di Alessandra Pigliaru
Anatomia di una separazione o documento politico sulla relazione tra i sessi, rileggere oggi Vai pure è di una certa attualità. Si tratta del volume che Carla Lonzi prepara e pubblica nel 1980 riportando la sua conversazione in quattro giornate con Pietro Consagra, facendoci entrare dentro il rapporto tra una donna e un uomo. Si erano conosciuti alla metà degli anni Sessanta, Lonzi e Consagra, e a unirli era stata l’arte, ambiente da cui lei decide presto di congedarsi perché non corrispondente alla sua radicalità, ma soprattutto un legame d’amore. Forte, importante, fatto di alleanza e desiderio, soprattutto nei primi anni, non sempre facili, poi di conflitti insuperabili. Uscito per la prima volta nei «Prototipi» delle edizioni di Rivolta Femminile, viene ripubblicato nel 2011 dalle edizioni et.al e ora è nuovamente disponibile per La Tartaruga (pp. 168, euro 19), a cura di Annarosa Buttarelli che ne firma una puntuale postfazione.
A casa di Carla, luogo indicato in quelle 4 giornate del 1980 dal 25 aprile al 9 maggio, registrano ciò che si dicono riportando su carta l’analisi incarnata di una resa dei conti. Per comprendere come arrivano a quel punto si può intanto leggere il diario di Lonzi, Taci, anzi parla (1978, poi 2010 e 2024), in cui «Simone» (cioè Pietro) è tra le sue interlocuzioni significative, se ne possono osservare le mutazioni via via che la scoperta del femminismo diviene inaggirabile indagine di sé, quando l’autocoscienza prosegue e rompe le illusioni, una per una, smantellando inganni, sistemi di potere e inferiorizzazione.
Nel 1973, Lonzi appunta diverse cose proprio nel suo diario rivolgendosi al suo compagno di allora: «Avevo diversi amici, personalità di cui subivo l’influenza, però sono stata saggia e oculata: il cuore, proprio il cuore l’ho dato a te, e era la parte più veritiera. Con te ero più me stessa, tu mi amavi più come ero, gli altri mi mitizzavano di più; o meglio, vedevano solo una parte». Dopo sette anni, la frontalità ormai ineludibile è di due esseri umani nella tensione di osservare l’esaurimento di una esperienza, tra disincanto e allarme.
C’È UNA FOTO, nella copertina di Vai pure, in cui sono seduti ai lati di una scrivania, lui concentrato a leggere qualcosa mentre lei lo guarda. È scomparso il sole caldo di quella volta in cui, nel 1968, è proprio Consagra a fotografare Lonzi. Sono in Texas, a San Antonio, il ritratto di lei ha dietro una costruzione illuminata di una fiera internazionale che le faceva da aureola. Anche questo lo racconta nel diario, quando descrive l’esperienza del suo cancro e della sua operazione proprio negli Stati Uniti.
Cosa accade allora in quel 1980? Anno interessante – ad esempio Adrienne Rich svela i gangli dell’eterosessualità obbligatoria assunta come sistema di potere e sulla scena artistica mondiale, Marina Abramovic e Ulay sperimentano Rest Energy, che li vede in equilibrio precario mentre tendono un arco, sbilanciati sui talloni. Lui tiene la freccia tesa sul petto di lei, basterebbe una frazione di secondo a spaccarle il cuore e in quella eventualità c’è un affidarsi ma pure una disparità di potere maschile su una donna spalancata ed esposta che non cede. Se della performance dei due artisti ricordiamo i suoni dei loro battiti cardiaci, per 4 minuti, di Carla Lonzi e Pietro Consagra l’impressione delle loro 4 giornate è la capacità di sapersi salutare, come accaduto già transitoriamente.
Ora però il clima è definitivo, perché tutto è accaduto, lei davvero gli dice che può andare dopo che si è compresa l’insostenibilità di due mondi opposti, due lingue agli antipodi. Quella di Lonzi, libera, dice, ad esempio, che non è possibile il perdurare di un incontro di due soggetti senza che uno riconosca l’altro interamente e non come presenza accessoria. Anche questa reciprocità, da non confondere con una richiesta di autorizzazione per esistere, è il sottofondo di Vai pure.
