15 Ottobre 2023
Leggendaria

Louise Glück. L’universale in ogni esistenza individuale

di Luciana Tavernini


Louise Glück (1943-2023) è morta il 13 ottobre scorso. La ricordiamo nelle sue opere. Proponendoci la sua verità soggettiva sulla complessità e unità dell’esistenza e rivelandoci il modo in cui le si è manifestata, la poesia del premio Nobel Louise Glück ci offre l’opportunità di lasciarci a nostra volta illuminare e trasformare.


Nell’anno della pandemia planetaria (2020) il Nobel è andato a una scrittura di «austera bellezza» che ruota intorno al tema della morte ma anche della resilienza. Come recita la motivazione del premio, Louise Glück nella sua poesia attinge alla sua vita e costituisce una «voce inconfondibile» che «rende universale l’esistenza individuale».

Nata a New York il 22 aprile1943 da famiglie di origine ebrea e ungherese, emigrate negli USA all’inizio del Novecento, da giovane Louise Glück ha sofferto di anoressia. La sua è una poesia dell’esperienza e delle relazioni e lei ne è consapevole. Il secondo marito John Dranow e il figlio Noah, nato nel 1973, diventano interlocutori, ad esempio, in L’iris selvatico. E della sua maternità dice in un’intervista a Luca di Mastrantonio: «La nascita di mio figlio mi ha fatto crescere. Un’esperienza che mi ha dato tanto e mi ha sottoposta a molte forzature. All’improvviso, diventi responsabile di un esserino e, per un paio di anni, sono stata una mamma single. È uno shock, ma è stata la decisione migliore che abbia mai preso. Anche sul lato artistico: sarei stata una poetessa molto più tediosa senza la nascita di un figlio. E senza i miei studenti, i loro testi, non avrei superato il mio primo grande blocco di scrittura.»

Louise Glück ha scritto dodici libri di poesie e due di saggi, e ha ottenuto i maggiori riconoscimenti statunitensi. Poems: 1962-2012, è un volume di ben 656 pagine che contiene cinquant’anni di poesie. Il Saggiatore, che ha ripubblicato L’Iris Selvatico e Averno, ha recentemente mandato in libreria Notte fedele e virtuosa, Ararat, e il suo ultimo libro Ricette per l’inverno collettivo.

Ho incontrato la poesia di Louise Glück, come credo molte, quando le è stato assegnato il Nobel: la sua poesia si è diffusa e si diffonde attraverso le relazioni, con il passaparola. Anche per le traduzioni in Italia dei primi due libri è stato così, come racconta il traduttore Massimo Bacicalupo in una intervista rilasciata presso il Centro Studi americani. Infatti Glück, come ci avverte nel suo discorso di accettazione del Nobel, non è una «poeta da stadio» e neppure «una poeta che parla a se stessa», ma fin dall’infanzia come lettrice di poesia sente l’importanza del «ruolo di lettrice scelta», un ruolo «intimo, seduttivo, spesso furtivo o clandestino» e ora come autrice sa che «chi legge o ascolta dà un contributo essenziale, in quanto destinatario di una confidenza o di un grido di protesta, a volte in quanto cospiratore» nel cogliere la profondità politica della poesia.

Diffida della vita pubblica in cui le generalizzazioni cancellano la precisione e le verità parziali cancellano il candore e la rivelazione. I premi, la notorietà, possono essere «un’estensione dell’intensa relazione che la poesia aveva creato: un’estensione, non una violazione»; ciò che le interessa, come ad alcuni altri poeti e poete, è piuttosto «raggiungere molte persone […] nel tempo, nel futuro»; ma desidera che «in qualche modo profondo questi lettori arrivino sempre singolarmente, uno a uno». Cita proprio una poesia di Emily Dickinson, «I’m nobody! Who are you?» (1861), per esprimere questo intimo e necessario rapporto tra poeta e chi legge: «“Io sono Nessuno! Tu chi sei?/ Sei Nessuno anche tu?” […] “Allora siamo in due!/ Non dirlo! Potrebbero esiliarci, lo sai…”».

Dunque, ci suggerisce come avvicinarci a lei. Farsi scegliere da chi fa poesia, e sedute sul divano, diventare «compagne di invisibilità», collaborando alla rivelazione che può accadere.

