di Jessica Chia
Quando la tunisina Gisèle Halimi viene al mondo, nel 1927, suo padre si dispera a tal punto che nega quella nascita per quasi tre settimane. Una figlia femmina era una disgrazia, un peso di cui liberarsi appena possibile. E quel marchio Gisèle lo sente bruciare sulla sua pelle fin da subito, già dentro le mura domestiche, dove ha inizio quella che diventerà un’instancabile ribellione. Che dalla Tunisia la porterà a diventare una delle prime – e più rivoluzionarie – avvocate di Francia.
È con lo sciopero della fame che da bambina riesce a ottenere il suo primo diritto: smettere di servire i fratelli in casa. Nonostante l’orrore – e la disperazione – dei genitori di fronte a quella bambina così sfrontata ed indomita. Ma Gisèle fa di più: riesce a imporsi sugli studi che non vogliono farle compiere, lei che è così brillante rispetto ai fratelli maschi. E riesce, da sola, a spezzare quelle catene che da secoli la vogliono immobilizzata nel ruolo di femmina destinata a servire i maschi della famiglia prima, e l’autorità di un marito poi. Catene che rompe a una a una: «Ben presto sfuggire da quello che appariva come un destino già tracciato è diventata la mia ossessione».
Una feroce libertà, di Gisèle Halimi con Annick Cojean (Fve, pagine 144, euro 17)
Ora la storia di Halimi è raccontata in Una feroce libertà (Fve), un libro-intervista (raccolto a pochi mesi dalla sua scomparsa, avvenuta nel 2020 a Parigi), firmato dalla reporter di Le Monde Annick Cojean, che ha raccolto la sua biografia sotto forma di colloquio. Qui Halimi racconta la sua terribile condizione familiare di nascita attraverso la storia della Francia, quella coloniale e post-coloniale d’Algeria, e le grandi rivoluzioni per i diritti delle donne che lei stessa in prima persona ha contribuito a tracciare.
Quest’innato senso di ingiustizia che riconosce nel volto di ogni donna fin da piccola, e la sua spiccata sensibilità verso gli ultimi, gli oppressi, la fanno diventare un’avvocata di successo, grazie anche alle sue arringhe spietate e appassionate con cui riesce a piegare chiunque, merito di un’estenuante preparazione. Ma, nel libro, racconta anche delle difficoltà quotidiane per essere accettata, rispettata e riconosciuta in un ambiente, fino a quel momento, costituito da quasi solo uomini.
Halimi è una forza della natura, e molto di più. Durante la guerra d’Indipendenza d’Algeria, sceglie di difendere in tribunale le partigiane algerine torturate dall’esercito francese, denunciando le violenze e gli stupri. Dal 1956 fino ai trattati di Evian nel 1962, fa la spola fra Algeri e Parigi (dove ormai vive da anni) per portare avanti questi processi, venendo definita «traditrice della Francia» e subendo lei stessa insulti e anche minacce di morte (nel 1961 riceve una lettera da parte dell’Oas, l’organismo terroristico francese, che annuncia la sua condanna a morte). Ma «la mia libertà non ha senso se non serve a liberare gli altri», dice in questa sua appassionante intervista.
In particolare, tra queste partigiane diventa famoso il caso di Djamila Boupacha (1938), militante del Fronte di Liberazione Nazionale algerino (Fln) che viene arrestata perché aveva cercato di far esplodere un caffè ad Algeri. E, per questo, costretta alla confessione dopo trentatré giorni di torture e stupri. Il processo che Halimi porta avanti infrange pubblicamente il tabù sullo stupro coinvolgendo l’opinione pubblica francese, i media, e prima fra tutti gli intellettuali che partecipano al caso, Simone de Beauvoir, che con un articolo pubblicato su Le Monde descrive minuziosamente lo stupro subito da Boupacha. Un testo sconvolgente che cambierà per sempre l’attenzione su questo tema.
Ma i processi-simbolo di Halimi sono tanti; tra questi ricordiamo quello rimasto nella memoria collettiva francese, il processo di Aix-en Provence del 1978 – passato alla storia come «il processo dello stupro» – che ha portato a modificare la legge contro le violenze sessuali in Francia. Processo che ha difeso due turiste belghe aggredite in tenda mentre erano in vacanza, picchiate e violentate per cinque ore da alcuni francesi: «La legge del 23 dicembre 1980 avrebbe riformulato la definizione di stupro, la quale avrebbe oramai incluso ogni forma di aggressione sessuale, compresi quelli che un tempo venivano considerati “attacchi contro il pudore”», spiega Halimi.
E Halimi è la stessa che firma il Manifesto delle 343 pubblicato dal Nouvel Observateur il 5 aprile 1971, nel quale donne molto famose, come Catherine Deneuve, Françoise Sagan, Marguerite Duras, Delphine Seyrig, dichiarano di aver abortito, infrangendo di conseguenza la legge. E accompagnando così la liberalizzazione dell’aborto, arrivata poco dopo con la legge Veil del 1975.
«Ribelle, impetuosa, instancabile. E libera. Ferocemente libera», Halimi è stata il terremoto perfetto che ha contribuito a far sgretolare – almeno un po’ – il sistema patriarcale francese. Alla fine della sua intervista, Halimi si rivolge alle giovani donne a cui consiglia, prima di tutto, di essere sempre indipendenti economicamente e di fare in modo di ottenere nuovi diritti, senza aspettare che siano gli uomini a «concederli». E poi, rivolgendosi alle ragazze: «Mi aspetto che facciano la rivoluzione. Non riesco a concepire, in effetti, come non abbia già avuto luogo. Hanno urlato i loro furori, hanno fatto scoppiare qua e là rivolte, seguite da grandi passi in avanti per i diritti delle donne. Ma siamo ancora ben lontani dall’obiettivo. Serve una rivoluzione del costume, degli spiriti, delle mentalità. Un radicale cambiamento nei rapporti umani, fondati da millenni sul patriarcato: dominazione degli uomini, sottomissione delle donne».
(Corriere della Sera – 27esima ora, 12 giugno 2024)