21 Marzo 2021
Corriere della Sera

Madri e padri: le lacrime di israeliani e palestinesi. Conversazione tra Colum McCann e Manuela Dviri

a cura di Davide Frattini


L’irlandese Colum McCann scrive un romanzo in 1.001 pezzi, come le storie di Sherazade, in cui due genitori raccontano le figlie uccise a Gerusalemme e in Cisgiordania per farle vivere. Ne parla con Manuela Dviri, che nelle guerre del Medio Oriente ha perso un figlio.

(Colum McCann, Apeirogon, trad. Marinella Magri, Feltrinelli, p.519, € 22)


Due padri, quattro madri. Genitori che provano a sopravvivere alla perdita di un figlio. Donne e uomini. Un solo dolore, modi diversi di affrontarlo. Israeliani e palestinesi. Distinti eppure indivisibili.

Dopo la morte di Yoni durante un’operazione militare in Libano, Manuela Dviri Vitali Norsa si unisce al movimento delle Quattro Madri. Colum McCann racconta il lutto di due padri: per Smadar ammazzata in un attentato suicida a Gerusalemme, per Abir uccisa da un proiettile di gomma durante un raid dell’esercito israeliano a Beit Jalla, in Cisgiordania. Distinti eppure indivisibili. Manuela si collega da Tel Aviv, dove abita da oltre mezzo secolo. Colum, nato e cresciuto in Irlanda, vive e lavora negli Stati Uniti. Scrittori migranti come gli stormi di uccelli descritti in Apeirogon, testimoni che si muovono insieme nel cielo sopra al conflitto.

Qual è stato il primo incontro con queste terre?

Colum McCann – Sono venuto con un gruppo di artisti e attivisti dell’organizzazione Narrative4, che ho fondato: l’obiettivo è spingere i giovani a mettersi nei panni gli uni degli altri. Abbiamo visitato la Cisgiordania, Israele, incontrato molte persone interessanti. Il penultimo giorno siamo andati a Beit Jalla ed è lì che tutto – stavo per dire – «è crollato per me», ma forse è più corretto: il mio cuore si è spalancato alle storie di Rami e Bassam. Era il novembre del 2015.

Manuela Dviri – Sono arrivata in Israele 52 anni fa. Sono nata in Italia, mio padre aveva sempre sognato di immigrare, non c’è mai riuscito, così l’ho fatto io. Durante il viaggio in nave ho incontrato l’uomo che sarebbe diventato mio marito, un giovane israeliano, stiamo insieme da allora. Il Paese che trovai era molto diverso da oggi, non c’era quasi nulla in confronto all’Italia del boom economico. Venire qui era la scelta più naturale dopo quello che i miei genitori avevano subito con le persecuzioni razziali, volevo essere parte di questa nazione, di quello che stava diventando e di quello che è adesso. Ho pagato un prezzo molto alto, ma sono contenta di quella decisione.

Madri e padri: esiste un modo diverso di reagire alla morte di un figlio?

Colum McCann – Rami e Bassam continuano a ripetere le storie delle figlie per tentare di mantenerle in vita, lo considero un gesto alla Sherazade, così ho costruito il libro attorno a mille e uno capitoli come nel classico arabo. Il dolore delle mogli, almeno in questa situazione, è molto più privato, trattengono a sé le bambine in una sorta di abbraccio nell’utero. Non intendo dire che il lutto degli uomini sia più potente, di sicuro è più pubblico.

Manuela Dviri – Non nel mio caso. Il tuo libro mi ha aiutata a capire mio marito: era un soldato come Rami, ha combattuto nella guerra dei Sei Giorni, in quella di Yom Kippur e in quelle in Libano. Pensava che il suo dovere fosse proteggere la famiglia, proteggere i suoi figli. Non avrebbe mai immaginato che un figlio sarebbe morto per proteggere lui. Ci sono stati momenti in cui credevo non sarebbe sopravvissuto, molti padri colpiti da queste perdite si suicidano. Mio figlio Yoni era un soldato, questo rende la mia storia completamente diversa da quella di Rami e Bassam. Quando sono venuti a suonare alla porta per annunciarmi che era stato ucciso in Libano, ho saputo da subito che dovevo reagire, organizzare qualcosa. Ho deciso di fare quello che avrebbe fatto lui, avesse continuato a vivere: aiutare gli altri. Mai e poi mai avrei detto ai miei figli di non prestare il servizio militare, ho due nipoti sotto le armi in questi mesi. Ma ero contraria alla nostra presenza in Libano, così abbiamo creato le Quattro Madri per dimostrare che per proteggere il Paese non c’era bisogno di invaderne un altro. Quando le truppe israeliane si sono ritirate dal Libano è stato un momento dolceamaro: che cosa perseguirò da adesso in avanti? Così è partito il progetto Saving Children che negli anni ha curato 13 mila bambini palestinesi in ospedali israeliani. Ho incontrato una donna di Betlemme, più o meno della mia età: eravamo travolti dalla seconda intifada e per la prima volta nella mia vita ho guardato alla realtà da punti di vista diversi. Un po’ come Bassam e Rami, ma noi siamo donne. Una donna è consapevole, in qualche modo lo percepisce nel Dna, che non tutti i figli sopravviveranno, la mia bisnonna ne ha avuti 11, allora era normale che qualcuno non ce la facesse. Ho scelto di vivere, di essere felice, di avere dei figli e dei nipoti felici. Sono una madre terribile? Come Sherazade non voglio raccontare il finale della storia. A nessuno. In questo modo posso continuare.

