Serena Fuart
Così era spesso chiamata Annemarie Schwarzenbach, donna avventurosa e libera, che ha saputo sfidare famiglia, società e nazismo.
Si è parlato di lei sabato 5 febbraio alla Libreria delle donne di Milano, nel corso di un emozionante incontro che, tra parole e immagini edite inedite, hanno ripercorso la vita di questa affascinante quanto indecifrabile scrittrice e fotografa.
Il lavoro, a cura di Tina D’Agostini, sua traduttrice italiana, è stato presentato da Liliana Rampello.
Ricca, giovane, colta, errabonda. Slanciata, androgina, adolescenziale, malinconica. Appassionata e solitaria. Una donna bellissima e corteggiatissima. Annemarie Schwarzenbach.
Nata nel 1908 in Svizzera e morta a soli 34 anni, ha attraversato la prima metà del Novecento cercando di capire il mondo e se stessa.
Una serata, quella del 5 febbraio, dedicata a lei, alle sue ricerche di senso, al suo vivere inquieto. Un viaggio, raccontato con parole e immagini edite inedite, raccolte con cura ed emozione da Tina d’Agostini, appassionata studiosa e traduttrice della Schwarzenbach.
Annemarie nacque il 23 maggio 1908 a Zurigo da un ricca famiglia dell’alta borghesia svizzera. Suo padre (1876-1940), uno degli industriali più facoltosi, proprietario di setifici a Thalwil (Zurigo e in altre parti del mondo), non ha mai nascosto un’iniziale predilizione verso questa sua figlia, terzogenita, dal volto efebico, candido, androgino, angelico, alla quale riservò un trattamento speciale per la sua educazione culturale
Annemarie trascorse i primi anni della sua vita con i fratelli maggiori. Nel 1911 e nel 1913 ne nacquero altri due: Alfred Friedrich (che lei chiamerà sempre Freddy) e Hans.
Dopo un attacco di scarlattina, per sette anni fu seguita da un’istruttrice privata. In seguito studiò nelle migliori scuole. Si laureò in lettere nel 1931.
Ma il rapporto più interessante e particolare, Annemarie lo ebbe con la madre. Fu la madre inoltre che la iniziò all’amore saffico, un’inclinazione che la giovane e tormentata figlia visse per tutta la sua esistenza.
Renée Schwarzenbach può essere tranquillamente definita una madre-padrona. Con la figlia intrecciò un legame simbiotico, autoritario e repressivo. Non smise mai di cercare l’esclusività per la sua educazione. Annemarie fu dal lei pesantemente influenzata e furono proprio i disaccordi con Renée che le procurarono i dolori più profondi.
Renée avrebbe voluto per la figlia la vita che aveva da sempre condotto lei: un’esistenza tutta legata alle apparenze che però non negava, in privato, la soddisfazione di alcune intime inclinazioni.
La madre di Annemarie fu una moglie ‘normale’, una perfetta padrona di casa, felicemente sposata con tanti figli. Nella vita privata però non fu mai ostacolata, (né dal marito né da altri), nella sua relazione con la cantante wagneriana, Emmy Kruger, che viveva con loro e godeva di tutte le attenzioni riservate a un’ospite speciale.
Ma la giovane scrittrice, in cerca di un senso di sé e della sua vita, non volle mai nascondersi dietro l’ipocrisia e non fece mai mistero dei suoi amori lesbici.
Lo stile di vita di Annemarie creò attriti e contrasti con la famiglia, tanto che divenne il maggiore elemento di disturbo, sia da viva che dopo la sua morte. Quando, dopo la sua morte prematura, ritrovarono i suoi scritti, la famiglia desiderò che su quel caso calasse il silenzio.
Sin da giovane Annemarie mostrò il suo spirito ribelle e avventuroso, controcorrente e particolare. Questo attirò su di lei ammirazione, curiosità e perplessità.
Il personaggio centrale della sua vita fu certamente Erika Mann. Figlia dello scrittore Thomas Mann e sorella di Klaus, è oggetto di un innamoramento folle e morboso da parte di Annemarie.
