16 Settembre 2023
Il Quotidiano del Sud

Madre vengo con te “dove non mi hai portata”

di Franca Fortunato


Andare alla ricerca della propria origine, della madre morta suicida, scavare nella sua vita per rimetterla al mondo e riunirsi a lei nella gratitudine e nell’amore, è ciò che fa la scrittrice Maria Grazia Calandrone, quando viene a sapere che c’è chi può parlarle della donna che l’ha messa al mondo e poi l’ha lasciata, e della cui vita non sa nulla. Di questo scrive nel suo libro autobiografico Dove non mi hai portata, ed. Einaudi, candidato al premio Strega. Scrive perché la madre «diventi reale, per strappare alla terra l’odore di lei» ed «esplorare un metodo per chi ha perduto la sua origine». Anna, la figlia tredicenne, l’accompagna nel «viaggio all’origine», lungo il sentiero della genealogia materna. Maria Grazia cerca le tracce della madre nei luoghi dell’infanzia, ascolta chi l’ha conosciuta, chi le è stata amica, prende appunti, fa interviste, esamina documenti, fascicoli per «avere la gioia di vedere la faccetta di Lucia bambina». Una bambina allegra, sveglia, bellissima. Percorre a piedi, come sua madre, la strada che faceva per andare a scuola. Rintraccia il nome della maestra, una foto con lei in piedi e gli anni in cui frequentò la scuola elementare, da cui, dopo la seconda, venne via per ordine del padre-padrone. Lo stesso che le imporrà di sposare un uomo più grande di lei, che non amava, rendendola infelice. Amava un giovane come lei. Il marito la «massacra di calci e pugni in testa». «Tutti sapevano che la picchiava, nessuno faceva niente» e la legge glielo consentiva per “correggerla”. Quando si innamora di Giuseppe, sposato e con figli, più grande di lei, va a vivere da lui, scandalizzando il paese. Rimasta incinta, decidono di trasferirsi a Milano. Il marito la denuncia e i due diventano ricercati per adulterio. Erano gli anni ’60 e allora l’adulterio era un crimine punito con due anni di carcere, il divorzio non c’era, i figli nati fuori dal matrimonio erano “illegittimi”, “figli di NN” e di “madre ignota”. Le tolsero la figlia appena nata e per riaverla dovette dichiarare essere figlia al marito. Per tutto il libro la storia della madre si intreccia con pezzi di quella dell’Italia del tempo. È analfabeta Lucia, ma ha intelletto d’amore, ama sé stessa, non si sottomette alla legge dei padri, non accetta l’infelicità come “dovere coniugale”, vuole essere felice, libera di amare ed essere amata. È coraggiosa, forte, ma è sola e pagherà cara la sua trasgressione. Il femminismo era di là da venire. Il 24 giugno del 1965, trovandosi “in condizioni disperate”, lasciata seduta su un plaid la sua creatura di otto mesi a Villa Borghese, affidandola alla “compassione di tutti”, si allontana e va a morire con Giuseppe nel Tevere. Aveva solo ventinove anni. Tutti i giornali, che l’autrice riprende, parlarono del loro suicidio, della bambina e della gara per adottarla. Pagine di compassione, di amore e gratitudine sono quelle in cui la figlia racconta le ultime ore di vita della madre e del padre. Una madre «resa segreta dalla morte» che la «lascia entrare» nella sua mente, nella sua anima pensante. «Vengo con te – le dice – dove non mi hai portata: nella morte. Scendo a conoscere cosa hai sentito». E sente tutto l’amore della madre, di cui le è grata, sia nell’«aver sopportato lo strazio» di averla lasciata e sia nell’averla consegnata «alla vita», destinandola alla madre adottiva, Consolata. Segue le tracce della madre fino al cimitero dove «la mettono dentro la sua terra» senza messa e funerale. Neppure da morta i genitori la fanno entrare in casa. Un libro potente, di amore e libertà, non di abbandono, di una figlia che riscatta la madre, le rende giustizia e la riporta a sé, a casa.


(Il Quotidiano del Sud, rubrica “Io, donna”, 16 settembre 2023)

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