di Luisa Muraro
Conoscete Séraphine de Senlis? È una pittrice francese nata da nullatenenti di campagna, nel 1864, quasi subito orfana e cresciuta in un collegio di suore, poi donna a ore nella città di Senlis, al nord della Francia, vissuta povera tranne alcuni anni di fortuna (grazie a Wilhelm Uhde, mercante d’arte), morta nel 1942 in un manicomio della Francia occupata (e chi conosce la storia sa che cosa ha voluto dire per tante e tanti: in uno stato di tragico abbandono).
Io sono una sua ammiratrice, ammiro l’opera e la persona. Di lei mi parlò Christiane Veauvy di Parigi, dandomi un catalogo da cui provengono le immagini pubblicate sul n. 65 di Via Dogana, dicembre 2010.
Nonostante la sorte avversa, con la sola cultura di saper appena leggere e scrivere, cui si aggiunse un’elementare formazione religiosa, in un ambiente sociale di provincia che non le fu ostile ma fatalmente vedeva in lei una lavoratrice manuale domestica, questa donna riconobbe presto in sé il desiderio di esprimersi, gli fu fedele e coltivò l’arte della pittura raggiungendo originalità e potenza, tanto che una parte dei suoi dipinti si salvò dalla dispersione per essere esposta e qualche quadro si trova conservato in musei importanti.
Perciò ho salutato con gioia il saggio di Katia Ricci, Séraphine de Senlis. Artista senza rivali, editrice Luciana Tufani, Ferrara 2015, ricco di notizie sull’artista, l’opera e la fortuna. E corredato da un prezioso apparato iconografico. Le ringrazio moltissimo e mi auguro che il loro impegno contribuisca ad accrescere la fama di Séraphine ripagandolo anche con le vendite.
Devo però formulare una critica. Nel risvolto di copertina, che vuole presentare la figura dell’artista, la trovo così etichettata: «Uno dei tanti esempi di donne il cui talento è stato troncato e che sono state dichiarate pazze perché non si uniformavano alle aspettative della società in cui sono vissute». Si tratta di un miscuglio di cose false e stereotipate che fa torto a Séraphine de Senlis, oltre che all’esattezza storica, ma anche all’autrice e all’editrice che le hanno dedicato questo saggio.
Non so chi abbia scritto questo falso e deprimente commento alla luminosa figura di Séraphine. E non m’interessa saperlo, perché so da dove proviene.
Proviene, in primo luogo, dal femminismo, noi comprese, quando smette di pensare e di cercare le parole, per mettersi a ripetere cose generiche che vanno bene a tutte (e a nessuna). Proviene da una storiografia a una dimensione, quella che confronta le donne agli uomini e le appiattisce. Proviene, al fondo, da una sempiterna richiesta di riconoscimento. Su questo tema mi sono soffermata recentemente parlando di un’antica maestra spirituale che ancor oggi può insegnarci ad amare e a combattere. Da questa, la beghina fiamminga Hadewijch, ricavo le parole per dire di Séraphine: ha saputo combattere tutta la notte, fino all’alba, senza arrendersi e perciò ha meritato di essere sconfitta (sottinteso: da Dio, non dagli uomini).
(www.libreriadelledonne.it, 26 maggio 2015)