I suoi sono veri e propri libri, non semplici raccolte di poesie. La critica parla di sequenza poetica lirico narrativa, dunque andrebbero letti ciascuno per intero seguendo l’ordine da lei indicato, un ordine non solo temporale ma anche di sviluppo del tema proposto. Sono veri e propri classici perché ogni volta che li leggiamo scopriamo qualcosa di nuovo. Non dobbiamo, come certi collezionisti di opere d’arte, conservarli in cassaforte, nella libreria, cassaforte di libri. Sarebbe come lasciare ricoprire di polvere qualcosa di prezioso e vivo che a ogni rilettura rivela nuove scoperte; infatti, in ogni sua poesia ne sono stratificate altre, come in quelle di Emily Dickinson, da lei considerata sua maestra, ed è un vero piacere poter leggere il testo in originale per azzardare altre traduzioni sia per le caratteristiche linguistiche dell’inglese, sia per la scelta di parole polisemiche come bed, letto e aiuola, che ci fanno passare dal fiore alla relazione di coppia.

L’iris selvatico

Vorrei proporvi di conoscerla a partire dal suo settimo libro, L’iris selvatico (1992), per l’importanza che oggi sentiamo di un diverso rapporto con la natura, non a caso mostrato da ciò che María Zambrano chiama logos poetico, la capacità di stare presso le cose, amandole con meraviglia in un ascolto che riesce a portare alla parola verità non ancora espresse dell’esistenza.

Qui tutto accade nel giardino, nell’orto, nella campagna del Vermont dove Glück abitava col marito e il figlio. Tre sono all’incirca le tipologie delle cinquantaquattro poesie, scritte in due mesi e mezzo: quelle in cui i fiori parlano, figure che rappresentano stati dell’animo umano; i “Mattutini” e successivamente i “Vespri” in cui la giardiniera dialoga con il divino; alcune situazioni temporali e di luogo dove il divino si manifesta e parla direttamente. Intrecciandosi tra loro le poesie creano un percorso iniziatico che non si può raccontare ma solo seguire e ripercorrere, come il cammino a spirale dei templi indonesiani di Borobudur dove si ascende, entrando in profondità con se stesse.

Vengono presentate situazioni quotidiane vissute con grande intensità come può accadere nelle micro-meditazioni dello yoga in cui l’essere capaci dell’attenzione – nell’accezione di Simone Weil, del fare vuoto dentro di sé per aprirsi all’oggetto, a ciò che abbiamo davanti – ci permette di cogliere il senso dell’esistenza. La poesia di Glück a una lettura superficiale può sembrare che mostri qualcosa di banale, di quotidiano anche se avvertiamo in qualche suo verso come una scossa. Ma se ci limitiamo a una comprensione apparente perdiamo il piacere della sorpresa. E in un suo “Mattutino” lei dice: «Per me, sempre/ il piacere è la sorpresa» (p. 83).

Le sue poesie nascono da momenti di essere come li chiama Virginia Woolf, da momenti di felicità come dice Mansfield. Monica Farnetti scrive che si tratta di un’esperienza legata «a una percezione nitida, intera e pervasiva della realtà», «una realtà vivente». «È, insomma, un campo di percezione, e insieme di passione, il quale stando dentro i suoi limiti funziona però come parte per il tutto, vale a dire del mondo come corpo celeste pieno di meraviglie e del cosmo che lo ospita fin dall’inizio del tempo». Farnetti parla di Katherine Mansfield e, partendo da lei, disegna una genealogia di autrici che dall’inizio del Novecento «prendono via via coraggio e si autorizzano (l’una l’altra e ciascuna se stessa) a ficcare il naso nella terra e nel cielo, per rendersi conto da dove e per quale via il mondo sia venuto al mondo e quale posto occupino l’umano e i suoi dissimili» (p. 44). Oltre a Mansfield e Woolf, indica Colette, Marguerite Duras, Elisabeth von Armin, Clarice Lispector, Marguerite Yourcenar, le nostre Marisa Bulgheroni e Anna Maria Ortese e per gli USA Alice Walker, bell hooks, Toni Morrison. Insomma mi sento di collocare Glück in questa genealogia di donne che vivono l’esperienza dell’alterità impastata con l’identità, piazzandosi, come dice Farnetti, «con tutto il corpo e con tutti e cinque i sensi al centro di quest’esperienza e vivendola appunto come esperienza e non come concetto» (p. 49).

Una modalità empatica in cui si è disponibili «ad accorgersi dell’altro e a stare amorosamente in sua compagnia. A starci dunque per amore, e per amore appunto d’altro», una capacità di lettura per Glück che dal suo giardino fa «saltare le pareti dell’io» praticando «il passaggio Io/Altro», coniugando la sfera terrestre e celeste e «mantenendo il respiro e la grandezza dell’universo» (Farnetti, p. 50). Un’empatia che la porta a sentire i fiori e a dialogare con un Padre divino che ha elementi biblici. Come direbbe la teologa Antonietta Potente, nelle serie di poesie intitolate Mattutino e Vespro è «l’anima corporea» (p. 80) della giardiniera che si rivolge al Padre, a un Tu, al «grande Mistero che ci avvolge, noi normalmente lo chiamiamo “Dio”, in realtà non sappiamo se ha un nome» (p. 55). Si tratta di una presenza-assenza di cui si ha «nostalgia e sete» perché «se l’essere umano non percepisse l’assenza non potrebbe né cercare né amare» (p. 29). In contrasto con questa sua percezione del divino Louise Glück scrive la parola dio minuscola solo in tre poesie, per indicarne un uso ormai svilito: per commiserarsi (Viole, «povero dio triste», p. 59), per dividere (Zizzania «se adori/ un solo dio, ti serve/ un solo nemico», pp. 61-63), come voce di dio eco della propria (Scilla, p. 43).

