di Elvia Franco
«L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria» a cura di Franca Marcomin e Laura Cima è un libro che va segnalato. Un libro che va letto. Un libro che rivela la ricchezza dell’ecofemminismo in Italia a partire dal 1985. Un libro che trabocca di “ragioni seminali” in grado di svilupparsi, fiorire e fare futuro. Perché non c’è futuro senza il coraggio dell’ecofemminismo sul territorio, negli ideali, nel mondo.
Il libro è una polifonia di voci che testimoniano il tempo di lavoro dei Verdi del Sole che ride, e di tutto l’arcipelago verde, un tempo di entusiasmo, di speranze in cui sembrava di poter cambiare vivacemente il mondo in senso ecologista, antinucleare, pacifista attraverso idee forti assertive e idee forti critiche. Critiche rispetto alla gestione patriarcale dell’esistente, che si prefigurava sempre di più come globalizzazione, (leggi imperialismo) da parte delle élites economico-finanziarie e neoliberiste e come pretesa della tecnoscienza di gestire ogni aspetto della vita umana, e non, nell’orizzonte del profitto e del prestigio, coniugati al maschile.
Le tante idee forti, allora e oggi, riguardano le proposte per un’agricoltura rispettosa della terra, un’agricoltura che tiene cari gli insegnamenti di Vandana Shiva, per una mobilità sostenibile, per una scuola attenta all’alterità e alla complessità, per la conversione ecologica dell’industria, per la difesa degli animali, per favorire il parto in casa, per il rispetto delle differenze, per la consapevolezza di essere donne capaci di gestire l’esistente che si trasforma, ecc. (se è permesso, questa è immagine e metafora del corpo gravido accogliente che consente sviluppo e trasformazione).
Tutte queste posizioni non stanno a sé, ma confluiscono a formare un’unica sinfonia: la sinfonia verde della speranza e della vita in cui anch’io, mischiata a tante donne, ho avuto la mia piccola parte.
Ora i Verdi in Italia hanno perso quella forza utopica-concreta che avevano quando Laura Cima era stata eletta deputata nel 1987 e, poco dopo, presidente di un direttivo di sole donne. Come a indicare che la vita, il pensiero, le pratiche sono stimolate e vivono quando si delinea un orizzonte di senso femminile che fa respirare ed è accogliente.
Alcuni maschi delle sinistre (demoproletari, radicali…) confluiti opportunisticamente nei Verdi hanno mortificato questa esperienza di guida femminile e sono tornati loro in primo piano. Hanno di nuovo vinto, comunque perdendo. Perché lo slancio e l’entusiasmo del movimento sono stati assorbiti dalla voracità organizzativa-piramidale maschile, questa sì davvero universale, ma sempre più impacciata e debole, perciò più violenta.
Quei semi di verde e di speranza, gettati allora, hanno creato una coscienza diffusa. Oggi c’è un maggior interesse per l’agricoltura biologica, un maggior rispetto per gli animali, un’attenzione per la raccolta differenziata, uno svilupparsi della bioarchitettura, una sensibilità per una mobilità ecologica…
Certamente questi sono frutti maturati in quella prodigiosa stagione (fine anni ’80, primi anni ’90) in cui i Verdi, più rosa che verdi, sono stati protagonisti della politica italiana.
Ma anche in questo caso, non si può non fare un’amara e indignata constatazione.
La coscienza ecologista non maturava contemporaneamente insieme a una nuova e diffusa coscienza politica e la governance rimaneva, più forte di sempre, nelle mani delle élites neoliberiste che si gettarono a capofitto sulla coscienza “verde” delle persone per gestirla dal loro punto di vista. Per cui nonostante le piccole comunità laboriose, nonostante le piccole imprese ecologiste e rispettose della terra, le multinazionali capirono che avevano tra le mani una nuova occasione di profitto e non se la lasciarono scappare. Si potrebbe dire «Lasciamole fare, se fanno ecologia!». Ma non sarebbe da ingenui pensare che il motore del profitto, che ha fatto immensi disastri, sia anche quello che li risolve? Perché se fanno, per esempio, agricoltura bio qui, non la fanno forse anche sfruttando i migranti pagati in nero un niente, e con l’evasione fiscale conseguente? E magari anche con la distruzione di terre in altre aree del mondo, perché il profitto è il profitto e cinicamente si fa dove si può!
Oggi l’ecofemminismo è necessario più che mai. Oggi che si è posto il dramma delle migrazioni, l’inquietudine dei cambiamenti climatici, oggi che i viventi che abitano la Terra Madre sono oggetto di grandissimo interesse da parte della tecnoscienza che ambisce un po’ per volta a modificarli geneticamente, così come ambisce a completare del tutto l’espropriazione della donna dal processo riproduttivo con l’embrione ingegnerizzato e la costruzione prossima di grembi supertecnologici, proprio oggi le donne sono consapevoli della loro forza. E se il potere, ancora patriarcale, progetta anche di sostituire le relazioni vive con relazioni finte di robot come sorveglianti, amici, istruttori, mandando fuori campo gli affetti, la cura, la responsabilità di stare insieme solidali, le donne sono consapevoli che queste cose sono il loro modo di stare nel mondo e non staranno con le braccia conserte a guardare.
L’ecofemminismo è più necessario di sempre. È necessario che le donne prendano a governare il mondo che si trasforma e comincino a dare realtà all’intuizione femminile di un uomo caro, Alexander Langer, per cui i paradigmi dell’esistenza dovevano rovesciarsi da altius, citius, fortius, a lentius, profundius, suavius che sono i tempi della Madre Terra e della femminilità.
Il libro «L’ecofemminismo in Italia, radici di una rivoluzione necessaria» non solo è vivace, non solo è un concentrato di fermenti che attendono di fiorire, ma è anche, e soprattutto, utilissimo per riportare speranza, movimento e pratiche nuove a quest’epoca buia.
(L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria, a cura di Franca Marcomin e Laura Cima. Giugno 2017. Casa editrice Il Poligrafo, Padova)
(www.libreriadelledonne.it, 17 gennaio 2018)