27 Maggio 2023
Il Quotidiano del Sud

Niente accade per caso nell’Iran delle donne

di Franca Fortunato


Niente accade per caso, mi sono detta dopo aver letto il libro Il vento fra i capelli. La mia lotta per la libertà nel moderno Iran della scrittrice, giornalista, attivista Masih Alinejad, pensando al movimento “Donna Vita Libertà” seguito alla morte della 22enne curda Mahsa Amini, arrestata e pestata dalla polizia morale perché non portava il velo correttamente. Il libro è l’autobiografia di una delle figlie “ribelli”, invise al potere, della “rivoluzione islamica”, divenuta la voce di «milioni di iraniane che vogliono essere libere di scegliere per sé». La sua è la storia dell’Iran dalla “rivoluzione” a oggi e di una delle figlie delle centomila donne che l’8 marzo 1979 scesero in piazza per manifestare contro l’obbligo dell’hijab rendendosi conto «soltanto dopo il trionfo della rivoluzione di aver rinunciato volontariamente ai propri diritti e portato al governo un regime che imponeva la sottomissione». È la storia delle figlie a cui, come alle loro madri, era stato insegnato a nascondere il proprio corpo, a nascondere le forme femminili perché spingevano gli uomini a peccare. È la storia della figlia adolescente che a sedici anni assaporava il piacere proibito di liberarsi del velo appena fuori casa per poi rimetterselo quando rientrava. «La mia libertà clandestina» la chiamava, libertà che da adulta, convinta che appartenesse a tutte le donne iraniane, portò allo scoperto quando, dall’esilio, con la campagna online “La mia libertà clandestina” invitò le donne irachene a mandarle foto senza velo. «Foto di quando guidiamo a capo scoperto, passeggiamo senza il velo tra i boschi o al mare, stiamo in cima a un albero o nel deserto, dove possiamo respirare liberamente». Era il 2014 e in migliaia risposero con foto e video di quando si toglievano il velo. La resistenza all’obbligo del velo uscì così dalla clandestinità e il mondo intero attraverso facebook poté conoscere un altro Iran, l’Iran delle donne. Donne coraggiose, forti, libere che rischiavano il carcere o 74 frustate per aver infranto la legge.

Le iraniane stavano dicendo al mondo intero «non ho scelto io di mettere l’hijab, e voglio essere libera di scegliere». E questo per i chierici in patria era pericolosissimo. Fino ad allora avevano raccontato che le iraniane erano contente di portare il velo. «Adoravo sentire il vento tra i capelli. Ogni volta che sento il vento soffiare tra i capelli ripenso a quanto tempo sono stati ostaggio dei potenti della Repubblica islamica». Ostaggio che per ogni donna irachena diventa a sette anni con l’obbligo ad osservare la legge sull’hijab anche se non è musulmana. Senza velo non possono studiare, lavorare, farsi vedere in pubblico senza essere arrestate e incarcerate. Il mondo intero parlava delle coraggiose donne irachene. Si aprirono le porte dei mass media. Il regime reagì. A Isfahan venticinque donne vennero aggredite con l’acido in faccia mentre erano in macchina o a passeggio. In migliaia scesero in piazza, la polizia le caricò. Alla campagna delle donne si unirono anche gli uomini non solo iraniani, che mandarono foto con il capo coperto. Nel 2017 il movimento dai social si spostò nelle strade con la campagna “mercoledì bianchi”. «Chiesi a tutte di scendere ogni mercoledì in piazza senza l’hijab o con un velo o uno scialle bianco in segno di protesta all’obbligo del velo. Gli uomini con una maglietta o un bracciale bianco». Le donne mandarono foto e video. Arrivarono minacce, arresti, ma le proteste andarono avanti. «Il futuro dell’Iran dipende dalle ribelli. È per questo che la lotta andrà avanti […], finché non sentiremo tutte il vento tra i capelli». Niente accade per caso nell’Iran delle donne.


(Il Quotidiano del Sud, 27 maggio 2023)

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