Colum McCann – Sono profondamente commosso da quello che dici, dalla capacità di accedere all’immaginazione maschile. Mi sembra che questo sia il lavoro che dobbiamo portare avanti: provare a capire che cosa significhi andare oltre noi stessi. Per te è anche una missione pratica, organizzare programmi medici e aiutare i bambini palestinesi. Per me è raccontare una storia e lasciare che altri ne facciano la loro storia. Ho sempre saputo di non voler insegnare che cosa pensare, sono stanco di chi mi impone le sue opinioni. La situazione tra israeliani e palestinesi è così complicata: uno Stato, due Stati, otto… Federazione, cooperazione… Non so niente. Conosco il paesaggio umano ed emotivo: ascoltandoti vedo la storia estendersi in direzioni differenti, diventa anche la tua storia e la storia di tuo figlio, di tuo marito. Questo è il lavoro della letteratura: negoziare uno spazio comune, non in maniera didattica.

L’Apeirogon del titolo è un poligono con un numero infinitamente numerabile di lati. I lettori possono aprirsi con Colum a illimitati punti vista. Allo stesso tempo Jorge Luis Borges è più volte citato, nei suoi labirinti ci si può perdere come nelle opzioni inesauribili.

Colum McCann – L’Apeirogon è infinito ma possiamo scegliere un punto finito in cui collocarci. Ammettere la mia confusione era fondamentale: sono cresciuto in Irlanda, mia madre era di Derry (nell’Ulster, parte del Regno Unito, ndr), mio padre di Dublino, c’era una guerra, ho visto persone morire, ho studiato il processo di pace, ho ascoltato donne e uomini, ho assorbito punti di vista molteplici. Sapete una cosa? Sono ancora confuso. Riguardo a Israele e Palestina per me era necessario scombussolare il lettore. Così l’inizio del libro è bum, bum, bum, bum. Tutte quelle informazioni e descrizioni tecniche degli uccelli migratori, al punto che uno si chiede: ma cos’è questo? L’obiettivo era portare il lettore ad arrendersi alla confusione e dire: va bene essere confusi, non è un problema, è una risorsa. Perché oggi uno dei temi più importanti politicamente è riconoscere lo scompiglio in cui siamo immersi e provare a ricostruire da lì. Troppo spesso – come Manuela sa bene – la gente sbatte la porta, si chiude dentro, tira le tende, dichiara: le mie idee sono le uniche idee, voglio solo parlare con chi assomiglia a me, vive come me. Ed è un disastro. Quello che dobbiamo tentare come scrittori, giornalisti, studenti, insegnanti è ammettere quanto disorientanti queste vicende possano essere, qualche volta meravigliosamente disorientanti. Dal punto di vista della confusione possiamo capire che cosa sia essenziale: per me era il dolore di Rami e Bassam, ma anche la speranza. Manuela ha appena detto di voler essere felice, ha preso la decisione di proclamare «è tutto così complicato, non mi lascio ridurre alle semplificazioni. Per continuare a vivere devo abbracciare gli aspetti molteplici di questa situazione».

Nella prima pagina la parola «confusa» ricorre tre volte. Quanto si sente confusa Manuela dopo 52 anni da queste parti?

Manuela Dviri – Non lo sono. Sono arrabbiata, molto arrabbiata. Vedo solo uomini dappertutto: in politica in Israele, in politica in Palestina. Qualche volta donne che vogliono comportarsi come gli uomini. Sono d’accordo, la confusione è grande per chi viene da fuori e capisco la scelta di Colum. Sono stanca di quel che succede qui, è diventato come le stagioni che non puoi evitare, prima l’inverno poi l’estate. Abbiamo vissuto così da sempre, la destra promette qualcosa, la sinistra qualcos’altro. Nessuno discute di come risolvere la questione palestinese: non a Gerusalemme e neppure a Gaza o a Ramallah. Sempre gli stessi politici. Quando mio figlio è stato ucciso nel 1998, Benjamin Netanyahu era primo ministro. Ventitré anni dopo, Netanyahu è primo ministro, martedì 23 marzo si vota di nuovo e Netanyahu è ancora candidato. Uguale per i palestinesi. Sono infuriata perché è il mio futuro, dei miei figli e dei miei nipoti. Questo virus ci sta mostrando quanto siamo piccoli, ci vuole insegnare che dovremmo essere un po’ più intelligenti e lavorare insieme perché siamo condannati a vivere insieme.

