2 Dicembre 2020

Nella valle oscura: per quanto ancora?

di Luisa Muraro


Sull’inserto del manifesto Alias del 14 novembre ho letto una interessante recensione di Anna Wiener, La valle oscura (Adelphi 2020), firmata da Massimo De Carolis. La valle del titolo è la Silicon Valley, il dipartimento industriale della California famoso per ospitare centinaia di imprese di tecnologia informatica; il tech, lo chiama l’autrice nel racconto autobiografico dei quattro-cinque anni di lavoro in questo tipo di aziende. Anzi, così lo chiama la traduttrice, Milena Zemira Ciccimarra; io avrei tradotto con la tech, al femminile. Ma poco importa, la lettura del libro è appassionante, oltre che istruttiva, merito anche di Zemira. Alla quale vorrei ricordare soltanto che il femminile di presidente è presidente.

Il titolo, che traduce esattamente quello originale: Uncanny Valley, fa pensare agli inizi del viaggio di Dante che si è perso in una valle oscura… Quella di Dante è una selva, ma lui stesso, pochi versi dopo, la chiama valle: «là dove terminava questa valle che m’avea di paura il cor compunto». Paura, guarda caso, è una parola che troviamo anche nella recensione di Alias. Per caso? C’è chi dice che il caso non esiste.

Il racconto dei quattro-cinque anni passati a lavorare nel tech scorre come una lunga rassegna di fatti e pensieri occasionali, incontri e dialoghi, descrizioni e riflessioni. Procede per accumulazione veicolando segretamente una crescente insofferenza. Alla fine l’insoddisfazione si espliciterà in una presa di coscienza dell’autrice-protagonista, che riguarda tanto il mondo del tech quanto lei stessa in quel mondo e il suo modo di lavorare. Ma non è più una generica diffidenza o avversione come quella descritta all’inizio che era snobismo newyorchese più che consapevolezza.

Torno alla recensione la quale ha come titolo (titolo d’autore, presumo) Miraggi di benessere pilotati verso l’obbedienza: per quanto? Per capire il titolo bisogna sapere che a un certo punto Massimo De Carolis fa un accostamento sorprendente: accosta a La valle oscura un libro intitolato Operaie e dedicato alle operaie di un’immensa fabbrica cinese. Ebbene, mi pare che il titolo della recensione sia sbilanciato verso quest’ultimo libro e che, applicato a quello di Anna Wiener, ne trascuri qualcosa di essenziale, qualcosa che ha a che fare con la presa di coscienza di cui abbiamo parlato.

La presa di coscienza porta la protagonista ad abbandonare un mal riposto sentimento di empatia con l’altro sesso, a rendersi invece consapevole di una differenza maschile e a intuire che quest’ultima riguarda il rapporto di agio/disagio nel mondo avanzante del tech.

L’accostamento tra i due libri resta nondimeno sensato, anzi qui si potrebbe vedere la sua ragione più profonda: donna è colei che fa e racconta il viaggio nella valle oscura, donne sono le ragazze che lasciano le campagne cinesi per lavorare nell’immensa fabbrica e donna è la studiosa che raccoglie le loro confidenze, Leslie T. Chang. È un caso? No, appunto. Si tratta in entrambi i casi di lavoro postmoderno, spiega l’autore della recensione. Sì, ma secondo me quello che risalta di più è la presenza femminile che cambia il modo d’intendere il lavoro e il suo rapporto con la vita. Costatazione, timore o previsione che sia, questo pensiero, dopo che ha preso forma, viene scartato: «Beninteso non si tratta…». Non si tratta cioè di quello che ha in mente lui in vista di cambiare il mondo.

Io credo di sapere il perché di questo scarto: perché approfondire quel pensiero di un soggetto che non vede le cose come le vede lui, gli chiederebbe di decentrarsi per prendere coscienza della sua differenza, la differenza maschile.

Qui, infatti, nella presa di coscienza della vuota eccitazione di lavorare in una startup di successo, quello che alla lunga risalta agli occhi di una donna come la protagonista di La valle oscura sembra essere il rapporto degli uomini con il potere e il primato. Rapporto che in effetti li tiene straordinariamente occupati, ma che non è e non può diventare il rapporto di lei: «non riuscivo a immaginare di tornare a essere così compiacente, così totalmente assorbita». Con queste parole lei si congeda dalla carriera. Lui, neanche si accorge di seguire, compiacente e assorbito, la logica del potere e vagheggia di cambiare il mondo (o di conservarlo, dipende) restando in ogni caso centrato su di sé. Per quanto ancora?


(www.libreriadelledonne.it, 2 dicembre 2020)

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