23 Maggio 2009
Alias

Le nuove sfide della differenza

Giulia Siviero

Afferma il filosofo: “Penso dunque sono”. Dimenticando di “essere” perché sua madre l’ha messo al mondo. Ma il filosofo riflette meglio su ciò che gli è conforme, lasciando nell’impensato e senza riconoscimento ciò che, invece, gli sfugge. E non si dubiti dell’importanza della filosofia se, fin dai tempi delle caverne (platoniche), ha tracciato e indicato non solo la via delle idee, ma anche quella dell’intera tradizione occidentale in tutte le sue forme. La disattenzione con la quale è stata tralasciata la nascita dall’orizzonte del pensiero – e quindi la differenza sessuale osservabile sempre e ovunque perché inscritta nei corpi quando si viene al mondo – ha portato alla costruzione di un sistema in cui vi è un unico soggetto presente, e presente a sé stesso. L’uomo, con le sue pretese di universalità e di sedicente neutralità, si è posto al centro definendo la donna in negativo come assenza e mancanza (di un pene, di una razionalità, di un autocontrollo ecc.). Ed ecco che tutto ciò che si organizza in discorso, arte, religione, famiglia, linguaggio, tutto ciò che è a noi legato e ci costituisce, è stato organizzato in opposizioni duali divenute, ben presto, una gerarchia naturale.
Sono passati più di trenta anni da quando Luce lrigaray è stata sospesa dall’insegnamento all’École freudienne di Parigi. Per aver messo a nudo, con il suo primo lavoro, Speculum, la “cecità” della tradizione psicanalitica e di quella filosofica e per aver denunciato, contribuendo a una svolta rilevante nella storia del pensiero femminista, i meccanismi di occupazione abusiva di uno dei due sessi sull’altro. La teoria della differenza sessuale è ora venuta al mondo, ma i tempi sembrano essere ancora scardinati. Da allora, Luce lrigaray non ha mai smesso di scrivere riuscendo a raccogliere e a rendere feconda l’eredità di quel primo e imprescindibile momento di critica e di de-costruzione. Il suo ultima lavoro si intitola Condividere il mondo (Bollati Boringhieri, pp.144, € 14,00) e i toni, non più liberatori, si sono fatti composti e saldi. Al centro, resta il pensiero della differenza sessuale (o, meglio, della differenza “sessuata” che parte dal corpo che qui, ora, sempre siamo) e dell’origine materna come “reale corninciamento” in vista non più, e non solo, della liberazione femminile, ma della costruzione di una civiltà della condivisione multi-culturale e multietnica. “Di questa nostra cultura scrive lrigaray – percepiamo ormai i limiti (…). Il suo carattere particolare si svela anche attraverso la scoperta di altre civiltà (…) Il nostro mondo che credevamo unico si rivela un’ evoluzione parziale e incompleta dell’umanità”.
La differenza fra culture, nella prospettiva della filosofa francese, comincia con la differenza primaria tra uomo e donna e proprio il corpo, inteso come corpo sessuato determinante la concreta soggettività, diviene quel punto da cui ripartire per “incontrare l’altro”. L’altro in quanto tale, è stato escluso dall’elaborazione del pensiero occidentale, “il cui scopo principale scrive lrigaray – è stato quello di permettere all’uomo di differenziarsi da un’origine materna, omologata al mondo naturale”, sigillata all’infanzia e, quindi, al mondo pre-razionale. Il soggetto maschile, quindi, dopo aver costruito un sistema a sua immagine e dissomiglianza, ha operato una non innocente sostituzione: al posto della “sua originaria dimora placentaria” ha ri-creato artificialmente per sé un luogo ‘più vero’ in cui trovare rifugio. Oggettivare il mondo attraverso il gesto di proiettare la propria soggettività, ha però significato bloccare la dialettica tra tempo e spazio. Precisamente, ha portato alla conversione del tempo (inteso come poter essere) in uno spazio chiuso, unico e anticipante. Vivendo in una neutra indifferenziazione, l’uomo ha iniziato a parlare la lingua del “si” pubblico e collettivo voltando le spalle all’origine e disimparando che la madre è sempre, e innanzitutto, un “chi” irriducibile a chiunque altro. Nell’oblio di questa prima relazione, si è persa la relazione stessa e il mondo è stato riempito da un eterno monologo ripetitivo di sé con sé medesimo, secondo una logica gerarchica del più e del meno. Tale operazione simbolica, infine e infinitamente, è stata replicata nello svolgimento della storia e l’originaria dipendenza dall’altro è stata rapidamente trasformata in disuguaglianza, in pretesa di dominazione, di colonizzazione e di integrazione. Quest’ultima, annota Irigaray, non sarebbe infatti che una sorta di ospitalità in una casa in cui noi siamo dei padroni assenti: “Accogliamo o ospitiamo l’altro a causa di qualche pater o mater-nalismo politico-culturale, qualche idealismo o ideologia sociale, qualche comandamento religioso o morale. Ma l’accoglienza che gli riserviamo non si rivolge realmente a lui, né lo lascia veramente libero”. I valori coltivati in questa casa parlano di padronanza, “con la loro espansione-estensione che necessariamente comporta competizioni, conflittuali e bellicose, fra medesimi”. E se le donne, a causa della loro morfologia “segnatamente sessuale e del modo in cui essa determina il rapporto con l’altro”, sono portatrici di un privilegio rispetto agli uomini, per lungo tempo loro stesse sono state ad un gioco (simbolico) in cui le regole erano prescritte da altri, non riuscendo a trasformare in pratica e in pensiero il legame con la loro madre (tematica che, d’altra parte, sta al cuore del pensiero della differenza sessuale in Italia, erede privilegiato delle riflessioni di Luce Irigaray).
Mettere al centro l’elemento della relazione e della dipendenza; mettere al centro ciò che sulla e della dipendenza, del suo rifiuto e della sua accettazione, ne sanno le donne, è la scommessa filosofica e politica di Luce lrigaray. Per inventare una logica sconosciuta e dis-conosciuta dalla tradizione occidentale: quella a due soggetti. Che sappia custodire le differenze, che lasci spazio all’accoglienza e al silenzio. Ecco, allora, che il flusso del divenire si ri-apre, che il tempo e lo spazio si mantengono in un processo dialettico, che le parole ritrovano un senso. Dai monologhi alla polifonia.

Print Friendly, PDF & Email