presentazione di Clara Jourdan
Ringrazio Pia Mazziotti per avermi invitata a questo incontro che mi ha dato l’occasione di leggere ancora una volta L’arte della gioia, che avevo già letto nelle edizioni precedenti (1994 e 1998): è veramente un’opera che a ogni rilettura offre nuove emozioni e nuovi suggerimenti di riflessione. E così voglio dire qualcosa di questo libro a partire dalla mia esperienza di lettura, io sono una donna che legge e ama la scrittura femminile, in particolare il romanzo. Sono anche venditrice di libri, alla Libreria delle donne di Milano, ma mi sento più che altro una lettrice. Ricordo che quando ho letto quel piccolo libro rosso appena pubblicato da Stampa Alternativa (che poi ho saputo essere solo la prima parte del romanzo) l’ho subito consigliato e regalato alle amiche. Lo trovavo coinvolgente e agghiacciante, poetico e brutale, erotico e divertente. Le avventure e le scoperte di quella bambina e poi adolescente alla ricerca di una via d’uscita dal “destino” e disposta a tutto con una spregiudicatezza insieme sconcertante e toccante, mi avevano conquistato. Al punto che quando poi uscì il romanzo completo, rimasi un pochino delusa dal seguito, meno scoppiettante e più ponderoso.
Invece, rileggendo adesso L’arte della gioia, ho trovato tutto il libro estremamente interessante, una miniera di pensiero femminile sul mondo, sulle donne, gli uomini, le relazioni umane, la vita, la storia… Anche il cambiamento di registro dopo la prima parte, mi pare che risponda al percorso narrativo, perché Modesta, la protagonista, da ragazza che era è diventata una donna adulta. Comunque non voglio entrare in un discorso di critica letteraria, non è il mio campo.
Tra le chiavi di lettura possibili del romanzo, che sono sicuramente molte, vorrei scegliere quella del pensiero, in particolare come pensiero politico, anche perché tutto il libro è permeato da una forte passione politica. Ha ragione Angelo Pellegrino a dire nell’introduzione a L’arte della gioia (da lui curato) che Goliarda Sapienza si faceva chiaramente torto a definirsi scrittrice ideologica. È riduttivo, in effetti, così come è chiaramente riduttivo il sottotitolo “romanzo anticlericale”, poi tolto nell’ultima edizione. Però vorrei riscattare il senso di queste definizioni intendendole oltre che come consapevolezza dell’importanza delle idee, soprattutto come espressione di un preciso desiderio di nominare la realtà. Un desiderio che ho trovato realizzato anche nel libro da poco ripubblicato (Rizzoli) L’università di Rebibbia, dove effettivamente il mondo carcerario ci appare in modo nuovo rispetto alle letture correnti di quella realtà. E questo per me è fare politica attraverso la scrittura. Perciò io intendo e apprezzo Goliarda Sapienza come una scrittrice politica, che va oltre le ideologie, anche oltre le proprie ideologie, che pure ci sono. Infatti se è innegabile che L’arte della gioia sia ideologico, c’è molto molto più di questo, come pensiero politico. Vorrei mostrarlo brevemente in due aspetti per me notevoli del romanzo.
Uno è lo sguardo sulla storia. Che L’arte della gioia voglia essere anche un percorso nella storia del Novecento si capisce dalla data di nascita della protagonista, nata appunto il 1° gennaio del 1900: la storia d’Italia attraverso la storia di vita di una donna. Ma quello che mi ha molto colpita è il modo con cui L’arte della gioia ci parla di quella storia del Novecento che si trova sui libri di storia (cioè non tanto la cosiddetta vita quotidiana ma proprio gli avvenimenti e i personaggi più noti): ce ne parla attraverso un punto di vista femminile, un punto di vista che si sente che è di una donna. Un punto di vista che pervade tutto il romanzo, si trova espresso un po’ in tutti i dialoghi e i racconti dei fatti, non solo nelle parole della protagonista e degli altri personaggi femminili. E che ci fa entrare nella storia direttamente: non ci sono lunghe narrazioni degli avvenimenti, spesso basta una frase, un dettaglio, per aprire un squarcio in profondità sul Novecento, che ci fa capire l’essenziale, sulle guerre, sul fascismo, e soprattutto sulla storia del pensiero e delle pratiche politiche, sul mondo dei rivoluzionari e degli antifascisti (tra cui viene nominata anche la madre dell’autrice, Maria Giudice). Cito, per fare solo un esempio, un frammento di un dialogo tra Modesta e l’amico Carlo che le ha raccontato della “compagna Montessori”: “La rivoluzione con fiabe! È bello, però”, dice Modesta. E lui: “Certo, principessa. Ma prima ci sono problemi leggermente più seri da risolvere: la disoccupazione, la fame…” E lei: “Mi pare di capire che la Montessori fa rientrare la fiaba in questi problemi seri. La fiaba, insieme al pane, è il cibo dei bambini, ed è importante che il cibo sia diverso” (p. 189 dell’edizione 1998). Come si vede da questo frammento, nel romanzo viene messa in scena sia l’interpretazione maschile corrente delle politica, delle questioni cruciali del Novecento, del rapporto tra i sessi anche come contributo femminile alla politica degli uomini, sia lo spostamento operato da una donna che si mette in gioco a partire da sé.
Inoltre, questo scambio tra una donna e un uomo sulle cose più importanti, mostra l’altro aspetto che volevo evidenziare nel romanzo: L’arte della gioia fa emergere l’essere donna come un essere in relazione. Infatti il percorso di vita della protagonista si snoda attraverso le sue relazioni, più o meno riuscite, più o meno felici ma sempre vissute con intensità. Cioè tutto quello che succede e le succede, passa sempre attraverso le relazioni. Relazioni con donne e relazioni con uomini. E in particolare tante forme diverse di relazioni tra donne. Nel percorso della vita di Modesta incontriamo tutte le tipiche esperienze femminili, dallo studio al lavoro, dallo stupro all’aborto, dall’amore per le donne all’amore per gli uomini, dalla maternità alla politica ecc. e c’è posto per tutti i sentimenti, compresa la misoginia femminile, e per tutti i comportamenti, compreso l’omicidio premeditato. È quindi una storia di vita che si può intendere come una rappresentazione dell’infinito universo femminile. Non della bontà femminile. Un universo con al centro il desiderio femminile e che si rivela sempre più, man mano si va avanti nel romanzo, essere costituito da relazioni. Le relazioni che costellano l’esistenza della protagonista continuano a vivere in lei anche quando l’altra persona non c’è più. Fino alla fine Modesta si misurerà con le donne e gli uomini su cui si è appoggiata per pensare, per agire e per sentire. È vero che queste relazioni inizialmente si potrebbero definire strumentali, perché vengono cercate e usate per raggiungere degli scopi, ma proprio il bisogno estremo in cui Modesta si trova, lo stato di necessità che la porta a mettersi in relazione fa sì che le relazioni diventino la sua vita e la trasformino profondamente, cessando quindi di essere strumentali.
Per finire, posso non essere d’accordo con alcune cose che scrive Goliarda Sapienza, con alcune sue idee e giudizi, ma in questa rappresentazione di una donna come un essere in relazione mi sono riconosciuta, ho trovato qualcosa di molto vero di me. E ho sentito l’autrice vicina alla politica delle donne come la intendo io.