Colum McCann – Stiamo parlando di persone abbastanza coraggiose da tentare di conoscere le altre, da rischiare le umiliazioni, da esporre se stessi, per provare a comprendere qualcuno con il quale – come hai detto – si è condannati a convivere. Rami e Bassam lo sanno, tu Manuela lo sai. Noi? Noi dobbiamo ascoltare e riascoltare queste storie. Antonio Gramsci scriveva di essere «un pessimista dell’intelligenza, ma un ottimista della volontà». Così quando dici «sono arrabbiata», lo capisco, perché vedi la realtà attorno a te e diventi una pessimista dell’intelligenza. Un ottimista della volontà è qualcuno che riconosce «è un disastro, è buio», ma dobbiamo trovare un modo di uscirne. I politici sono uomini piccini e – hai ragione – per il 99 per cento sono uomini. Servono se stessi, i loro ego, i loro portafogli, impediscono alle persone di incontrarsi l’un l’altra. Non dobbiamo amarci l’un l’altro…

Manuela Dviri – Assolutamente no.

Colum McCann – …Ma dobbiamo compiere un balzo di empatia per capire che cosa significhi vivere a Betlemme, a Beit Jalla, a Tel Aviv. A questo punto serve il coraggio, e gli scrittori devono continuare a ripeterlo, perché un giorno qualcosa succederà o qualcuno succederà.

Manuela Dviri – Ho lavorato con Shimon Peres fino a quando è morto nel 2016 e ripeteva sempre: l’ottimista e il pessimista moriranno allo stesso modo, ma almeno l’ottimista avrà vissuto bene. Credo valga la pena di essere ottimisti ed è l’unico modo di affrontare questa realtà, in tutto il pianeta, non solo qui.

Colum McCann – Lasciami dire: per essere un buon ottimista devi prima essere un buon cinico. I cinici vedono che il mondo è spacciato, ma sono loro i sentimentali, non reagiscono. L’ottimista interviene: e allora? Facciamo qualcosa.

Negli anni in carcere Bassam decide di imparare l’ebraico perché si ripete «conosci il nemico, conosci te stesso». Sarà poi il dolore a spingerlo ad abbracciare il nemico. Conoscere, anche per tattica, è comunque un primo passo. È ancora possibile? Non solo tra israeliani e palestinesi. Superare le differenze, la distanza, la sordità alle opinioni degli altri, le contrapposizioni politiche senza compromesso.

Colum McCann – Credo di sì e la mia non è una visione ingenua. Succederà dal basso, non per volontà dei politici, dei poteri economici e neppure degli artisti. Arriverà a sorpresa e sarà sostenuto dalla gente, un processo che si autocorregge come uno stormo: un uccello migratore è intelligente, l’insieme degli uccelli migratori è super-intelligente. Da dove partirà questo movimento? Dalla scuola. I custodi della nostra democrazia, delle nostre anime, sono gli insegnanti e sono malpagati, trascurati. È necessaria una riforma profonda del sistema educativo, perché è nelle classi che la democrazia opera, è nelle classi che i ragazzi e le ragazze sono in qualche modo forzati a stare insieme, a parlarsi, a frantumare gli stereotipi. Il movimento emergerà dagli studenti. Non so se sapete che negli Stati Uniti una norma permette ai militari in servizio attivo di salire sugli aerei di linea per primi. Non ho niente in contrario, mi sta bene. Un giorno davvero fantastico sarà quello in cui concederemo questo privilegio agli insegnanti.

Manuela Dviri – Sei davvero un ottimista. Sono stata un’insegnante, sono sottopagati e credo ci vorrà molto tempo per arrivare a realizzare le tue speranze. Anche la tecnologia potrà aiutare perché già adesso sta costruendo ponti e favorisce la cooperazione economica: se una startup israeliana ha bisogno di un bravo ingegnere che vive a Ramallah e costa un po’ meno, perché non assumerlo? Questi strumenti ci possono permettere di non rimanere impantanati nel passato. Dobbiamo riuscire a venirne fuori, altrimenti ho paura che qualcosa di terribile possa succedere.

Colum McCann – L’impossibile qualche volta può accadere. Bassam mi ha parlato dell’idea che in Irlanda non abbiamo avuto la pace per 800 anni e all’improvviso proprio nel 1998 abbiamo siglato un accordo. Vedi Manuela, il nostro processo di pace è vecchio quanto il giorno in cui hai perso tuo figlio e nessuno pensava che sarebbe potuto compiersi.

