28 Maggio 2021
Domani

Piera Oppezzo e lo sprazzo della poesia

di Eleonora Negrisoli


«Ma io ero pietra, / ero gelo o fiamma, / febbre o abbandono, / ma non ero ancora…». A scrivere è Piera Oppezzo: donna algida e silenziosa, decisa e solitaria, poeta sconosciuta ai più, si è mossa nei sentieri della poesia lasciando dietro di sé poche, ma indelebili, tracce. Di lei rimangono soltanto le testimonianze di coloro che l’hanno incontrata e due scatole di cartone con “le sue cose”, affidate all’amico Luciano Martinengo poco prima di morire.

Piera Oppezzo nasce a Torino il 2 agosto 1934, poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che la circonderà di «quei boati fra le valli / che mi toglievano all’infanzia». La sua famiglia proviene da un ambiente umile, e lei è costretta dalla necessità a lavorare; è così che, ancora bambina, prende impiego come aiuto sarta, frequentando soltanto la scuola domenicale.

Cambiando i più disparati impieghi, Piera continua a lavorare, o meglio: a lavorare per sopravvivere, ma a vivere per scrivere. Infatti, Oppezzo comincia a scrivere molto presto (quando non si sa, ma nei famosi scatoloni sono rimaste poesie che risalgono al 1952). In questi versi, inediti fino a quest’anno, c’è la quotidianità di una giovane donna, il cui «dolce amore per la vita è snervante e imperfetto». Piera si lascia incantare, a volte dall’amore, a volte dal jazz, altre dal «Verde e azzurro / intorno», eppure soffre spesso, sopraffatta da uno «scattante dolore / puntuale presente quotidiano».

Altro tema che compare in questi suoi primi versi è quello del lavoro, sempre visto – in perfetta linea con quello che sarà il pensiero dei movimenti rivoluzionari negli anni Settanta – come costrizione e alienazione: «I poveri giorni / in cui si crede veramente / di essere la persona / che compie il lavoro quotidiano». Eppure, è proprio in un contesto lavorativo – in quel momento Oppezzo era dattilografa in Rai – che vengono scoperte le sue poesie. I suoi versi cominciano ad essere pubblicati in diverse riviste, per poi approdare nel 1966, con L’uomo qui presente, nella prestigiosissima Collana Bianca Einaudi (e pensare che l’unico altro poeta italiano pubblicato dalla casa editrice in quello stesso anno fu l’inestimabile Cesare Pavese!).

“L’uomo qui presente” è l’essere umano contemporaneo, costretto in un «Mondo attualmente esaurito figurativamente / su scatole tubetti risvolti / interno d’autobus cantieri», e, per dirla sempre con i suoi versi, «nell’attuale mondo confezionato / con qualità d’apparenza altamente reclamizzate / ovvero un falso autentico rispetto alla natura / e più stipato di fatti e oggetti». Continua dunque l’oggettiva denuncia della realtà, che di rado lascia spazio a sentimenti (e a sentimentalismi tanto meno). Nella poesia, così come nella vita, di Piera non c’è tanto spazio per le relazioni, spesso vissute con evasività e distanza, come ci raccontano le persone che l’hanno conosciuta.

Il Sessantotto è alle porte e la poeta, lasciandosi alle spalle il clima culturale torinese nel quale ormai si era inserita, si trasferisce a Milano. Sono gli anni dell’attivismo femminista e dell’impegno politico nella sinistra extraparlamentare, della grande speranza che nutre la scrittura di “1967 Sì a una reale interruzione” (intensa plaquette pubblicata, dopo la chiusura con Einaudi, nelle Edizioni Geiger solo nel 1976). Qui la poesia di Oppezzo, contro ogni stereotipo sulla scrittura femminile, si fa totalmente concettuale, quasi militante. Attraverso un linguaggio duro e scarnificato la poeta si fa portatrice delle «CONTESTAZIONI TOTALI CONTINUE» che in quel momento guidavano i movimenti rivoluzionari, a Milano e in gran parte del mondo.

Dunque, il primo periodo milanese è rigoglioso per la poeta, che finalmente può riemergere da quel dolore così profondamente annidato in lei: «E adesso, tra le rovine del mio essere, / qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire». Quella sua decisione di mutare il mondo per un momento la spinge oltre sé stessa, le dà la forza di «scavalcarsi, finalmente»; ma svaniti i fumi del Sessantotto, la sofferenza di Piera sembra riaffiorare inesorabilmente. Torna la necessità della solitudine, dell’austero isolamento – «L’astro freddo ci affascina», aveva scritto un po’ di anni prima.

Si trasferisce da sola in un appartamento della nota casa occupata di via Morigi 8, sempre a Milano. Quando non lavora, passa le ore davanti alla sua macchina da scrivere, nella piccola cucina di casa, una stanza luminosa, dove «il soffitto è la palpebra», sempre aperta all’universo altro della creazione poetica. Ogni tanto scende nel cortile comune, sempre in fermento culturale: ascolta con attenzione, parla ogni tanto – e quando parla, “la Piera”, non si può fare a meno di lasciarsi incantare. Ma Casa Morigi viene sgomberata e Oppezzo è costretta a trasferirsi in una casa “protetta” del Comune; poi un incidente domestico la costringe a una sofferta convalescenza presso l’Eremo di Miazzina, dove muore in solitudine il 19 dicembre 2009.

La figura di questa donna rimane avvolta nel mistero e la sua poesia resta indicibile, incollocabile, radicalmente fuori da ogni canone. Eppure, forse, è semplicemente come Piera Oppezzo avrebbe voluto: restare in disparte e affascinare da lontano, disfarsi nell’ombra per rifarsi in quel tanto ricercato assoluto, «perfetto / come il volo / della tua tristezza».