Il tu divino invece lei può rimproverarlo per la sua indifferenza e per come «forza il cuore» e dunque lo può paragonare a un coltivatore che prova una nuova specie (Mattutino, p. 69), ma spera che «intenda farmi/ di nuovo sana per sempre, come fui/ sana e intera nell’infanzia ignara», o ancora prima quand’era dentro sua madre o nel sogno di una possibile eternità. Un tu divino a cui può esprimere anche i suoi dubbi cercando la prova della sua esistenza nel piantare un fico nel Vermont (Vespro, p. 97). Questo tu parla con compatimento («quando vi ho fatti vi amavo. / Ora vi compatisco») perché le anime che avrebbero dovuto essere immense per i doni della bellezza del mondo sono «piccole cose vocianti» (Vento calante, p. 45) o sono incapaci di pensare al suono della sua voce («come altro che una parte di voi», Fine dell’inverno, pp. 35-37).

Per dire di questa relazione mi sembrano utili le parole di Luisa Muraro (Il dio delle donne) riferite alle mistiche: si tratta de «l’imprevedibile dio delle donne», «presente-assente in una relazione di amore libero che si faceva riconoscere senza mai farsi prendere» (p. 24), che viene detto in un linguaggio che non ha mai «la pretesa di dire la verità su Dio» (p. 25), un dio che «c’è nella forma di un capitare sempre possibile» (p. 31). Per questo, potendo leggere l’originale, spesso io preferisco tradurre you con tu piuttosto che con voi, in questo modo il dialogo diviene intimo: il tu divino si rivolge a un altro tu e non mi appare come un predicatore che si rivolge sempre a un voi, che rappresenta il genere umano.

La poesia di Glück è relazionale ma proprio perché chi legge è ascoltatrice all’interno del dialogo, vi è difficoltà a capire chi sta parlando e a chi (situazione che si può definire di locutore inaffidabile). Si assiste alla rivelazione se ci mette nella stessa disposizione della poeta che si colloca in ascolto della realtà che la circonda, del vivente che, attraverso lei, prende voce e illumina il senso dell’esistenza.

Nelle diciotto poesie il cui titolo è il nome di un vegetale, Glück lo descrive con una precisione da pittura antica. A volte il nome mi era sconosciuto, così ho cercato in internet e, grazie all’esattezza della descrizione, ad esempio per il Lamium (p. 25), ho potuto individuare di quale sottospecie si trattava. La poesia mi ha dato così le parole per dire il valore di un’amica, una di quelle amiche riservate, con una loro luce interna «come un sentiero che nessuno può usare, un sottile/ lago d’argento nell’oscurità sotto i grandi aceri» (p. 25). Ho provato quindi l’emozione del ritrovare lì quell’amica che non si lascia toccare dal sole, che non si mette in mostra, ma è tanto più preziosa nella sua apparente freddezza.

La prima poesia, L’iris selvatico (pp.13-15), che dà il titolo al libro, è la più perfetta descrizione che io conosca della depressione e del suo superamento. Gli iris li conoscete. Pensate alla loro fioritura nel dipinto di van Gogh, ma d’inverno resta solo il rizoma sottoterra. Glück dice «è terribile sopravvivere come coscienza sepolta nella terra scura». E l’uscita dal soffrire accade con il ritorno della parola. «Tu che non ricordi /passaggio dall’altro mondo/ ti dico che seppi parlare di nuovo». E alla fine c’è la descrizione della bellezza dell’iris fiorito, apertura alla meraviglia della vita, alla sua origine. «Dal centro della mia vita venne /una grande fontana, ombre blu /profondo su acqua di mare azzurra». E in Bucanave il superamento della disperazione avviene «gridando sì, rischia la gioia// nel vento aspro del mondo» (p. 27).