Manuela Dviri – Nessuno avrebbe pensato di poter volare da Tel Aviv agli Emirati Arabi e invece sono stata a Dubai qualche mese fa. Ho vissuto qui gli anni degli accordi con l’Egitto e la Giordania: non sono perfetti, ma ci sono e funzionano. I palestinesi potrebbero diventare i nostri migliori alleati, perché siamo così vicini, legati come gemelli siamesi. Il problema più grande da risolvere è Gaza.

Pochi mesi fa la deejay Sama Abdulhadi è stata arrestata dalla polizia palestinese per aver organizzato uno spettacolo vicino a una moschea. La comunità Lgbt è perseguitata nei territori, spesso anche dalle famiglie. A volte la sinistra israeliana e quella europea, per non incrinare la lotta contro l’occupazione, sorvolano sulla questione dei diritti civili tra i palestinesi.

Colum McCann – È molto preoccupante che la sinistra stessa – e qui torniamo all’inizio della nostra conversazione –  non abbia il coraggio di dire: tutto questo è complicato, contraddittorio, incasinato. La sinistra pretende di avere una sola prospettiva. Questo mi rattrista, la mia propensione è di essere dalla sua parte e di pensare che sia nel giusto. Ma questa correttezza si trasforma in manette. Non possiamo essere un po’ più traboccanti, generosi, indulgenti? La gente dirà «non possiamo parlare di queste vicende perché il vero problema è l’occupazione» ma in questo modo ci autoparalizziamo, ci tagliamo la lingua da soli.

Manuela Dviri – Non sono parte della sinistra internazionale, partecipo solo a quello che succede qui e sto per tornare a votare. Non so quale partito scegliere perché la sinistra in Israele quasi non esiste più e molto probabilmente indicherò l’unica donna accettabile. Come per i palestinesi anche per noi l’occupazione definisce tutto: da un lato nessun politico durante la campagna elettorale ha presentato un piano per arrivare a un accordo di pace, dall’altro finché dura l’occupazione non si affrontano gli altri problemi, quelli interni a Israele. Su questo punto non so se sono un’ottimista o una pessimista, ma di sicuro cinica: ho la sensazione terribile che solo una tragedia porterà un cambiamento, altrimenti i leader continueranno a rinviare.

Nel libro ritorna più volte l’immagine del dirigibile bianco in volo sopra Gerusalemme, attrezzato con le telecamere di controllo israeliane. È uno strumento di sorveglianza, il vocabolario indica tra i sinonimi «vigilanza». Eppure sembrano avere significati diversi: la sorveglianza è un controllo sugli altri, la vigilanza è quella di Rami o Bassam, necessaria per proteggere le loro famiglie circondate dalla violenza. Un’attitudine che ti può mangiare da dentro, chiudere rispetto al mondo: tutto si trasforma in preoccupazione e dubbi sulla sicurezza.

Colum McCann – La sorveglianza è insidiosa, lavora a tutti i livelli e dobbiamo rimanerne vigili, appunto. Allo stesso tempo la vigilanza nella vita di tutti i giorni va indirizzata via dalla paura, dobbiamo imparare un modo diverso di stare all’erta: non solo riguardo a noi stessi ma anche a quello che succede agli altri. Perché vigilanza suggerisce che siamo individui singoli, c’è molto di più però, siamo una molteplicità. Con il libro volevo esprimere l’idea che questa è una storia italiana, sudafricana, irlandese… Per questa ragione ho inserito gli uccelli che passano sopra Israele e la Palestina seguendo i loro percorsi migratori: quello che succede là in parte tocca tutto il mondo, è il punto di congiunzione delle tre religioni monoteiste e di tre continenti. Se potesse nascere in questa regione un nuovo modo di pensare a noi stessi, si diffonderebbe ovunque.

Manuela Dviri – Sono d’accordo. Soprattutto a Gerusalemme si percepisce qualcosa di magnetico e in questa parte del mondo c’è un’energia incredibile. Sono andata per la prima volta al ristorante dopo sei mesi, sembrava la fine della Seconda guerra mondiale: di sicuro in questo posto le cose succedono e se riusciamo a trovare una soluzione qui, questa onda raggiungerà anche altre nazioni. I numeri e le coincidenze mi danno speranza: mio figlio è stato ammazzato il 26 febbraio e quattro dei miei nipoti sono nati in quella stessa data. L’ultima ha 10 anni, è arrivata alla mezzanotte e diciotto minuti del 26 febbraio. Diciotto nella numerologia ebraica significa vita.


(Corriere della Sera – La Lettura, 21 marzo 2021)

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