14 Gennaio 2021
Viottoli

Maddalena e le altre nel vissuto della Comunità di base di S. Paolo

di Doranna Lupi


Maddalena e le altre. La Chiesa, le donne, i ministeri, nel vissuto di una storia (2020) è il titolo del libro in cui la comunità cristiana di base di S. Paolo di Roma ha scelto di raccontare la propria storia, nella convinzione che possa indicare percorsi, anche inediti, alle ipotetiche future protagoniste e protagonisti di una rivoluzione copernicana che sicuramente arriverà nella Chiesa. Con questo sguardo fiducioso e aperto al cambiamento hanno scritto un testo non accademico, nonostante il supporto di un grande patrimonio di letture e scambi, che però dice l’essenziale sul tema annunciato nel sottotitolo. Poche pagine, che mettono bene a fuoco la fecondità di una storia incarnata in una comunità cristiana dove il seme della libertà femminile è germogliato in pratiche di vita ecclesiale trasformative.

Per le sorelle e i fratelli della comunità i contenuti della loro storia sono sempre stati un’esperienza viva, a contatto con gli eventi e le circostanze del momento. Intrecciando la storia delle donne nella Chiesa e il percorso femminista al vissuto della comunità, hanno narrato una storia che parla al presente, perché racconta una rivoluzione ancora in atto, che non riguarda solo le donne, bensì uomini e donne per un profondo cambiamento epocale, «una mutazione antropologica in corso», come scrisse J. Kristeva (p. 43).

La forza di questo racconto sta proprio nel fatto che Maddalena e le altre donne che hanno accompagnato Gesù in Galilea, dando poi inizio all’annuncio evangelico nelle prime comunità cristiane, sono le testimoni di un vissuto autentico delle origini, che è tornato a essere realtà concreta in alcune comunità post conciliari, grazie al desiderio delle donne e all’intrinseca verità e autenticità di questa proposta.

In origine, spiegano le autrici e gli autori del libro, il rapporto di Gesù con le donne apre uno squarcio imprevisto e scandaloso nel sistema patriarcale, costretto in seguito a spendere moltissime energie per ricucire lo strappo e ricondurre le donne al “loro posto”. E così quasi tutte le Chiese, a suon di anatemi, repressioni, dogmi e colti castelli teologici, hanno dimenticato il mandato di Gesù alla Maddalena che per prima lo vide risorto e alla quale egli affidò il compito dell’annuncio: “Va’ dai miei fratelli e di loro: io salgo al padre”. Così com’è stata rimossa la confessione cristologica di Marta per dare tutto lo spazio a quella di Pietro, su cui poggiano le fondamenta del Papato. Leggendo i Vangeli è evidente che molte donne hanno accompagnato Gesù fino alla fine, senza fuggire o rinnegarlo, e che furono le prime testimoni e annunciatrici della resurrezione. Fin dall’inizio, però, questo ha creato imbarazzo e resistenze. Nella prima lettera ai Corinzi Paolo scrive che, quando ha incontrato i capi della Chiesa di Gerusalemme, da loro ha ascoltato un racconto della Resurrezione in cui sono già sparite le donne, anche se egli stesso testimonia quanto fossero ancora presenti nelle prime comunità, partecipando attivamente ai vari ministeri. La reazione antifemminista nella Chiesa, dunque, non si fece attendere, mettendo in atto, con tutti i mezzi a disposizione, l’esclusione delle donne dal sacro.

Nonostante questo, le donne non si sono mai fatte completamente condizionare dalle dottrine e dai dogmi, mantenendo sempre un rapporto intimo e personale con il divino. Anche la devozione mariana si è piegata a questa esigenza, fino ad assumere la funzione di referente divino femminile, per dare una risposta al bisogno di una divinità in cui rispecchiarsi.

