30 Agosto 2016
Autogestione e Politica prima

MIA MADRE FEMMINISTA. Voci da una rivoluzione che continua, di Marina Santini e Luciana Tavernini

a cura di Betti Briano*

Il libro Mia madre femminista (Il Poligrafo, Padova 2015) richiama nel sottotitolo una rivoluzione,quella femminista, partita nella seconda metà degli anni ’60, un processo irreversibile di trasformazione delle coscienze delle donne, che ha consentito loro di prendere parola pubblica e di affermare sestesse come soggetto libero nella scena sociale e politica, trasformando le relazioni con gli uomini.

Le autrici questa rivoluzione l’hanno vissuta, non ne parlano per sentito dire o per letture fatte, ma attraverso la loro voce e le voci di altre che parlano dall’interno di quel processo. Avrebberopotuto cimentarsi in un lavoro storico tradizionale che sarebbe stato accolto dalla comunità scientifica e magari utilizzato per qualche testo per le scuole; ne avrebbero avuto le competenze poiché sono insegnanti esperte e hanno nel loro curriculum un pluriennale percorso di ricerca storica e di pubblicazioni.Fanno invece un’altra scelta: intraprendono un racconto soggettivodi quegli accadimentie scoperte nel quale si può ritrovare chi come me li ha vissuti. L’obiettivo è però più ambizioso: è quello di trasmettere la memoria di quanto accaduto alle generazioni successive. Qui entra in gioco il loro amore per l’insegnamento. L’idea del libro nasce infatti a seguito delle domande delle e degli studenti dopo la visione della mostra Noi utopia delle donne di ieri, memoria delle donne di domani. Quarant’anni di storia del movimento delle donne a Milano, prodotta nel 2006 da Marina insieme ad altre.

Con una felice intuizione sperimentanouna narrazione drammatizzatadi quasi 50 anni di femminismo che si dispiega in un dialogo tra madre e figlia in quattro tempi. I tempi non si riferiscono a una periodizzazione della vicenda storica ma a quattro nuclei tematici cui si possono ricondurre le elaborazioni e le pratiche politiche delle donne che vengono affrontati con quattro diverse modalità corrispondenti ad altrettanti cambi di scena: il primo tema in cui si evoca il percorso compiuto per prendere parola, trovare parole proprie per dirsi, viene trattato in una lettera della madre alla figlia; il tema dell’autogestione del corpo e dell’autodeterminazione nella sessualità e nella procreazione viene affrontato invece nel salotto di casa; dei luoghi di incontro e di elaborazione del femminismo si parla in occasione di una visita in uno di essi; il tema del lavoro è argomento di una lettera alla madrenella quale la figlia,riferendo la discussione in pizzeria con donne e uomini dopo un incontro dell’Agorà del Lavoro a Milano,dichiara che nelle nuove idee sul lavoro riguardanti il superamento della divisione tra il lavoro di produzione e quello di riproduzione dell’esistenza, per quanto espresse in gran parte da donne più grandi di lei, trova rispecchiamento la sua esperienza di giovane alle prese con la precarietà e il desiderio di maternità. Con questo finale si compie simbolicamente il passaggio generazionale tra chi è stata giovane negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso e chi lo è oggi nel nuovo millennio.

Le autrici, per evitare che il racconto soggettivo resti personale e rendere la dimensione collettiva di una storia condivisa, inseriscono 58 testimonianze fatte di parole e immagini che compaiono nel libro con eleganti inserti di colore grigio. Evocano il contesto delle vicende riferite nel dialogo tra madre e figliae rivelano episodi inediti di questo percorso: dalla lotta contro la guerra del Vietnam di Luisa Muraro alla lingua ritrovata che riporta al centro la vita di Lea Melandri, dall’invenzione dello slogan “Tremate, tremate! Le streghe son tornate!” di Bia Sarasini alla creazione della Libreria delle donne di Lia Cigarini, dal modo diverso di stare in fabbrica e di fare sindacato delle lavoratrici di Bresciaall’autogestione della MAG di Verona e all’invenzione di forme di lotta e di presa di coscienza pubblica da cui trarre suggerimenti, solo per fare qualche esempio.La scelta delle 100 foto risulta efficacissima nel disegnare, senza appesantire il testo con elenchi di date e di luoghi, la cornice spazio-temporale nella quale le vicende si svolgono.

Un punto di forza del libro è rappresentato da un linguaggio fluido, accattivante e preciso, semplice ma non semplificato anche nelle testimonianze, frutto di un’attenzione relazionale che non cancella l’originalità delle singole. Qui emerge la valenza politica dell’impresa: la scelta di mettere al centro il rapporto madre-figlia quale prefigurazione simbolica di una società costruita sulla sapienza e la capacità ordinatrice della madre e quindi sulla lingua materna, cioè sulla lingua nella quale parole e cose si corrispondono, quella che parliamo naturalmente con le creature piccole per insegnare loro a stare al mondo, mentre il parlarla con gli adulti deriva da una rigorosa e sapiente pratica politica.

Infine voglio mettere in rilievo il loro agire politico in relazione.Questo libro non avrebbe preso questa forma senza la capacità e la propensione a mettere in comune le competenze e i talenti: il lavoro sulla soggettività per autorizzarsi a fare storia partendo da sé, la sapienza magistrale acquisita con le differenti esperienze di insegnamento, la competenza nella documentazione visiva di Marina e il talento teatrale di Luciana, l’esperienza materna di quest’ultima; ingredienti che hanno dato un risultato più grande di quello che ognuna di loro avrebbe singolarmente potuto raggiungere con le sue solo forze.

 

*Betti Briano, cofondarice nel 1972 del Collettivo femminista savonese e della Biblioteca delle Donne alla fine degli anni’70, attualmente è impegnata nella comunità Eredibibliotecadonne, delle cui attività si dà conto nel blog https://eredibibliotecadonne.wordpress.com/

(Aprile/giugno 2016, Autogestione e Politica prima)

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