9 Marzo 2023
Avvenire

Maternità surrogata, ma quale libertà?

di Antonella Mariani 


La filosofa Valentina Pazé si interroga: lo sfruttamento dei corpi è frutto della logica capitalistica, che fa passare per “altruistico” ciò che invece è al servizio del mercato


Vendere il proprio corpo può essere una scelta di libertà, come il mito della “prostituta felice” suggerisce? E affittare il proprio utero, magari con l’idea di “aiutare” una coppia sterile? O, al contrario, sono espressioni di false libertà, quelle di chi si mette, anche inconsapevolmente, al servizio dello sfruttamento capitalistico dei corpi? A porsi queste domande è una filosofa della politica, che le risposte le ha scritte in un libro uscito nei giorni scorsi da Bollati Boringhieri, Libertà in vendita. Il corpo tra scelta e mercato (192 pagine, 16 euro). Senza tema di fare spoiler, possiamo anticipare le conclusioni, con una frase che Valentina Pazé, docente all’Università di Torino, ha consegnato ad Avvenire al termine di una lunga intervista: «La forma specificamente capitalista di sfruttamento si basa sulla libertà di chi ha poche alternative». Marx dixit quello che la sinistra, oggi, spesso non dice più.

Professoressa Pazé, che una filosofa si occupi di libertà è normale, che prenda in esame la presunta libertà di prostituirsi o di affittare il proprio utero è più originale. Da cosa è nato il suo interesse?

Dalla curiosità che hanno suscitato in me alcuni racconti, letti su vari giornali, di alcune madri surrogate che descrivevano in modo positivo la propria esperienza. All’inizio ho pensato che questi racconti fossero poco credibili. Poi il mio giudizio è cambiato. Ho riflettuto su ciò che già osservava Alain Caillé: la grande capacità del capitalismo di mobilitare il “non utilitario”, come la dedizione, la generosità e l’altruismo, al servizio dell’utilitario. E, per altri versi, il bisogno, da parte di chi è coinvolto in simili transazioni, di raccontare a sé e agli altri una verità diversa da quella dello scambio commerciale.

Insomma, le madri surrogate che dicono di farlo per altruismo sarebbero in realtà manipolate dal capitalismo?

I racconti di chi ha vissuto un’esperienza in prima persona vanno sempre ascoltati con attenzione e con rispetto. Ma senza essere ingenui, cioè considerando il giro di soldi che c’è dietro. Anche nei Paesi in cui è ammessa solo la gravidanza per altri (Gpa) altruistica, come in Gran Bretagna, esistono le cliniche, le agenzie di intermediazione, i consulenti legali: un mondo che non è mosso da altruismo. E le madri surrogate ricevono cospicui rimborsi spese, in realtà veri e propri compensi. Mi pare insomma che dietro il concetto di Gpa solidale si annidi una certa ipocrisia.

Chi fa pressioni per introdurre nel nostro ordinamento almeno la Gpa solidale sostiene che si tratti di un dono. Non è così?

L’articolo 3 della Carta di Nizza (la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 nella città francese, ndr) vieta di fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro. Con la “Gpa solidale” si vuole aggirare l’ostacolo. Ma il dono è una cosa seria, gli antropologi che lo hanno studiato ci spiegano che è un modo per costruire relazioni. Qui c’è un dono al servizio del mercato.

Professoressa, è consapevole di nuotare controcorrente rispetto al pensiero mainstream, in particolare a sinistra?

A sinistra – ma non solo – si incorre spesso nell’abbaglio di non vedere il mercato dietro fenomeni di questo tipo. Mi sconcerta il silenzio assordante che circonda le nuove forme di sfruttamento, mascherate e giustificate nel nome della libertà. E mi colpisce l’incapacità di vedere l’esistenza di rapporti di subordinazione, di sfruttamento o vero e proprio dominio, quando siano mediati dalla forma giuridica del contratto. Ma esistono anche voci critiche: posso citare grandi pensatori laici e di sinistra come Stefano Rodotà, che denunciava il pericolo della “cannibalizzazione” del corpo da parte del mercato, oppure Luigi Ferrajoli, grande giurista allievo di Norberto Bobbio, per il quale la stella polare della sinistra è l’uguaglianza. Nella gravidanza per altri sono evidenti i rapporti asimmetrici; non a caso la madre surrogata è sempre di ceto sociale inferiore alle coppie paganti. C’è una certa cecità di fronte a questi fenomeni; oggi mi sembra interessante che sia il Papa a spendersi contro la mercificazione universale.

Nel suo saggio argomenta anche contro la presunta libertà di prostituirsi. Un tema molto controverso: sempre più spesso sentiamo testimonianze di “escort felici”…

Anche in questo caso, è giusto ascoltare tutte le testimonianze, con rispetto ma non con ingenuità, confrontandole con tutto quello che sappiamo sul mondo della prostituzione. Ad esempio il numero di donne che vengono uccise o che sviluppano patologie psichiatriche o si suicidano… Se l’invito a mettersi in vendita, veicolato da un certo modello culturale, è stato accolto da donne che interpretano la libertà sessuale in questo modo, le leggi devono però proteggere i soggetti più deboli. Chi finisce a esercitare quell’attività nella stragrande maggioranza dei casi non ha avuto altre possibilità.

E se una donna vende il suo corpo volontariamente?

Questo ha a che fare con l’egemonia del modello neoliberale, che dice che siamo tutti imprenditori di noi stessi e dobbiamo mettere a valore tutto ciò che abbiamo e che siamo. A questo modello si può opporre ciò che diceva Marx, e cioè che gli operai devono lottare per ottenere una legge che limiti la loro libertà di diventare volontariamente schiavi del capitale. Quello che Marx sapeva è che le forme moderne di sfruttamento si basano sulla libertà di chi ha poche alternative. Una disponibilità a farsi sfruttare che si manifesta nella forma estrema della “prostituzione volontaria”, ma non solo; pensiamo ai giovani invitati a lavorare gratis per arricchire il curriculum o alle condizioni di braccianti e rider…


(Avvenire, 9 marzo 2023)

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