Le sue poesie costituiscono una critica politica profonda: troviamo rappresentata, ad esempio, la costruzione del nemico come inganno per continuare a dolerci e incolpare qualcuno perché le nostre particolari passioni finiscono e non vogliamo prendere coscienza del fatto che non erano destinate a durare, (Zizzania, pp. 61-63); oppure la necessità del disfacimento dell’io per essere in grado di mostrare al sole, al signore in cielo, «il fuoco del mio cuore, fuoco come la sua presenza», come ci dice il papavero rosso, chiamandoci fratelli e sorelle (Il papavero rosso, p. 77); o la falsa credenza che le macchine siano il mondo vero, e il fascino che subisce la mente che «vuole brillare, scopertamente, come/ brillano le macchine, e non/ crescere in profondità come, per esempio, le radici», qualcosa che bisogna però «pensarci due volte» prima di dire (Margherite, p. 105).

A volte troviamo la rappresentazione della coppia, ma mai in modo idilliaco. Ad esempio ne Il giardino (p. 51) «persino all’inizio dell’amore» senza che vi sia consapevolezza si «compone un’immagine di separazione»; oppure il biancospino capisce che «passione e rabbia umana» hanno causato la fuga dei due perché hanno lasciato cadere tutto quello che avevano raccolto (Il biancospino, p. 53). I gigli bianchi, l’ultima poesia del libro è costruita sulla simmetria tra la coppia di gigli e la coppia umana, dove alla fine dell’estate, come durante la pandemia, possiamo sentire il terrore che tutto possa finire, essere soggetto a devastazione, perduto. Possiamo sentire inutile bellezza e aria profumata. Ma lo splendore, il giardino che abbiamo costruito in «quest’unica estate» ci ha fatto entrare nell’eternità. Le mani che seppelliscono il bulbo, le mani che ci toccano e di cui avvertiamo il bisogno permetteranno lo sprigionarsi dello splendore che ritornerà.

Glück propone la sua verità soggettiva sulla complessità e unità dell’esistenza e, mostrandoci come le si è manifestata in un rinnovato rapporto con la natura, ci offre l’opportunità di lasciarci a nostra volta illuminare e trasformare.


Bibliografia


Massimo Bacigalupo, “Louise Gluck e la poesia americana”, Intervista rilasciata presso il Centro Studi Americani, il 10 dicembre 2020, https://www.youtube.com/watch?v=BbX0NqF5NpM

Emily Dickinson, “Io sono Nessuno! Tu chi sei?” in Tutte le poesie, trad. di Silvio Raffo, Meridiani Mondadori, Milano 1997

Monica Farnetti, “Felicità di Katherine Mansfield” in Tutte signore di mio gusto. Profili di scrittrici contemporanee, La Tartaruga/Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008, pp. 40-55, 332 pagine, 17 euro

Louise Glück, Ararat, trad. di Bianca Tarozzi, Il Saggiatore, Milano 2021, 128 pagine, 14 euro e-Pub 7,99 euro

Averno, trad. di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, Milano 2019, 160 pagine,14 euro, e-Pub 7,99 euro

L’iris selvatico, trad. di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, Milano 2020, 158 pagine, 14 euro, e-Pub 7,99 euro

Notte fedele e virtuosa, trad. di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, Milano 2021,176 pagine,14 euro, e-Pub 7,99 euro

Ricette per l’inverno dal collettivo, trad. di Massimo Bacigalupo, Il Saggiatore, Milano 2022, 96 pagine,13 euro, e-Pub 7.99 euro

Poems: 1962-2012, FSG – Macmillan, London 2013, 656 pagine, 22 dollari, e-Pub 8,72 dollari

Nobel Lecture, The Nobel Foundation, Stoccolma 2020, gluck-lecture-english.pdf

“Discorso per il premio Nobel”, trad. di Valeria Gorla, in The Italian Review, 1, 2021https://www.theitalianreview.com/discorso-per-il-premio-nobel/

Luca di Mastrantonio, “L’arte ci salverà dalla catastrofe della pandemia”, Intervista a Louise Glück, https://www.corriere.it/sette/incontri/intrevista-louise-gluck-nobel/index.shtml

Luisa Muraro, Il dio delle donne, Mondadori, Milano 2003, ripubblicato da Marietti, Milano 2020, 240 pagine, 17,50 euro

Antonietta Potente, Come il pesce che sta nel mare. La mistica luogo dell’incontro, Ed. Paoline, Milano 2017, 130 pagine, 13 euro

Zambrano María, Verso un sapere dell’anima, Cortina, Milano 1996, pp.188, 13 euro

Zamboni Chiara, “María Zambrano: il sentire inconscio e il linguaggio nel generarsi della natura”, In Sentire e scrivere la natura, Mimesis Edizioni, Milano 2020, pp. 89-131, 20 euro


(Leggendaria, n. 155/2022, pp. 43-45 – Primopiano/Louise Glück, 5 gennaio 2023)

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