18 Marzo 2021
il manifesto

Nell’«inventare l’ignoto», la storia non era più solo di «grandi uomini»

di Francesca Maffioli


L’esperienza della Comune di Parigi, pur nell’intervallo di tempo limitato in cui ha espresso la sua carica trasformativa, ha saputo anticipare alcune – non poche, in realtà – misure rivoluzionarie che saranno riprese negli anni a venire. Secondo lo storico francese Jacques Rougerie, una delle misure a cui il controgoverno della Comune avrebbe potuto aprirsi – e se non lo fece non fu solo a causa di questioni legate alle circostanze di un tempo troppo breve – sarebbe potuta essere quella che consentiva il voto alle donne. 
Non può tuttavia il solo accesso al voto (la cui rivendicazione fu presente anche se non prioritaria) a determinare il valore radicalmente trasformativo delle battaglie delle communardes. Lo furono la lotta per il diritto all’istruzione, al lavoro, all’uguaglianza salariale, al riconoscimento dei figli e delle compagne «non legittime». Ma anche la lotta per la cessazione dell’«incapacità civile» delle donne sposate – lo smarcamento dal dovere d’obbedienza della moglie nei confronti del marito (che si ottenne più di sessant’anni dopo, nel 1938). 
Vinzia Fiorino, docente di Storia contemporanea all’Università di Pisa, membra della Società italiana delle storiche e del centro interuniversitario di storia culturale, ha recentemente pubblicato presso Viella un volume intitolato Il genere della cittadinanza (recensito su queste pagine il 14 gennaio scorso) in cui analizza la realtà transalpina dal 1789 al 1915. Nel suo testo l’esperienza della Commune si rivela grazie alla bella ragnatela costituita dai vissuti di militanza delle donne che hanno partecipato alla Comune di Parigi, ma anche di quelle che l’hanno anticipata o seguita.

Durante la Comune di Parigi non ci fu modo di instaurare il suffragio femminile. Quali furono le priorità? 
No e non solo per la breve durata di tutta l’esperienza, compresa, come è noto, tra il marzo e il maggio del 1871. Ci sono dei momenti nella storia francese in cui alcune strutture culturali profonde si traducono autenticamente e immediatamente in atti politici. Con la rivoluzione del 1848 si approva subito il suffragio universale maschile perché esso dava corpo allo spirito repubblicano; con la Comune si attivano immediatamente almeno due figure profonde dell’immaginario politico ottocentesco: il cittadino (maschio) che in armi difende il proprio territorio e infatti è la Guardia Nazionale – da cui le donne erano escluse fin dall’89 – a assumere il controllo dell’amministrazione pubblica e a detenere il potere governativo. In secondo luogo, tutti i rappresentanti sono controllabili, revocabili e riconoscibili: in questo gioco di identificazione/rispecchiamento tra elettori ed eletti, il genere non può che essere un elemento costitutivo. Insomma, ancora una volta un patto tra soli veri uomini. Si farà in tempo, però, ad approvare alcune misure rivoluzionarie: vengono rese pubbliche le fabbriche abbandonate e viene introdotta una sostanziale eguaglianza salariale.

Louise Michel è una delle figure emblematiche della Comune, ma anche antesignana del femminismo europeo. Scriveva: «Il nostro posto nellumanità non deve essere mendicato, ma preso»… 
Intanto, ricordo che il movimento delle donne si organizza in varie direzioni: nella difesa armata della Parigi insorta, nei club, nelle associazioni per le lavoratrici, nei giornali o ancora, nell’impegno come infermiere e in altre attività di supporto; in ogni caso, è sempre dominante il significato politico di queste attività, non già l’ancoraggio ai ruoli oblativi tradizionali. La disuguaglianza economica sulla base del genere diviene centrale come dimostra l’esperienza dell’Union des femmes – diretta dalla rivoluzionaria russa Élisabeth Dmitrieff. In questo quadro spicca la figura poliedrica e versatile di Louise Michel, tra le protagoniste più originali dell’intera stagione comunarda: armata per difendere il quartiere nevralgico di Montmartre, organizza i gruppi di lotta contro le truppe «regolari» di Thiers ma è soprattutto una scrittrice prolifica di ispirazione libertaria. La citazione, pregnante, è in continuità con una certa tradizione del femminismo francese che va alle origini del problema delle asimmetrie di genere e per il quale la presa di parola – il processo di soggettivazione – è fondamentale per rivendicare i diritti e offrire un proprio sguardo sul mondo.

Nel suo libro torna spesso Paule Minck. In seguito allesperienza della Comune, Minck cercò di coniugare istanze femministe a quelle del socialismo rivoluzionario. Perché fu una pioniera? 
Paule Minck, attiva già durante il Secondo Impero, è un personaggio interessante in quanto, come altre teoriche, ha cercato un punto di congiunzione tra femminismo e socialismo. In questo caso però, ecco la nota originale, la sua critica è rivolta alle infinite forme di autoritarismo e di coercizione sociale insite sia nelle relazioni private, sia in quelle politiche. Si candiderà provocatoriamente alle elezioni, ma non riceverà alcun sostegno dal partito socialista. Lei continuerà a rivendicare la specificità del suo essere e della sua libera visione politica fuori dai partiti.

La figura della «troleuse» risente tuttoggi di un immaginario caricaturale per cui gli accenti di rivolta delle donne rimano con esaltazione e follia. Può darcene conto? 
Le donne sulla scena politica, anche durante la Comune, suscitano un sentimento di ostracismo; restano un «fuori luogo». Nel conflitto, acerrimo, che pone fine all’esperienza comunarda prende corpo una figura immaginaria, la troleuse: una donna non più giovane che appicca incendi in ogni dove, in preda a una pulsione di violenza politica incontrollabile. L’iconografica al riguardo è notevole, i passaggi semantici altrettanto: una nuova scienza positivista si esercita nella codificazione di soggetti parossistici e depravati, come le donne che osano far politica e rilegge le protagoniste del passato, Olympe de Gouges ad esempio, come in preda a isteria rivoluzionaria; una nuova patologia!

Tra le «communardes» si ricordano Victorine Gorget, Eulalie Papavoine, Hortense David e altre. In quanto storica, come ricostruire e dare voce alla storia delle loro esistenze? 
Penso che sia sempre interessante soffermarsi sul pensiero e sulle elaborazioni di coloro che nel passato hanno preso la parola per i molteplici punti di vista che ci offrono. È anche politicamente importante che lo/a storico/a possa restituire gli sguardi, anche i più personali, dei soggetti che non hanno ricoperto ruoli e posizioni di primo piano ma che hanno offerto riflessioni originali sul loro tempo vissuto. Tutto questo affinché la storia non torni a essere il racconto dei grandi eventi e dei «grandi uomini». Le loro riflessioni ci interrogano sulla Comune come esperienza di democrazia che ha tentato di «inventare l’ignoto», per citare la bella espressione di Daniel Bensaïd, ma che ha mostrato anche robuste resistenze.


(il manifesto, 18 marzo 2021)

Print Friendly, PDF & Email