Annemarie intrecciò con lei e il fratello un profondo legame artistico, un forte attaccamento e una vera e propria dipendenza emotiva.
Con loro entrò nel giro di un ambiente libertino e bohémien, uno dei perni della lotta contro Hitler, e sicuramente, un mondo di cultura e inclinazioni decisamente alternativo rispetto alle tradizioni della sua famiglia.
Tra i Mann e Annemarie ci fu una fitta corrispondenza. Ma Erika prese poi sempre più le distanze dall’amica innamorata che aveva cercato invano di liberare dalla dipendenza materna.
Anche con Klaus il rapporto fu molto forte. Annemarie cercò da lui come dalla sorella sostanzialmente un amore e un legame familiari, quella famiglia che avrebbe sempre desiderato e la cui mancanza ha certamente contribuito al suo profondo dolore.
Ma non fu mai così. Abituati al successo e disinteressati al suo genio creativo, i due fratelli si rivolsero ad Annemarie principalmente per i cospicui aiuti finanziari che la ragazza potè loro dare.
Il legame con loro segnerà comunque la sua vita. I fratelli Mann inizieranno Annemarie alla morfina, una droga da cui non riuscirà mai a liberarsi.
La sofferenza, la solitudine, che nonostante le innumerevoli frequentazioni, gli amori, le amicizie, contraddistinsero sempre la sua vita e la sua opera, condussero la giovane donna a viaggiare molto e ricercare un centro e un senso alla sua vita. Annemarie viaggiò in Persia, in Afghanistan, in Russia, in India, scrivendo testi letterari ispirati a quei viaggi, e dando sfogo alla sua tensione e forza creativa anche attraverso l’archeologia, la fotografia, il reportage.
Mentre la compagnia di amici si sfasciava con l’esilio dei Mann, e in Europa si accendevano i primi presagi dell’imminente catastrofe nazista, nell’autunno del 1933 Annemarie intraprese il suo primo viaggio in Persia attraverso l’Anatolia, la Siria, il Libano, la Palestina, l’Iraq. La giovane donna trascorse poi sette mesi in Asia, visitando rovine e scavi, moschee e bazar, e cercando nell’ arcaicità e nella semplicità mediorientale quella purezza di vita che il mondo ‘moderno’ devastato dall’odio e dalle guerre sembrò negarle. Le sue impressioni vennero accuratamente trascritte in una sorta di diario di viaggio, pubblicato nel 1934 a Zurigo col titolo Inverno in Asia Anteriore.
Nell’aprile del ’34 decise di rientrare in Svizzera, attraverso l’Unione Sovietica.
Si aggravò, in quegli anni, la dipendenza di Annemarie dalla droga, che sfociò in numerosi ricoveri e tentativi falliti di disintossicazione, e le rese sempre più difficili anche i rapporti con gli amici più intimi.
Dopo un matrimonio di convenienza con l’amico e diplomatico francese Claude Achille Clarac, deciso anche per la speranza di una riconciliazione con la famiglia, Annemarie ripartì per l’Oriente. Al ritorno dalla Persia, la vita di Annemarie fu tormentata da numerosi tentativi falliti di disintossicazione, dalla ripresa frequentazione dei Mann, dalla drammatica relazione con la baronessa Margareth Von Opel che, durata tre anni, la condusse fino in America precipitandola in un rapporto ossessivo che la farà entrare e uscire da diverse case di cura.
Nella speranza di dimostrare a se stessa ed a Erika Mann quanto il viaggio e il lavoro di giornalista potessero avere effetti positivi sulla sua salute psicofisica, nel gennaio del 1937 Annemarie intraprese due viaggi negli Stati Uniti insieme all’amica Barbara Hamilton-Wright, alla scoperta degli effetti sociali della ‘grande depressione’
Tornata in Europa nella primavera del ’37, la giovane proseguì il suo vagabondare inquieto attraverso l’Europa continentale, la Scandinavia e la Russia. I problemi con la droga si fecero, tuttavia, sempre più gravi, come più frequenti i ricoveri in casa di cura.
