5 Giugno 2020

Perché Francesco Pacifico mi è piaciuto più di tutti

di Luisa Muraro


Con Francesco Pacifico intendo l’autore di Io e Clarissa Dalloway, sottotitolo: Nuova educazione sentimentale per ragazzi, edito da Marsilio di Padova, nell’anno (o: nel primo anno) della pandemia da covid 19, cioè nel 2020. Altra precisazione: i “tutti” del titolo sono un maschile plurale che vuol dire tutti al maschile, non comprende donne. Ho ancora in mente la protesta di quello studente che mi disse: perché noi ci chiami “i maschi” e loro invece sono le ragazze, non le chiami “le femmine”? Colpa della grammatica che si è fatta impressionare dal maschile totalizzante, gli ho risposto, e me lo impone sempre al plurale, anche quando il maschio è uno in uno sterminio di femmine. Siamo già in argomento.

C’è una minoranza di uomini che scrivono usando il maschile al maschile, cioè tenendo presente il fatto della (loro) differenza sessuale. Di alcuni sono diventata amica. E nulla di quello che dico deve risuonare come una critica nei loro confronti. Ma, allora, perché tra questi Francesco Pacifico è quello che mi è piaciuto di più? Perché lo fa meglio di tutti. Lo sa fare, semplicemente. Detto nel gergo femminista: è uno che sa fare autocoscienza. Non: lo sa fare come una femminista! Ma come non avevo mai sentito un uomo farlo con altrettanta bravura. Sa mettere in parole la consapevolezza di essere quello che è, un uomo di sesso maschile, e lo fa senza caricature, senza trascenderla, senza dogmatizzare, senza aggirare la cosa con teorie negazioniste, senza denigrare né denigrarsi.

Come ci riesce, mi sono chiesta.

La risposta è relativamente semplice, non dico facile. Ci riesce perché è uno scrittore e ha applicato il suo saper-fare alla questione di dire “io sono un uomo” senza ingarbugliarsi. L’ha risolta? No, ma ci ha dato un ottimo esempio su un tema importante, quello della formazione sentimentale. Io penso, anzi, che una soluzione una volta per tutte non ci sia, penso che le difficoltà (per non dire le contraddizioni) di essere un essere umano in due versioni, maschile e femminile, si ripropongono fatalmente. Mi spiego. La vita, per riprodursi, a un certo punto ha inventato la sessuazione e non ha cambiato idea, per cui noi siamo una sola specie in due versioni, entrambe indispensabili alla sua conservazione e riproduzione, ma non ugualmente indispensabili, due versioni irrimediabilmente asimmetriche.

Come si affronta, senza ingarbugliarsi, questo nodo che non si scioglie? Come fa in pratica l’autore di Io e Clarissa Dalloway?

Lo ha fatto così come ogni scrittrice e scrittore sa che si fa, anzi così come la lingua materna prima e poi quelle che impariamo, se e quando ci diventano amiche, ci insegnano che si può fare, e cioè inventando delle mediazioni. In ciò consiste il saper scrivere. E, in generale, il saper-fare proprio della cultura. La cultura è un insieme di mediazioni, che gli umani inventano, trasmettono, cambiano, rifiutano, accettano, impongono… Anche il presunto primato del maschile sul femminile si è imposto come una mediazione che, bene o male, più male che bene, ha funzionato per secoli. E che, si tende a pensare oggi, è stato il modello di ogni ingiusto ordine gerarchico tra esseri umani, divenuto non più accettabile e questo anche per merito del femminismo. Esemplare per la sua estrema semplicità trovo, nelle rivolte provocate negli Usa dall’uccisione di George Floyd, il gesto di una manifestante afroamericana che abbraccia un poliziotto che si è inginocchiato… mediazione effimera? Forse, ma chi lo sa?

La mediazione escogitata da Francesco Pacifico è riassunta nel titolo del suo saggio sull’educazione sentimentale dei maschi giovani. Consiste nel confronto tra due personaggi creati da due grandi della scrittura letteraria, Virginia Woolf e Stendhal… Mi sono interrotta perché ho sentito affiorare l’idiozia di voler riassumere quello che si può cogliere solo con la lettura, alla quale il mio commento vi invita.

Scoprirete così il segreto dell’eccellenza che attribuisco a questo autore e cioè che, prima di vedere nella differenza sessuale un fatto oggettivo, si tratta di vederci e farne una verità soggettiva, che illumina la scrittura. O, detto meno misticamente, trovare il passaggio dal dato anatomico, quello che ci accomuna con il mondo animale, all’ordine simbolico, quello del nostro essere animali parlanti, cioè capaci di dire il vero o di ignorarlo o di falsificarlo…

Se mi chiedete: che ne è della transessualità? Forse che le trans non parlano? Forse che non sanno fare il passaggio? Certamente che lo sanno fare, lo fanno senza piegarsi alla deduzione del loro essere uomini dal dato anatomico. Neanch’io mi sono piegata a una simile deduzione (ma ho accettato il dato) e, quando sono interrogata sul cosiddetto pensiero della differenza, preciso che è il pensiero del senso libero della differenza sessuale. “Io sono una donna” lo dico liberamente. La sessuazione non è libera ma il suo significato umano lo è o può diventarlo. Forse serve tener presente che la differenza sessuale non è una legge di natura come la legge di gravità, è un’invenzione della vita nella sua evoluzione, alla quale i viventi umani collaborano per il meglio o per il peggio. Cioè liberamente.


(www.libreriadelledonne.it, 5 giugno 2020)

Print Friendly, PDF & Email