12 Novembre 2015
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Michela Murgia, ecco come si fa vivere un libro fuori dalle sue pagine

di Daniele Biaggi

 

Chirù ha 18 anni, vive a Cagliari e ha un profilo facebook. È un ragazzo pieno di vita, più di quella che ci si aspetterebbe da un personaggio fittizio. Chirù, infatti, è il protagonista del nuovo romanzo di Michela Murgia (Chirù, Einaudi Editore), scrittrice sarda vincitrice del premio Campiello 2010.

Murgia è una narratrice: lo è al punto tale da non riuscire a imprigionare le sue creature all’interno della pagina, permettendo loro di vivere una vita che superi lo spazio del racconto.

Quello che ha fatto è semplicissimo, tanto da chiedersi come mai nessuno ci avesse pensato prima: nelle settimane precedenti l’uscita del romanzo, ha donato una prima vita a Chirù, creandogli un profilo Facebook, un Tumblr e un account Spreaker. Non solo, non bastava: ha ingaggiato i suoi follower/futuri lettori, grazie a quella che potremmo definire una call to action letteraria, seminando oggetti dimenticati dal protagonista per la città, chiedendo di inviare libri che lo consolassero da ferite d’amore e postando continui aggiornamenti sui suoi spostamenti.

Ha rotto insomma un’incomunicabilità, intrinseca nella finzione letteraria, tra personaggi e lettore.

Tanto semplice l’idea, tanto complesse le implicazioni a livello letterario ed editoriale, che ci hanno spinto a contattarla per scambiare quattro chiacchiere riguardo la questione.

 

Innanzitutto, quando e come è nata l’idea?

A luglio scorso, il giorno dopo aver consegnato la stesura definitiva del romanzo, non avevo esaurito la spinta narrativa. Sentivo che la voce di Chirù diciottenne aveva un respiro proprio, ma che non erano le pagine del romanzo il posto in cui poteva esprimerla. Così ho aperto una pagina Fb e ho iniziato a scrivere dei post come se fosse lui medesimo a muoversi sulla bacheca. Poiché nessuno ne era a conoscenza, è rimasto senza amici fino alla prima settimana di ottobre.

 

Una delle regole auree della letteratura sancisce l’incomunicabilità tra lettore e personaggio, cosa che ha in un certo senso violato e che aumenta il livello di sospensione dell’incredulità. Come spiega il superamento di questa barriera?

La barriera in realtà è apparente, perché anche Facebook è uno spazio narrativo. La sequenza dei post degli utenti sulla bacheca si chiama timeline, ma se si chiamasse storyboard sarebbe ancora più chiaro che la scelta dei contenuti – testo, foto, video, emoticons – risponde a una volontà narrante. Sui social siamo tutti allo stesso tempo lettori, narratori e personaggi.

Il lettore viene a conoscenza di particolari successivi a un evento, prima di aver conosciuto l’evento stesso raccontato nel romanzo. È una rivoluzione letteraria a livello del patto narrativo con il lettore, ne è consapevole?

Che la storia non si esaurisca nella carta è una cosa vera da sempre, considerato che non è sulla carta che è cominciata. La narrazione comincia nel mondo dell’oralità, la carta è un’evoluzione molto tardiva e gli strumenti narrativi tecnologici raccolgono lo stesso testimone, lo stessoc’era una volta” partito da un cerchio di persone intorno a un fuoco e a un trovatore centinaia di anni fa. Il patto non cambia: si espande.

 

Superato il limite, si potrebbe delegittimare il potere della carta stampata. È, in parte, il riconoscimento che nella società di oggi il libro non ha più un fascino sufficiente per certi lettori?

In un paese dove 6 italiani su 10 non leggono nemmeno un libro l’anno e dove il 46% è considerato analfabeta funzionale, la delegittimazione della carta è già certificata: chi scrive libri per mestiere è consapevole di farlo per un’élite in via di estinzione. La sfida dei narratori futuri è anche quella di capire come i nuovi sistemi di organizzazione del linguaggio e dei contenuti possono salvare le storie, anche se si perde la carta.

 

Possibile che una soluzione alla crisi di lettura in Italia si possa trovare proprio grazie a una narrazione crossmediale che coinvolga più mezzi di comunicazione?

L’informazione si è posta il problema molto prima e, pur non avendo smesso di uscire in edicola, si muove da tempo sulla rete nell’ottica del mobile first. Non riguarda la mia generazione, già vecchia, ma i millennial. I ventenni di domani hanno bisogno di storie quanto noi, ma i luoghi in cui le trovano somigliano ai nostri quanto un chicco di grano somiglia a una spiga, e non è detto che sia peggio. Gli spazi fortemente connettivi in cui loro si muovono con naturalezza ci dicono una verità che la retorica dello scrittore solitario ci aveva per anni indotti a negare: la narrazione è prima di tutto relazione.

 

Questo comporta una preparazione impartita dall’autore nei confronti dei suoi futuri lettori, creando un narratario ideale della storia.Per esempio, Chirù è appassionato di musica, lo si vede nei suoi post, e in questo modo i lettori avranno una maggiore consapevolezza. Possiamo definirla una facilitazione per l’autore?

Credo che l’autore si esponga al contrario a un rischio notevolissimo. Chi ha vissuto l’esperienza multimediale del prequel su Fb si approccerà al libro con un’idea del personaggio Chirù che il lettore tradizionale non avrà. Leggeranno due libri diversi, non solo perché tutti i lettori sono diversi, ma perché la partenza avviene da blocchi sfalsati. Per gli utenti di Facebook, Chirù non è un misterioso estraneo raccontato da una voce amica, ma un amico che incontra una misteriosa estranea. Al digital divide corrisponde in questo caso anche un divario letterario.

 

È una storia in fieri, potenzialmente infinita: se e quando si dice basta?

Dire basta spetta al lettore. Quando cessa la sua disponibilità alla relazione, la narrazione è finita. Non sono mai stata il tipo di autrice che scrive per se stessa”.

 

(www.wired.it, 12 novembre 2015)

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