Quando nel settembre del 1939 fu dimessa era già scoppiata la Seconda guerra mondiale, e Annemarie si trovò insieme alla giornalista ed esperta viaggiatrice Ella Maillart in Afghanistan, dov’era giunta all’inizio di settembre dopo un avventuroso viaggio in automobile durato tre mesi attraverso l’Italia, la Yugoslavia, la Bulgaria, la Turchia e la Persia .
La crisi fra la due amiche, scatenata anche dalla pesante dipendenza di Annemarie dalle droghe, le portò a separarsi: giunta da sola a Bombay, Annemarie rientrò in Europa per consegnare il materiale sull’Afghanistan e ripartire per gli Stati Uniti, dove affiancò l’ ‘Emergency Rescue Committee’ nella difesa agli oppositori di Hitler in esilio, insieme ai Mann.
L’ennesima lite furibonda con la Von Opel, con cui tentò la convivenza in quel periodo, portò Annemarie a un’esperienza che lasciò una cicatrice incancellabile: l’intervento della polizia, una diagnosi di schizofrenia e il conseguente ricovero nel famigerato Bellevue Hospital, che le riservò un trattamento inumano, ignorando quei privilegi concessi alle sue origini che fino ad allora l’avevano sempre protetta nei momenti più critici.
Tornata in Svizzera, la stessa madre non potè più sopportare l’ingombrante presenza di una figlia tossicomane e dalla vita tanto scandalosa: è lei a indurla ad affrontare quello che sarà il suo ultimo viaggio, in Africa, nella primavera del 1941. Gli scritti prodotti in Congo Belga non si distaccano, del resto, dal suo ormai consolidato stile: anche qui tristezza e riflessione esistenziale sono i temi principali, incarnati da alter ego maschili che troppo assomigliano a lei nei lineamenti e nelle esperienze di vita per non nascondere una vena amaramente autobiografica.
La morte, tante volte cercata negli anni della droga, giunse nell’estate del 1942 a Sils, in Engadina, in seguito a un trauma cranico riportato in un banale incidente in bicicletta.
Parole e immagini che raccontano Annemarie
Marianne Breslauer
L’appassionante viaggio nella vita di Annemarie è stato preparato dalla sua traduttrice Tina D’Agostini e presentato e introdotto da Liliana Rampello.
I racconti partivano dagli scatti di Marianne Breslauer, allieva di Man Ray . La Breslauer fu l’unica che seppe immortalare l’anima di Annemarie, che capì ed espresse fino in fondo la sua androginia, immortalò la sua vitalità ma anche il suo dolore, il suo turbamento, la sua sofferenza di morfinomane. Immortalò la sua straordianaria bellezza in scatti che hanno lasciato senza fiato.
I testi
Annemarie è raccontata anche attraverso molti testi. Diversi ne sono stati citati per meglio attraversare la sua vita, tra cui,’Dalla parte dell’ombra, il Saggiatore, 2001, La via per Kabul, il Saggiatore, 2002, Oltre New York, il Saggiatore, 2004 e ‘Lei così amata’, Melania Mazzucco, Rizzoli, 2000.
Tina D’Agostini
Appassionata studiosa d’origine italiana, è nata e cresciuta in Svizzera con una madre e un padre emigrati a Zurigo. Laureata in letteratura a Bologna, ha quindi studiato in Italia anche se la sua lingua materna rimane il tedesco. E’ traduttrice e interprete.
Appassionata della Schwarzenbach, che ha scoperto per caso in libreria, ha ricordato e raccontato la nostalgia dei suoi luoghi natali mostrandoci anche le immagini della sua casa.
Tina si è rivelata poi essere cugina di quel lupo nero Schwanzerbach che tanto aveva fatto contro gli emigrati italiani immigrati quando era bambina.
Siti internet consultati
www.url.it/donnestoria
www.tufani.it