anni di interlocuzioni tra la rete di Maschile plurale, della quale faccio parte, e le femministe della Libreria delle donne di Milano. In particolare nei seminari annuali organizzati da “Identità e differenza” in Veneto18. Anche da quegli scambi è cresciuto un impegno sul terreno del contrasto alla violenza maschile e nella diffusione di gruppi di uomini che riflettono sulla propria differenza sessuale. Una pratica che però stenta a uscire dal “tra uomini”. Una sorta di separatismo speculare?

«Non è più la politica tradizionale – osserva Cigarini – ma non è neppure ancora una politica che mette al centro lo scambio con le donne e con ciò che il movimento delle donne ha generato […] mi pare un appuntamento mancato». Credo che siano osservazioni fondate. Posso dire che nei gruppi di Maschile plurale, e in altre realtà simili diffuse un po’ in tutta Italia, si conferma la ricerca di uomini anche molto giovani verso luoghi dove parlarsi, tra maschi, in un linguaggio diverso da quello prevalente nei luoghi di lavoro, al bar, in palestra, allo stadio. Che c’è il racconto di relazioni diverse con le compagne o mogli, con i figli piccoli. Con altri uomini. Che c’è un consapevole rifiuto della “maschilità tossica”, propria e altrui. Emerge però un grande interrogativo su che cosa sia e cosa si debba intendere per politica. Quel salto di qualità simbolico e pratico resta come un oggetto rispetto al quale il desiderio sta come acquattato.

Forse, in forme più o meno inconsce, teme, manifestandosi pienamente, di produrre altri terribili guai?


1 All’esibizione antifascista a Milano Bossi farà seguire – come si ricorderà – una intesa di fatto con Massimo D’Alema, segretario del Pds, che porterà otto mesi dopo alla caduta del primo governo Berlusconi, sul tema delle pensioni, e alla nascita del governo “tecnico” di Lamberto Dini. L’Ulivo di Prodi vincerà nel 1996 anche perché la Lega di Bossi non si alleò con Berlusconi e Fini.

2 La politica del desiderio e altri scritti, Napoli-Salerno, Orthotes Editrice, 2022. Al fondo e al centro della politica, su Via Dogana, n. 64, Io e il capitale, marzo 2003, p. 213.

3Pubblicato su Critica Marxista, 2002, n. 5-6.

4 Lo argomenta nel suo saggio Ida Dominijanni: «C’è al cuore del pensiero politico di Cigarini un nocciolo senza il quale tutti gli strati perdono di significato e si disfano nell’equivoco. Questo nocciolo […] ha a che fare con la psicanalisi e più precisamente con il debito, disconosciuto, che il concetto di materialismo ha contratto con l’eredità di Freud e che la politica si rifiuta di assumere nel proprio bagaglio teorico e pratico» (in La politica del desiderio e altri scritti, cit., p. 337).

5 Ivi, p. 253.

6 Firmato da Lia Cigarini, Daniela Pellegrini, Elena Rasi, pubblicato sulla rivista Il manifesto, 1969, n.2, e poi nel libro di Rosalba Spagnoletti I movimenti femminili in Italia, Roma, Samonà e Savelli, 1971.

7 La politica del desiderio e altri scritti, cit., p. 19.

8 Ivi, p. 25.

9 Sottosopra sarà la testata di tutti i principali documenti pubblicati negli anni dalla Libreria delle donne di Milano.

10 Nell’articolo Donne, meglio libere che di potere, su La Repubblica, 11 ottobre 2022.

11 Note sull’autorità femminile, pubblicato su Madrigale 1989-90, n. 4. In La politica del desiderio e altri scritti, cit. a p. 99.

12 Lia Cigarini, Luisa Muraro, Politica e pratica politica, in Critica Marxista, 1992, n. 3-4. In La politica del desiderio e altri scritti, cit., p. 169.

13 Di questa esperienza parlano le pro- tagoniste in C’era una volta la Carta delle donne, a cura di Letizia Paolozzi e Alberto Leiss, Roma, Biblink, 2017. Vedi anche Livia Turco, Compagne. Una storia al femminile del Partito comunista italiano, Roma, Donzelli, 2022.

14 Luce Irigaray, Speculum, traduzione di Luisa Muraro, Milano, Feltrinelli, 1975.

15 La politica del desiderio e altri scritti, cit., p. 149.

16 Immagina che il lavoro, Sottosopra, marzo 2009 (https://www.libreriadelledonne.it/pubblicazioni/sottosopra-immagina- che-il-lavoro/). Vedi anche il nuovo libro, a cura del Gruppo lavoro della Libreria delle donne di Milano, Dalla servitù alla libertà. Vita lavoro politica per il XXI secolo, Bergamo, Moretti e Vitali, 2022.

17 La politica del desiderio e altri scritti, cit., p. 259.

18 Cfr. Teresa Lucente, Il luogo accanto. Identità e differenza, una storia di relazioni, Roma, Effigi edizioni, 2020.


(Critica Marxista n. 5, 2 novembre 2022)

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