24 Febbraio 2007
l'Unità

Nothomb: «Sono una scrittrice paranoica»

Mirella Caveggia

Intelligenza vivacissima, ispirazioni sulfuree e surreali, un’inestinguibile e ineguagliabile produzione striata di venature truculente: questo e tutto il resto sprizza da Amélie Nothomb, scrittrice belga francofona non ancora quarantenne, pluripremiata e nota in tutto il mondo. Passata dai grandi cappelli, i gonnelloni e tout le bazar della prima gioventù ad una eleganza in nero che richiama stile, originalità e raffinatezza, l’autrice di Igiene dell’assassino e del recentissimo Diario di rondine (Voland) incontra il pubblico torinese. L’occasione l’ha fornita una messa in scena del suo Cosmetica del nemico rielaborata da Stefania Bertola e Michele Di Mauro per Mas Juvarra e il Festival delle Colline Torinesi.
La rapidità e la brevità dei movimenti, i lievi cenni del capo, la grazia compunta dei gesti rivelano in lei l’influenza nipponica. Figlia di un ambasciatore belga, nata a Kobe in Giappone, e cresciuta «per ragioni diplomatiche» in Estremo Oriente, Amélie a diciannove anni progettava di fare l’interprete, cosa che per due anni ha fatto, e di scegliersi un fidanzato, fatto anche quello, un giapponese. Ma una settimana prima di incunearsi nel rigido sistema familiare nipponico («Sei troppo espressiva – le aveva detto la futura suocera – non sarai mai una vera signora»), la ragazza di buona famiglia prende coscienza dell’attività «noiosa e terrificante» che la incolla nell’ombra, e della necessità di scongiurare il matrimonio. Decisa a buttare tutto all’aria per intraprendere il mestiere di scrittrice, scappa in Belgio. Accolta male nel suo ambiente alto borghese, l’irrequieta e volitiva Amélie investe nella sfida i risparmi di due anni. «Se non va – si ripromette – torno in Giappone e lo sposo». Intende naturalmente il fidanzato, che passato dall’incredulità ad un’attesa paziente, si trasformerà in pochi anni in un signore grasso e poco attraente (come sarà rivelato nel suo prossimo libro, ma è un segreto). Tutto va per il meglio. L’aspirante romanziera scrive e pubblica nel ’92 la sua prima opera narrativa, Igiene dell’assassino. Il successo, folgorante, rivela un sicuro talento narrativo, uno stile ricco di humour dall’impronta persuasiva, energica ed elegante – Cicerone è il suo modello – e una capacità comunicativa che si presta anche al teatro e al cinema. Segue un’attività di scrittura frenetica, esercitata giorno e notte, che fino ad oggi non ha mai interrotto il suo ritmo inaudito: 61 libri finora, di cui 15 pubblicati. E che inventiva nei titoli: Sabotaggio d’amore, Metafisica dei tubi, Acido solforico…
Un flusso di tale portata, quasi un delirio grafomane, non rischia di indurre momenti di stanchezza all’autore e alla scrittura, mademoiselle Nothomb? O madame? «Mademoiselle, prego». Con quel cappellino nero, sembra una monella che gioca alle signore. «È una fatica fisica, certo, ma non è mai tedio. La prova è che continuo con quel ritmo». Cosa ne fa delle pagine escluse? Ci ritorna? «Mai, le chiudo in una scatola di cartone e le abbandono. Anche alla discrezione dei ladri, che sono venuti quattro volte nel mio appartamento e non hanno voluto i manoscritti». Un successo a piene mani e qui ne abbiamo la prova. Ma pare che in Belgio lo abbia oscurato un’eclissi. In quale paese i suoi libri vanno meglio? «È noto che nessuno è profeta nella sua terra. Non che in Belgio non funzioni, va meno bene. A vedere le cifre, la Francia è il paese che vende di più i miei libri; ma Spagna e l’Italia sono i paesi dove sono più amati». Lei ha esordito giovanissima. Spirito stravagante, curiosità inesausta, autoderisione, temerarietà. Questi tratti sono cambiati? Il tempo le ha messo le pantofole? «Oh, non direi, anzi. Ho l’impressione di essere peggiorata. Mi sforzo di essere all’avanguardia rispetto a me stessa e questo mi spinge ad andare sempre più avanti. Vedrete che razza di vecchia signora sarò». Lei ha lavorato in un’impresa giapponese, come ha raccontato in Stupore e tremori. Che esperienza ne ha tratto? «Disastrosa, ma fondamentale, di quelle che insegnano tante cose. Assunta per approfondire la conoscenza del giapponese, due settimane dopo mi è stato proibito di parlare in quella lingua. Incomprensibile: molto contrariata ho taciuto, non ho mai più detto una parola. Credo che quello che li ha spaesati è stata la mia volontà di un’integrazione piena e i giapponesi pretendono che lo straniero rimanga tale».
Una fantasia che rompe gli argini, governata da un gustoso rigore dialettico, una scrittura preziosa che qualche detrattore ha definito pedante e pretenziosa («La gente non è mai contenta», ribatte soave), visioni allucinanti e gonfiate a dismisura: le sue trame potrebbero attirare l’attenzione di Peter Greenaway «È incantevole, lo adoro, sarebbe il massimo del riconoscimento». Si riconosce una vena di cinismo e di crudeltà? «Osservo un mondo cinico, ma non credo di parteciparvi. Nel quotidiano ne sono completamente slegata. Definirei il mio stile “paranoico” perché quando mi volgo al mio lato lirico, quello autentico in cui credo, avverto uno stridore che prelude a suggerimenti crudeli che non mi appartengono, ma sono sempre in agguato». Forse è l’urgenza del lato oscuro, notturno che accompagna molti artisti a cui lei va incontro alle quattro del mattino quando si accinge a lavorare ancora in piena oscurità o quando mangia frutti mezzi andati che la fanno vomitare. Comunque le sue bizzarrie le hanno dato ragione. Lei è molto popolare. Un esempio da seguire? «Per carità, mai. Quando vedo che nei questionari di orientamento scolastico sono citata, mi pare la fine del mondo. Il mio consiglio ai giovani è: non fate come me». Ma i giovani accorsi alla Cavallerizza Reale per vedere Cosmetica del nemico, hanno applaudito con entusiasmo l’autrice presente e gli interpreti (Michele di Mauro e Graziano Piazza) di uno spettacolo pieno di spirito che sparpaglia particolari raccapriccianti, li ricompone in chiave psicoanalitica, per assestare un inatteso colpo di maglio finale.

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