Il punto di forza su cui far leva, l’orientamento per ogni tentativo di ristabilire la loro liberà nella Chiesa, nel corso della storia è sempre stato, per le donne, il modello egualitario delle prime comunità cristiane. Nei secoli XI-XIII, in Europa, vedove, mistiche, beghine si raccolsero, come i cristiani delle prime generazioni, in case private e, senza alcuna consacrazione, si dedicarono alla preghiera, alle opere assistenziali, all’apostolato (p. 29). Alcune di loro, testimoniando un rapporto diretto con un divino differente, si spinsero fino a interpretare le Scritture fuori dalle intermediazioni clericali, come Margherita Porete, che fu messa al rogo dopo che furono bruciati i suoi scritti. Anche se hanno pagato tributi altissimi, la voce delle donne, nel corso della storia, non è mai stata tacitata del tutto e molte storiche hanno riportato alla luce una ricca genealogia femminile, che ci ha rafforzato nella nostra ricerca di identità.

Fino ad arrivare al femminismo cristiano di fine ‘800 con Elisa Salerno, che poneva a fondamento il Vangelo come l’unico testo che rispetta la dignità delle donne: per lei negare il riconoscimento della personalità e dell’integrità della donna significava volere il Vangelo soltanto per metà.

La radicalità del binomio Vangelo/Femminismo si è rivelata molto efficace nella storia: Gesù ha saputo ascoltare e riconoscere la profonda dimensione spirituale delle donne, e il femminismo ha rimesso in circolo voce e autorità, in una rete di relazioni femminili che ha dato loro molta forza.

Questo è quanto è successo anche nella comunità di base di S. Paolo, costituitasi nel settembre del 1973 attorno al proprio presbitero Giovanni Franzoni, Abate di S. Paolo fuori le Mura. Egli, in seguito alle sue posizioni contro il conservatorismo religioso e politico italiano, fu costretto dal Vaticano a dare le dimissioni. In seguito fu sospeso a divinis e poi ridotto allo stato laicale. Attorno a Franzoni, uomo di grande carisma, si aggregarono gruppi di laici, giovani uomini e donne provenienti dall’Azione Cattolica e dal mondo scout, per mettere in pratica gli stimoli suscitati dal Vaticano II e dal movimento del ’68.

Si avviò così una ricerca, radicata nella prassi concreta della comunità, sul senso più autentico dei sacramenti, alla luce del Vangelo. L’indagine sul significato profondo di Ordine (sacerdozio) ed Eucarestia guidò le sorelle e i fratelli alla scelta di celebrare comunitariamente l’Eucarestia, anche senza un presbitero di riferimento. Il principale avallo, però, lo dettero ancora una volta i Vangeli, dove si narra l’ultima cena descrivendola come un banchetto pasquale al quale, nello stesso modo in cui avviene ancora oggi nelle famiglie ebraiche, partecipa tutta la famiglia al completo. Questa cena, aperta ai dodici, accolse sicuramente anche le discepole che accompagnavano da tempo Gesù in Galilea. In quell’occasione Gesù non intese creare una casta sacerdotale maschile vietata alle donne, ma volle significare che chiunque avesse accettato il suo discepolato avrebbe dovuto – come lui – spezzare la propria vita per gli altri (p. 54).

In quel periodo di straordinario fermento ecclesiale, sociale e culturale, le donne della CdB di S. Paolo godevano nella comunità di una dimensione totalmente paritaria, ma erano ancora completamente immerse in una cultura maschilista che pretendeva di parlare a nome di tutti, uomini e donne (p. 47). Abitate da questa inquietudine giunsero al seminario nazionale delle CdB italiane “Le scomode figlie di Eva – Le CdB si interrogano sui percorsi di ricerca delle donne”, tenuto a Brescia nel 1988.

In quell’occasione, in cui anche io ero presente con le amiche del gruppo donne CdB di Pinerolo, nato nel 1986, durante la celebrazione eucaristica “per la prima volta mani di donna spezzarono il pane”, come riportò la stampa (p. 58).

