Catania. In occasione dei trent’anni del gruppo femminista “La Città Felice” Lia Cigarini ha presentato, nell’aula magna del dipartimento di Scienze Politiche di Catania, la nuova edizione del suo testo La politica del desiderio (Orthotes editore) che presenta gli scritti che vanno dal 1974 al 1994 arricchiti da quelli pubblicati tra il 1999 e il 2020. Un libro che è una sorta di “romanzo di formazione”, di “antologia della politica delle donne” e del femminismo di cui ripercorre sia il pensiero e le tematiche fondamentali – quali la libertà femminile, il desiderio, la rappresentanza, il lavoro, il diritto e l’aborto – sia le pratiche politiche inventante e sperimentate dalle donne, dall’autocoscienza alla pratica dell’inconscio, del partire da sé, della differenza con gli uomini e delle relazioni duali tra donne. Temi discussi dalle docenti Pinella Di Gregorio, Stefania Mazzone e Teresa Consoli e dalle femministe Laura Colombo della Libreria delle donne di Milano e Anna Di Salvo, Mirella Clausi, Giusi Milazzo e Nunzia Scandurra de La Città Felice.
Per Lia Cigarini – avvocata, giurista e una delle principali protagoniste del femminismo italiano – “l’orizzonte della politica delle donne era, ed è, un cambio di civiltà” da realizzare attraverso la pratica della differenza femminile, uno degli apporti italiani più innovativi e studiati dal femminismo internazionale. Le donne – sostiene – anche con la loro entrata dirompente nel mondo del lavoro, hanno scosso le fondamenta del patriarcato, l’hanno svuotato dal di dentro perché non gli danno più consenso, vanno da un’altra parte in una sorta di esodo. Questo, da una parte, ha portato al fatto che anche gli uomini accettino i concetti e i diritti di parità – peraltro già sanciti dall’art.3 della Costituzione che però incasella le donne, che sono maggioranza, tra le minoranze, come quelle etniche, linguistiche e di religione – ma, allo stesso tempo, i maschi si sentono profondamente disturbati perché vedono che le donne vanno avanti – conquistando posizioni apicali, nelle istituzioni, nella politica e nelle aziende – mentre loro sono bloccati. Le donne non sono più dipendenti da loro, in loro possesso e, peraltro, troncano le relazioni sentimentali, li abbandonano. Abbandono che per i maschi – che lo vivono come l’abbandono della madre cui sono profondamente legati – è intollerabile. Di qui l’incremento esponenziale dei femminicidi, espressione distorta della conquistata libertà delle donne.
Le femministe sottolineano che l’obiettivo della loro lotta non è la parità, ma la possibilità di esprimere e affermare la propria differenza, i propri desideri, la propria libertà che è possibilità di costruire il senso di sé trovato di volta in volta nel rapporto con gli altri. “La libertà – dice Lia Cigarini – è un’esperienza che si guadagna con l’autocoscienza, la psicoanalisi, la pratica delle relazioni. È l’esperienza personale, insieme alle relazioni con le altre e gli altri, a modificare la realtà, non le leggi che sono un modo di delegare al potere, un modo di dare il potere di risolvere i problemi al Governo e a una maggioranza parlamentare, tra l’altro entrambi espressioni di una parte della popolazione. Un approccio che è il contrario della politica femminista secondo cui è con la pratica delle relazioni e con l’autonomia che si risolvono i problemi, non con la legge”. Per questo le femministe degli anni Settanta dicevano di essere sopra la legge e chiedevano – ma furono sconfitte – la depenalizzazione dell’aborto anziché una legge che lo regolasse, legge che pure oggi difendono dai ripetuti attacchi.
Ed è per questo che Lia Cigarini e le femministe della differenza sono convinte che il cambio di civiltà passi anche attraverso nuovi tipi di relazioni delle donne con gli uomini, quelli che – come i partecipanti all’esperienza di “Maschile plurale” – stanno facendo propria la pratica delle donne dell’interrogarsi e del partire da sé. Gli uomini che ripudiano la guerra, che s’inseriscono nella lunga tradizione del pacifismo, che sono consapevoli che la violenza contro le donne, quella che chiamiamo “questione femminile”, è in realtà una “questione maschile” perché c’è una radice antropologica nella violenza, quella della guerra come quella contro le donne. Ed è su questo nodo che devono interrogarsi per superarlo, trasformarlo. Uomini che devono riflettere sulla propria differenza – superando la propria percezione di sé, maschile, come se fosse universale – ed elaborare un proprio linguaggio. Tanto più necessario in questo periodo storico in cui anche il lavoro delle nuove generazioni è “femminile”, nel senso che è frutto della messa a profitto del desiderio dal momento che si fa plusvalore sui desideri e sulle relazioni, per quanto pilotate e distorte, cioè sul femminile.
Di qui l’invito ad aprire un dialogo con gli uomini, questi uomini, e a ricordare che il movimento delle donne non ha una posizione univoca. “Il femminismo non è unico: è conflittuale, è un terreno di lotta.”
(La Sicilia, 3 novembre 2023)