SENTIMENTO AD UN UOMO

Come un ramo di pesco fiorito

la tua testa curva e sospesa;

alte colline, in primavera

pareti d’erba, ti custodiscono.

Nel pulviscolo e il vento

solo la tua armonia sola

mi sta aperta nel cuore

fino a domani e domani.

Ancora – sento il mio dolore

Durare in me come sogno.

(aprile 1955)


DISEQUILIBRIO

(da L’uomo qui presente, 1966)

La nostra vita

nel tempo trema tutta

di scompensi e previsioni,

di atti impersonali e indomabili

nella loro astratta espansione.

Ogni giorno

circoscritto dal tempo.

Un tempo presente, esterno

che noi seguiamo incapaci,

un po’ distrutti nello spirito

per tendenza naturale

e conseguenza logica.


L’AZIONE

(Da 1967 Sì a una reale interruzione, 1976)

reale impotenza

non impassibili tuttavia fermi

finché non inserito nel comportamento privato

sempre sconnesso nel suo insieme

un concetto di intervento

davanti a torture

o altra violenza organizzata

azioni dovrebbero inserirsi molto presto

perché il ritmo giornaliero

perda l’andatura di un genocidio

e la massa di astrazioni

cessi di consentire un tipo di morte

che per inerzia richiami morti successive

contro la coesistenza

troncare partecipazione indiscriminata

a valori fissati da vittorie precedenti

e gerarchie morali ridotti

per restituire a idee e azioni

la PERICOLOSITÀ PERDUTA

creando uno svolgimento

che rifiuti modelli

in tattica o strategia agire

per colpire realtà stabilite dal nemico

che esercita un ricatto sull’umanità

con preliminari molto reali

spogliare la realtà del privilegio dell’inaccessibilità

una nuova formulazione dei problemi creando

come forma di controllo

INVENZIONE CONTINUA

distruzione definitiva suppellettili

confortanti la non-libertà

CONTESTAZIONI TOTALI CONTINUE proponendo

impadroniti di tensione propria verso

realizzazione dell’uomo

è possibile tentare un livello di festa

anche ora dopo ora quotidianamente

situati male ubicati mentalmente

tuttavia quasi rilassati non troppo lontani

da uno splendore di superficie in alcuni casi

fra torture e altre dimenticanze

certo diminuiti emozionalmente

NON PROSEGUIRE introdurre cose

distribuzione parola d’ordine

cioè passare a UNA REALE INTERRUZIONE

impadroniti di tensione propria verso

realizzazione dell’uomo.


COME UNA SCIARPA TROPPO LUNGA

Per me poesia è qualcosa da dire

di molto confuso e parziale

che da tempo circola fuori e dentro.

A un certo punto mi trovo

come con una sciarpa troppo lunga

che stringe il collo

si aggancia al tacco dello stivaletto.

Mi chino e mi do da fare

per tirarla via prima che mi costringa

a camminare con una gamba sola

Quando una poesia è scritta c’è.

Prima ronzava invisibile

formicolava nella testa e nello stomaco,

in ogni caso una poesia

me la porto sul tram

le faccio vedere come tutto si muove

che c’è il sole e arriva il caldo

e le assicuro che anche lei arriverà

– parziale e precisa –

anche se rimando sempre l’ora

e preferisco lavarmi i capelli

fare qualcosa di più vago, disperdermi,

fare qualcosa dove lei ancora non c’è

ma potrebbe benissimo esserci.

(aprile 1977)


VIVENTE AL RISVEGLIO

(Da Andare qui, 2003)

Quali sono. Le cose che ci stanno a cuore.

Vivente solleva il peso di questa domanda.

Avvia la mente verso il cuore e l’opposto.

La domanda subisce scontri. Crolla più volte.

Vivente appoggia la fronte alla finestra.

Vuole traslocare all’esterno l’argomento.

Si provvede di attenzione. Fa questo lavoro.

Cerca di svegliarsi si può dire.

Dopo qualche accorgimento. Aspetta.

Passioni nuove? Solo toni giusti per nominare.

Toni neutri. Per ripetere senza sfarzo.

Al viavai dei corpi in strada ormeggia.

Per le cose a suo nome trova il la poco più in là.

La domanda affolla facce di risposta.

Linee. Lineamenti in montaggio sovrapposto.

A vivente esplodono importanze che non sapeva.

1991-92-98


Fonti: P. Oppezzo, Una lucida disperazione, Interlinea, 2016; P. Oppezzo, Esercizi d’addio, Interno Poesia, 2021; L. Martinengo, Il mondo in una stanza. Piera Oppezzo poeta, 2018.


NOTA – POETA O POETESSA?


In generale, spiega Vera Gheno in Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, i linguisti consigliano di non utilizzare il suffisso -essa, in quanto storicamente usato per designare “la moglie di”, oppure per conferire una connotazione dispregiativa. È anche vero che è rischioso intervenire sui termini che sono già pacificamente nell’uso, come poetessa, appunto. In ultimo, tra poeta o poetessa, Alba Sabatini consiglia di utilizzare poeta (accompagnato dall’articolo femminile), in quanto foneticamente legato al genere femminile sin dalla sua origine latina, e in quanto associabile per analogia ad altri nomi femminili o epiceni (es: atleta). Si veda Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, estratto da Il sessismo nella lingua italiana a cura di Alma Sabatini per la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987. La questione non ha una risposta univoca, importante è utilizzare queste parole consapevolmente.


(editorialedomani.it, 28 maggio 2021)

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