di Francesco Piccolo
Per il New York Times il primo volume della tetralogia della scrittrice che non ha mai rivelato la sua identità, è il libro del secolo. Superando Franzen e Bolaño, tra quelli usciti dal 2000. Il commento dello scrittore che ha collaborato alla sceneggiatura della serie.
Le classifiche sono un gioco, ma i giochi vanno presi sul serio. E questa specie di sentenza del New York Times serve a ragionare su un po’ di cose: in questa classifica, nei primi dieci posti c’è Franzen con le sue “Correzioni”; Whitehead con il grande romanzo americano; ci sono scrittori di romanzi storici e distopici. C’è un immaginario perfettamente americano. E poi c’è il romanzo fatto di tanti romanzi di Bolaño; e al primo posto un romanzo lunghissimo pubblicato nel tempo in quattro volumi, che racconta la vita intera di due amiche cresciute insieme in un rione poverissimo di Napoli e che poi si dividono e si riuniscono per l’intera esistenza, attraversando la storia del Paese, la politica e la letteratura, la camorra e gli amori fallimentari, la povertà e la ricchezza, l’invisibilità e il successo. Cioè, l’immaginario di una scrittrice napoletana che forse su per giù racconta la sua vita nella sua città, supera (certo, è un gioco, ma questo dice il gioco) l’immaginario americano per gli americani.
I giochi vanno presi sul serio, così come sul serio è stata presa la quadrilogia di Elena Ferrante negli Stati Uniti (e non solo lì, ovviamente). E davvero non bisogna per forza svelare il mistero del rione dove passa il treno, diviso dal resto della città da un tunnel che sarà il momento epico e decisivo dell’amicizia di Lenù e Lila, quando lo attraverseranno per la prima volta per andare a vedere il mare, e sveleranno a loro stesse ancora inconsapevoli, e ai lettori ancora inconsapevoli, il destino che le attende: Lila ostinata e feroce avrà paura del diluvio e vorrà tornare indietro, nel rione – dove infatti resterà tutta la vita; Lenù, timida e impaurita, che scopre dentro sé stessa che indietro non vuole tornare – e infatti andrà via per il mondo. Ma senza la spinta della sua amica non avrebbe mai scoperto di essere quella che sarà. Non bisogna per forza svelare il mistero del perché quel tunnel, quel mare lontano, quell’amicizia, l’ostinazione di due bambine a non essere ignoranti e succubi come le loro madri, colpisce in pieno l’immaginario dei lettori di tutto il mondo: sono loro che trasformano quel tunnel nel loro tunnel del loro rione della loro cittadina; della loro magra o grassa esistenza.
Non bisogna per forza svelare il mistero dei romanzi popolari. Ma dobbiamo sapere che noi italiani di grandi romanzi popolari ne abbiamo fatti pochi, pochissimi, e la scrittrice a cui la Ferrante si è esplicitamente ispirata, Elsa Morante, quando ne ha fatto uno, “La storia”, è stata insultata da amici e nemici, da destra e sinistra. Ma ha avuto dalla sua parte, pronti a combattere al suo fianco, i suoi lettori, migliaia e migliaia. Esattamente come li ha avuti, e li ha adesso Elena Ferrante. È questa la forza dei romanzi popolari, riuscire a cogliere dentro il melodramma di una vita intera, di un mondo che non sparisce mai ma ritorna a ogni età, la forza ancestrale dell’esistenza degli esseri umani. E di conseguenza conquistarli, tenerli accanto, sentirli dalla propria parte.
È questa la risposta alla decisione dei circa cinquecento critici che hanno proposto L’amica geniale come miglior libro degli anni Duemila, ed è una risposta generica e semplice, ma specifica e profonda allo stesso tempo: provate a cercare un tema, un conflitto, un genere narrativo, un mito letterario, un archetipo o qualcosa che vi riguardi direttamente, che sia successo nella vostra vita: e nell’Amica geniale c’è. Chiunque lo legga sente che lo riguarda, è questo il miracolo.
Nell’averci a che fare per lavoro, avendolo dovuto scavare e rivoltare e cercare di comprendere in tutti i modi, quello che ho capito è che questo romanzo è ciò che si può definire opera-mondo. E c’è di più. Non so se è un azzardo, anche perché la Ferrante è invisibile e parla poco, ma questo ritmo avvolgente che ti trascina per molte centinaia di pagine, sembra avere una consapevolezza di fondo, ma anche una inconsapevolezza di fondo: è come se chi lo ha scritto fosse andato avanti, con la certezza che i personaggi, veri o inventati che fossero, potessero vivere, cadere, incontrarsi più volte, perdersi, sparire, tornare, vendicarsi, soccombere – fare tutto questo un po’ da soli, mentre la storia si scriveva, andando avanti. Ora, ogni scrittore sa che questo è impossibile, che il controllo è il punto di partenza di ogni libro. Ma ogni scrittore sa anche che un libro speciale, può diventare tale solo se a un certo punto sovrasta chi lo scrive, lo tira da una parte, decide il cammino, fa la rivoluzione. E questo può succedere soltanto se l’impianto iniziale è così perfetto che libera i personaggi e li fa vivere da soli.
Ecco, nessuno dei romanzi che compare in questa classifica, è così “popolare” e libera così tanto i personaggi, togliendo loro le briglie. Anzi, alcuni di questi sono amati per quanto lo scrittore li sopravanzi. Molti dei romanzi di questa classifica sono di scrittori in atto di pensare; Elena Ferrante non sembra mai in atto di pensare.
E così, in cima agli altri, c’è questa storia lontanissima, nel tempo e nello spazio, dal New York Times. Ma lì lontano, in quelle famiglie povere con tutti a dormire negli stessi letti, con l’idea che la scuola sia costosa e inutile, appare Dickens, appaiono i pionieri americani e i primi emigrati, c’è l’inizio di tutto, e c’è l’inizio della ribellione di due ragazzine a un mondo che le aveva già destinate a non essere altro che quello che già c’era.
E quindi le aveva destinate a non entrare in un libro, a non diventare mai letteratura.
(la Repubblica, 12 luglio 2024)