7 Marzo 2021
il manifesto - Alias

Lady Montagu, un’ambasciatrice alle origini dei vaccini

di Viola Papetti


Tra Londra e Costantinopoli. Il Settecento offrì alle donne possibilità nuove: viaggiare, lèggere, scrivere… La storia di Lady Mary, «influencer» anti-vaiolo, nel racconto di Maria Teresa Giaveri, Lady Montagu e il dragomanno. Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini (Neri Pozza, pp. 157, € 17,00).


«Quando apriamo qualche vecchio libro di ricordi o di lettere siamo fin troppo pronti a abbandonarlo con lo stesso sorpreso disgusto che ci prende quando contempliamo fotografie ingiallite di trent’anni fa» – scrive quell’impareggiabile saggista che fu Lytton Strachey. Prima di iniziare il suo ritratto di Lady Mary Wortley Montagu nel 1907 fa una ulteriore drammatica premessa. Il suo secolo, il Novecento appena iniziato, ha messo di moda l’umanità, ed è difficile riconoscere quelle che chiama le fredde nobiltà del tempo antico. I doveri di una generazione diventano le tentazioni di quella successiva. Tuttavia, se vogliamo esplorare «il famoso Regno dei Morti» occorre lasciarci alle spalle la nostra insularità. «Dovremmo scendere nudi nelle loro dimore, per un incontro di boxe con la Morte». (Biographical Essays).

Strachey si calò nel Settecento, il secolo più civile, inventivo, moderno della storia inglese, e incontrò Lady Mary con la sua prorompente vitalità: i tormentosi amori italiani, l’intraprendenza, l’impulsività, la naturalezza di una scrittura suggerita dalla conversazione e che alla conversazione ritorna, come cronaca, chiacchiera, confessione. Le sue famose Turkish Letters (1716-1718), lette ad alta voce nei salotti londinesi, misero fine all’Oriente moralisé dei contemporanei e diedero inizio alla grande voga pittorica dell’Orientalismo. Accolta in un hammam femminile, Lady Mary ammira stupita le donne completamente nude che la invitano graziosamente a bere un caffè, che non bisbigliano maliziose alle sue spalle, che non maltrattano le belle schiave. «Qui mi sono convinta della verità di una riflessione che avevo fatto spesso; che se la moda imponesse di andare nudi, non si guarderebbero più i visi. Le signore con la pelle più bella e le forme più delicate riscuotevano la mia grande ammirazione, anche se avevano un viso meno bello delle compagne». A ragione Ingres teneva quella lettera sotto gli occhi mentre dipingeva tonde odalische. Ma Strachey, ancora immerso nel perbenismo vittoriano, si sottrae al fascino di un egotismo tanto spinto, a una spavalderia così femminile. «Lei era, come il suo tempo, fredda e dura; infinitamente non romantica; spesso cinica, e qualche volta volgare». Il Settecento, così congeniale a Lady Mary, offriva alle donne (ricche) possibilità impensate: leggere, viaggiare, scrivere tante lettere ad amici e amanti – favorite da un instancabile servizio postale. Erano le eroine di romanzi famosi che anche nel titolo ostentavano il nome di lei: Pamela, Moll Flanders, Roxana, Clarissa.

Un’egloga sulla sua malattia

La produzione epistolare di Lady Mary si può suddividere in quattro gruppi che corrispondono a quattro periodi della sua vita: le lettere al futuro marito Edward Wortley – non due normali fidanzati, ma «due gladiatori intellettuali» che si fronteggiano prima dello scontro (ancora Strachey); poi le straordinarie lettere da Costantinopoli in cui era giunta al seguito del marito nominato ambasciatore presso la Sublime Porta; gli scritti londinesi, quando entra in contatto con gli intellettuali più in vista (Pope, Addison, Francesco Algarotti, Lord Hervey, l’abbé Conti); le ultime lettere dalla Francia e dall’Italia, indirizzate alla figlia Lady Bute. Due sono i punti in cui l’imprevedibile Lady Mary, emergendo dal suo secolo, tocca il tempo a venire: il contatto con una civiltà tanto diversa sperimentata nell’hammam e quella prova dolorosamente personale della malattia che l’aveva deformata: il vaiolo che aveva ucciso il fratello tredicenne, e per sempre butterato il volto di lei, i suoi begli occhi ormai senza ciglia. Il celebre «Wortley eye», come lo chiamarono gli amici.

Nel 1716 sulla sua triste esperienza scrisse una Town Eglogue, ossia un’egloga moderna, «The Small Pox» (Il vaiolo). «La povera Flavia nel suo letto reclina, / così lamentava l’angoscia d’un animo ferito. / Uno specchio rovesciato nella destra reggeva; / ora evita la faccia che prima cercava. / Quanto sono cambiata! Ahimè, sono diventata / uno spettro spaventoso a me stessa ignoto!». Il lamento va avanti per un centinaio di distici eroici e conclude: «Adieu voi Parchi, in qualche oscuro recesso, / dove acque gentili piangeranno la mia disgrazia, / dove un falso amico non parteciperà al mio dolore, e lamenterà il mio disastro con la gioia nel cuore, / ch’io viva in qualche luogo deserto, / là nasconderò questo volto distrutto inglorioso / Voi Opere, Feste, mai più dovrò vedervi! / alla mia Toilette, ai miei nei, a tutto il mondo Adieu!».

