15 Luglio 2008
CORRIERE DELLA SERA

Le vite perdute di Christina Stead

Giorgio Montefoschi

Subito, fin dall’ inizio de Il piccolo hotel, il romanzo di Christina Stead pubblicato da Adelphi, appena un ospite sale le scale della modesta pensione che la signora Bonnard gestisce sulle rive del Lago Lemano, ponendo magari il problema dell’ ascensore che è troppo stretto, ecco che un altro ospite quelle stesse scale, nello stesso momento, le scende: e il problema dell’ ascensore non esiste più, perché adesso l’ argomento da affrontare riguarda il caffè fatto male per esempio, o un biglietto da cento franchi rubato da una mano misteriosa in una borsa lasciata sconsideratamente in una stanza, o il fatto che le pareti delle camere sono così sottili che si sente proprio tutto. Se nella sala da pranzo fa irruzione il sindaco, certamente pazzo, di un fantomatico villaggio del Belgio ossessionato dal prossimo e inevitabile arrivo dei comunisti russi che di sicuro lo metteranno al muro, (perché la Seconda Guerra Mondiale è finita ma un’ altra guerra «fredda» è iniziata ben più terribile), ecco che dagli altri tavoli saliranno immediate valutazioni sulla inconsistenza del popolo svizzero, sulla ottusità dei tedeschi nonché sulla decadenza di quegli spocchiosi tirchi che sono i cittadini della Gran Bretagna. Se l’ ora è quella del tè, o si sta sul lungolago o in giardino, non c’ è personaggio che si azzardi a esprimere vuoi una calibrata opinione, vuoi una considerazione perfettamente inutile, vuoi un semplice pensiero distratto, senza che nel giro di pochissime righe, a quella opinione assennata si risponda con una opinione altrettanto assennata ma che non ha nulla a che vedere con il discorso, alla considerazione perfettamente inutile si risponda con una considerazione ancora più inutile, al pensiero distratto faccia seguito un pensiero ugualmente distratto. Il mondo – sembra volerci dire la più grande scrittrice australiana con questo delizioso, comico e amarissimo romanzo che amò tanto Saul Bellow e per normali motivi cronologici (morì quattro anni prima della sua apparizione nel 1973) avrebbe adorato Ivy Compton-Burnett: un’ altra perfida, appassionata di vicende minime e comuni – è un posto assai confuso, nel quale chiunque può essere scambiato per un altro, tutto conta moltissimo e pochissimo. E, certo, le parole (in particolar modo per chi sa usarle con tanta bravura), sono pietre, però non sveleranno mai alcuna luce al di sopra delle nostre modeste esistenze; potranno al massimo certificare che ogni giorno, da quando ci svegliamo a quando andiamo a letto, siamo un po’ felici e un po’ infelici, un po’ preoccupati e un po’ no a causa di svariate piccole o meno piccole incombenze, e molto, molto disponibili a lasciarci condizionare da una di quelle parole mal dette, dalla nostra malinconia e dal nostro rancore, dal nostro – gelosamente conservato – malumore. Sì, nessuno di noi conta così tanto – pensa l’ autrice del famosissimo Sabba familiare – da aver diritto a più di due battute di seguito in un romanzo; nessuno ha una storia così importante da occuparlo per intero: ognuno di noi ha le sue sofferenze, le sue delusioni, le sue beghe; e anche se i nostri vicini non fanno altro che bussarci continuamente alla parete o alla porta della stanza, invadono la nostra vita con la quotidiana elencazione dei problemi e delle ansie che li tormentano, noi al massimo possiamo ambire ad essere uno di loro, uno dei tanti ospiti sbandati che affollano Il piccolo hotel. Perché, certo, il sindaco del villaggio belga, alla fine, si capirà che è proprio pazzo, al di là dei proclami deliranti, dell’ abitudine di attraversare il parco tutto nudo con sciarpa e cappello, ma non è altrettanto pazza la scheletrica signorina Chillard che ha la valigia piena di soldi e non paga il conto, tratta l’ umile madre come una parente povera o una badante, se ne starà a letto tutto il tempo non toccando cibo, minacciando di lasciarsi morire se non la riporteranno a Zermatt, dove c’ è un medico che ama moltissimo? E che dire della signora Trollope e del signor Wilkins, alloggiati in due camere comunicanti? Loro, alloggiano in due camere comunicanti, perché pur essendo amanti dalla bellezza di ventisette anni, per motivi di bon ton si fanno passare per cugini. Ma nella camera accanto, c’ è Madame Blaise, la moglie di un medico svizzero che vive a Basilea e ogni tanto viene a trovarla, che quanto ad ambiguità coniugale, la coppia Trollope-Wilkins se la mette sotto i tacchi. Laddove, rispetto a costoro, alle eterne diatribe matrimoniali e finanziarie (dal momento che, chi da una parte, chi dall’ altra, i quattrini ce li hanno tutti, e tutti sono avidissimi: «Siamo una sola carne… E un solo patrimonio», sarebbe un po’ la sintesi), nulla è paragonabile alle inquietudini della attempata principessa Bili, col suo gigolò argentino. Mentre, davvero indescrivibili risultano gli affaires del personale:in quanto, talvolta, torbidissimi. Tanto che potrebbe trasformarsi in una specie di moderna Arca di Noè, solo a volerlo, la modesta pensione del Piccolo hotel.

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