Il confronto serrato è su quanto abbiano scelto per le loro esistenze: in Vita mia, l’autobiografia che Pietro Consagra pubblica nel 1980 con Feltrinelli, Lonzi nota quanto lo scultore scambi i processi, i passaggi con le «tappe» mentre lei nel suo Taci, anzi parla, edito la prima volta nel 1978, «si vede cosa è stata per me la tua presenza in quegli anni, dal tuo libro non si vede cosa è stata la mia presenza per te, non c’è proprio».
DUE ORIZZONTI che potrebbero ascriversi nell’ordine di una differenza sessuale al lavoro e in effetti c’è una fatica, un discreto impegno ma infine una irraggiungibilità non più rimediabile. Consagra si lambicca, è a tratti sinceramente incline ma non sostiene l’intransigenza, il nocciolo della questione: le domanda, quindi, perché lei continui a parlare di «un rubacchiamento» mentre quel che solleva Lonzi è ancora una volta, e con semplicità, di un’altra portata. Il tema è che, dice Lonzi, «io trovo astratto, cioè non vero, irreale, tutto questo costruirsi della personalità maschile come un produrre da sé.
Questo produrre da sé non è vero, non esiste. Esiste sempre un rapporto, un dialogo». E fintanto che un dialogo non si pone tra due coscienze, una delle due crede di essere «assoluta», e anche – si potrebbe aggiungere – irrelata. Il diario fa vedere quanto a uno «scatto di coscienza corrisponde un processo che non è prestigioso come lo scatto di coscienza» per segnalare come questo momento «non prestigioso» venga sempre nascosto «ed è quello in cui la donna è presente».
Diversamente, l’uomo di questo salto di coscienza ne fa un salto di cultura, gestendone il profitto. Ancora una volta il meccanismo è della appropriazione, Lonzi lo chiama qui «assorbimento», e del disconoscimento che ne consegue a fronte di un protagonismo maschile.
Sono argomenti che, a quell’altezza, avevano già circolato ampiamente negli scritti di Lonzi e con il gruppo di Rivolta era già intervenuta in più contesti, ad esempio in un documento del 1971, «Assenza della donna dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile», o anche quello del 1972 «Significato dell’autocoscienza nei gruppi femministi» (riuniti in Sputiamo su Hegel nel 1974, poi 2010 e 2023). Da un lato dunque c’è il protagonista, monologante ed estroflesso nei suoi rapporti sociali e di mantenimento della sua posizione, che non è più l’uomo «in crisi» della metà degli anni Sessanta, dall’altro lato c’è la «massima dilatazione» il cui sfondo, quando Lonzi scrive il diario, è il femminismo e che le ha consentito di porsi «come mito di nessun genere» piuttosto invece come «un’istanza di autenticità e l’altro capisce che o risponde sullo stesso piano o è meglio che stia zitto».
IN «VAI PURE», prima che Carla e Pietro concludano questo loro apprendistato che ha seguito l’amore, la ferita, la fragilità, fanno capolino la sessualità come l’abbraccio. Colpisce inoltre quanto nessuno dei due sia mai grato all’altra bensì vi sia «una esasperazione continua delle posizioni» che diventa, ineluttabilmente, impraticabile. Cruciale il passaggio in cui, parlando della dialettica servo-padrone segnandone la prospettiva marxiana, Carla Lonzi centra un punto piuttosto attuale nei rapporti cosiddetti emancipati (Consagra non sembra ostile alla sua pratica femminista); oggi lo chiameremmo un percorso denso, condiviso nella libertà di una visione del mondo. Ebbene, peccato che: «qui, siccome il rapporto è privato, a due, senza testimoni, bisogna che siano proprio i due interlocutori a mettere giù i punti di coscienza. L’uomo finora ha usufruito di un profitto senza accorgersene, adesso se ne accorge, perché se ne è accorta l’altra. Me ne sono accorta io quindi ti ho portato a dover ammettere che la cosa è così, siccome siamo sul piano della coscienza, e la coscienza vuol dire la verità».
* Sabato 13 dicembre, alla Libreria delle donne di Milano (Via Pietro Calvi, 29) alle ore 18.00, la presentazione di «Vai pure» con Annarosa Buttarelli in dialogo con Francesco Morace.
(il manifesto, 9 dicembre 2025)