Nel 1765 il Parini compose «L’innesto del vaiolo» contro quella che fino alla fine del secolo fu una malefica pandemia: «Tutti i sudor son vani / Quando il morbo nemico è su la porta». Maria Teresa Giaveri ricostruisce la storia di questa drammatica pagina della medicina, puntando sul ruolo che vi ebbe Lady Mary fra quanti tentarono di trovarne un rimedio: Lady Montagu e il dragomanno Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini (Neri Pozza «I colibrì», pp. 157, € 17,00). La tecnica della ‘variolizzazione’ o ‘inoculazione’ o ‘innesto’ è descritta in una lettera di Lady Mary da Adrianopoli (Edirne) dell’aprile 1717: «Il vaiolo, così fatale e così frequente da noi, è qui reso completamente inoffensivo dall’invenzione della inoculazione, come viene chiamata». Una vecchia esperta punge con un grosso ago e introduce la materia vaiolosa con una piccola ferita in quattro o cinque vene. «Non si conoscono persone che ne siano morte; e l’esperienza pare abbastanza inoffensiva da farmi decidere di tentarla sul mio caro bambino. Sono abbastanza patriottica da darmi la pena di mettere di moda in Inghilterra questa utile scoperta; e non mancherò di darne tutti i particolari per iscritto a quei nostri medici – se ne conoscessi – che fossero abbastanza virtuosi da far scomparire una parte considerevole dei loro introiti per il bene dell’umanità».

Mode, opinioni, diari

Mantenne la parola. Fece vaccinare il piccolo Edward, e tornata a Londra adoperò la sua influenza a corte – era una brava influencer – presso la noiosa corte degli Hannover. La coppia dei Wortley era assistita da un medico scozzese, il dott. Charles Maitland – la peste il pericolo più temuto – e da un «primo dragomanno», ossia un segretario speciale con vari e importanti compiti, in servizio presso l’ambasciata. Emanuel Timoni, turco di origini genovesi, vantava competenze mediche, letterarie e scientifiche. Nel dicembre 1713 Timoni mandò un lunga lettera in latino sulla pratica dell’inoculazione, tradotta poi e pubblicata nelle «Philosophical Transactions» della Royal Society di Londra. Lady Mary di certo la lesse. Studente della famosa Università di Pavia come Timoni, Jacopo Pilarino, console a Smirne, nel 1715 spedì a Venezia un resoconto sull’inoculazione. Di loro, scomparsi nel 1718, non si faceva menzione, ma in Italia già alla metà del secolo la loro proposta circolava tra medici e scrittori (il dottor Gatti di Pisa, Verri, Parini…). Giaveri disegna un eccentrico quadro storico, pubblico e privato, di mode e opinioni, di viaggiatori e diaristi, di liberi pensatori, quei «cittadini di Europa», come scrisse Voltaire a proposito di Francesco Algarotti, l’uomo che Lady Mary, innamorata, sperava vanamente di rincontrare in Italia. Quasi presaga, scriveva dalla Turchia: «A prestar fede alle donne di questo Paese, esiste una maniera di farsi amare sicura quanto quella di farsi bella (che è il metodo usato da noi)… Non pretendono di aver commercio con il diavolo, ma solo di ispirare l’amore con certi filtri. Se ne potessimo esportarne un carico, faremmo subito fortuna».

Lady Mary, la «splendida cometa» che aveva riempito i cieli della prima metà del secolo, si spegneva a Londra tra l’incomprensione e l’impazienza di parenti e amici. Il suo biografo alla fine le riconosce l’onore delle armi: intelligenza e coraggio.


(il manifesto – Alias domenica, 7 marzo 2021)


Nota redazione: Finalmente in tempi di virus e vaccini, si ricorda Lady Montagu che ha introdotto il concetto di vaccino in Europa e non si è dimenticata di ringraziare le donne turche da cui ha imparato.

C’è una pecca nell’articolo: si cita il Parini, ma non si dice che lo scrittore fa un elogio a Lady Montagu, alla sua tenacia.


Dall’Ode del Parini, L’innesto del vaiuolo, il frammento:

[…]

O Montegù. Qual peregrina nave,

barbare terre misurando e mari,  
e di popoli varj 
diseppellendo antiqui regni e vasti, 
e a noi tornando grave 
di strana gemma e d’auro 
portò sì gran tesauro, 
che a pareggiare non che a vincer basti 
quel, che tu dall’Eussino a noi recasti?

Rise l’Anglia la Francia Italia rise 
al rammentar del favoloso innesto: 
e il giudizio molesto 
de la falsa ragione incontro alzosse. 
In van l’effetto arrise 
a le imprese tentate; 
ché la falsa pietate 
contro al suo bene e contro al ver si mosse, 
e di lamento femminile armosse. 

[…] 
 

In italiano sono pubblicati:

Lady Mary Wortley Montagu, Tra le donne turche. Lettere 1716-1718, Archinto, 1993

Lady Mary Wortley Montagu, Cara bambina. Lettere dall’Italia alla figlia, a cura di Masolino D’Amico, Adelphi, 2014

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