L’efficacia simbolica di quel gesto eucaristico al femminile ebbe un forte influsso sui nostri percorsi successivi di donne delle CdB. Il pane spezzato e distribuito da mani di donne riconduceva al banchetto pasquale, alla naturalezza di gesti quotidiani condivisi sulla tavola in famiglia. Non c’era nulla di rivendicativo o provocatorio, bensì s’irradiò un forte desiderio di libertà femminile, che apriva possibilità inedite nell’espressione della propria differente ministerialità all’interno della Chiesa. Questo seminario fu uno spartiacque, non solo per le sorelle della comunità di S. Paolo, ma per tutte noi. Stavamo comprendendo di non voler più essere assimilate al mondo degli uomini. Cambiando il rapporto donna con donna acquisivamo indipendenza simbolica, cogliendo il nostro valore.

Le scomode figlie di Eva hanno poi fatto un grande lavoro di ricerca spirituale, di autocoscienza, di sperimentazione liturgica, di riflessione teologica condivisa con donne cattoliche e protestanti, attraverso il collegamento italiano dei gruppi donne delle comunità cristiane di base. Per questo motivo la mia lettura assume due prospettive diverse.

La prima è quella di chi ha condiviso questa esperienza e constata l’efficacia di un percorso che s’incarna nella vita di una comunità, trasformando anche gli uomini. Nella comunità di S. Paolo gli uomini hanno accettato di confrontarsi autenticamente con donne che hanno assunto questi criteri, comprendendo che era in gioco la libertà di tutti. Lo stesso Giovanni Franzoni ha seguito sempre con attenzione il percorso delle donne senza mai intromettersi nel loro cammino, adeguandosi nel linguaggio e condividendone sovente le intenzioni (p. 64). Altre comunità di base in Italia sono arrivate alla rottura o all’esclusione pur di non toccare il nocciolo della questione, che in un ambiente progressista come quello delle CdB non è certo l’uguaglianza tra i sessi, bensì rompere l’illusione patriarcale del maschile neutro universale come chiave di lettura omnicomprensiva, anche nel rapporto con il divino e con la teologia.

La seconda prospettiva è data dalla meraviglia per la puntualità a un appuntamento della storia con cui esce questa pubblicazione. Il libro mi è arrivato quasi contemporaneamente all’invito di partecipare all’incontro virtuale con la teologa francese Anne Soupa, che a maggio del 2020 ha proposto la sua candidatura alla diocesi di Lione, ponendo, con il suo gesto, all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale lo scandalo di una chiesa cattolica androcentrica. Sul tema del ruolo della donna nella Chiesa sono intervenuti molti papi, da Giovanni XXIII a Francesco, che hanno ribadito il no al sacerdozio femminile, anche se con toni “dolci” e “paterni” rispetto ai padri della Chiesa. Nonostante l’inserimento di donne, laiche e religiose, in posizioni di responsabilità, ancora non si è arrivati al pieno riconoscimento della figura femminile. Soupa ha avuto il sostegno di una campagna internazionale sostenuta dal Catholic Women’s Council (CWC), una rete che unisce a livello globale i diversi gruppi di cattoliche che lavorano per il pieno riconoscimento della dignità e dell’uguaglianza delle donne nella Chiesa cattolica.

Queste relazioni, fiorite anche a distanza in tempo di covid, ci consentiranno di condividere il nostro specifico di donne CdB, mostrando un desiderio concreto, che non si limita a interpretare il sacerdozio femminile come una questione di parità “sulle orme di quello maschile”, ma come espressione della necessità di mediazione femminile con Dio, che va interpretata con il senso libero della differenza sessuale.

Nel frattempo, a Roma, la comunità cristiana di base di S. Paolo ha sperimentato, nel corso di mezzo secolo, una “Chiesa altra”, nella quale uomini e donne, senza distinzione, spezzano il pane eucaristico in memoria di Gesù, onorando il suo mandato alla Maddalena. Non resta, secondo loro, che attendere una nuova Pentecoste, in cui un concilio di “madri” e “padri” cambi radicalmente teologie e prassi secolari della Chiesa cattolica, non più accettabili.


(Viottoli, dicembre 2020)

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