23 Giugno 2023
Leggendaria

Poesia della relazione. Un’aggiornata biografia di Antonia Pozzi alla luce dei nuovi documenti e testimonianze: l’intensità di una vita, l’originalità di un poetare.

Intervista a Graziella Bernabò di Luciana Tavernini


Graziella Bernabò, saggista e critica letteraria, si è a lungo dedicata ad Antonia Pozzi. Dopo aver collaborato a diverse iniziative su di lei – quali convegni universitari, film, percorsi sul territorio – e dopo un decennio di lavoro d’archivio con Onorina Dino, finalizzato alla pubblicazione integrale della sua opera, ha completamente riscritto, per la nuova edizione, la biografia Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia. Un libro che, con un linguaggio chiaro e avvincente, ci permette di cogliere appieno l’intensità del suo percorso di vita e l’originalità della sua poesia, ormai apprezzata a livello mondiale. Con Bernabò, che si è occupata in modo simile anche di Elsa Morante, parleremo del metodo personale con cui scrive biografie e della complessità e ricchezza della figura di Pozzi come donna e come poeta.


Qual è l’immagine di fondo di Antonia Pozzi che scaturisce dalla tua nuova biografia e qual è la caratteristica principale della sua poesia, che tu hai definito come “poesia della relazione”?

Pozzi era interiormente libera rispetto agli schemi sociali, culturali e letterari degli anni Trenta, tutti improntati al maschile; perciò allora fu poco compresa.

Nel libro non ho voluto nasconderne l’inquietudine e mi sono tanto interrogata sulla sua morte volontaria a soli ventisei anni; ma non ho appiattito la sua vita sulla tragedia del suicidio, su cui pesarono oltretutto varie circostanze negative, alcune delle quali storiche. Antonia, infatti, soffriva moltissimo per le nefandezze fasciste, soprattutto per le sciagurate “leggi razziali”. Non a caso nella lettera di addio ai genitori scrisse: «Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite».

In realtà Antonia Pozzi, di per sé, era molto innamorata della vita e del mondo, come risulta da vari scritti. Per esempio, ragazzina di quattordici anni, nel diario parlava della «gioia» di sentirsi dentro «un’anima palpitante, ridente, nostalgica, appassionata». Elvira Gandini – sua amica-sorella e importante testimone per il mio libro – ne ricordava sia i momenti di tristezza sia quelli di spensieratezza e allegria. Se la sua vitalità si mutò spesso in dolore e sgomento, ciò dipese, oltre che dalla sua spiccata sensibilità, dall’intervento inibitore del mondo esterno: famiglia, uomini da lei amati e amici del suo ambiente intellettuale. Nonostante tutto, Pozzi era capace di una grande forza interiore nel restare fedele al proprio più autentico sentire e alla poesia, con la quale lo esprimeva e in cui trovava una vera libertà.

Apparteneva a una famiglia aristocratico-borghese; tuttavia alla frequentazione dei salotti preferiva il contatto con la natura, soprattutto con la montagna attraverso l’alpinismo, e il rapporto schietto e solidale con gli altri, compresi i contadini di Pasturo (suo paese d’elezione) e, a un certo punto, le famiglie operaie dei sobborghi di Milano Sud. A tutto questo si ispirava nella poesia e nella fotografia, praticate entrambe a partire dai diciassette anni.

La sua è la poesia per eccellenza della “relazione” con la totalità dell’esistente, quindi non solo con le persone ma anche con la natura, i luoghi, gli animali, e perfino le cose, le «cose sorelle» (Largo).

In parallelo, partendo dalla concretezza di esperienze personali, Pozzi riesce a dar voce con ampio respiro alle profondità del cuore umano, alla ricerca di un significato autentico della vita e della scrittura; a un certo punto anche alle tragedie della storia: quelle di sempre, cioè la guerra e la miseria dei ceti sociali più svantaggiati.

La sua produzione poetica era tanto ricca nei contenuti quanto colta e stilisticamente raffinata.

Perché allora la sua poesia non fu compresa nel suo contesto intellettuale e come avvenne la sua scoperta?

Pozzi frequentava il gruppo che all’Università Statale faceva riferimento al filosofo Antonio Banfi, estraneo alla retorica fascista e aperto alla più moderna cultura europea. In tale ambito era apprezzata per i suoi saggi, compatibili con le idee del Maestro, mentre era del tutto ignorata per la sua poesia.

In realtà la filosofia di Banfi, il cosiddetto “razionalismo critico”, bandiva drasticamente il sentire in genere e, per pregiudizi storici comuni anche agli ambienti più aperti, quello della donna in particolare. Perciò, con suo grande dolore, le veniva rimproverato ciò che oggi più apprezziamo in lei: la «troppa vita» che aveva nel «sangue» (Sgorgo), che in realtà era la premessa della sua totale apertura all’esistente, base della sua “poesia della relazione”.

In seguito Roberto Pozzi esercitò sugli scritti della figlia una tremenda e sistematica censura, per consegnarne un’immagine corrispondente a una vieta e convenzionale visione della donna.

Negli anni Quaranta Eugenio Montale ne valorizzò la poesia, ma con qualche riserva, perché non poteva leggerla nella sua integralità e autenticità. La vera riscoperta di Antonia Pozzi è iniziata perciò solo a partire dalla fine degli anni Ottanta, quando Onorina Dino, creatrice e responsabile dell’Archivio Pozzi di Pasturo, oggi trasferito presso il Centro Internazionale Insubrico dell’Università di Varese – ha reso disponibilI i manoscritti per pubblicazioni sempre più ampie.

Perché hai sentito il bisogno di riscrivere la tua biografia e quali sono le principali novità?

Prima di tutto ho voluto dialogare con la ricca bibliografia su di lei apparsa negli ultimi anni.

Fondamentale è stato inoltre il lungo lavoro con Onorina Dino per le edizioni integrali delle poesie, delle lettere e dei diari. Un lavoro condotto accuratamente ex novo, che mi ha chiarito l’entità della censura di Roberto Pozzi sulle carte della figlia e che mi ha anche consentito – grazie all’esame delle lettere indirizzate ad Antonia e di quelle giunte alla famiglia dopo la sua morte – di comprendere meglio la sua straordinaria capacità di relazione e la fisionomia di alcune persone per lei importanti: genitori, parenti, amiche e amici.

Inoltre nuove testimonianze mi hanno permesso di circostanziare ulteriormente momenti ed episodi della sua vita e lo stesso suicidio.

Ho poi aggiunto un capitolo sul percorso editoriale delle poesie, mettendo in evidenza come gli amici banfiani le abbiano sottovalutate anche dopo la sua morte.

Scrivendo le biografie di Elsa Morante e di Antonia Pozzi hai elaborato un tuo personale metodo di lavoro. Puoi parlarcene?

Ho voluto scrivere due vere e proprie biografie, non due biografie romanzate. A questo proposito concordo con quanto scrisse Virginia Woolf nell’articolo del 1939 L’arte della biografia: «La biografia è la più ristretta di tutte le arti […] essa impone delle condizioni, e queste condizioni sono che deve basarsi sui fatti […] fatti che possono essere confermati da altri oltre l’artista. Se costui inventa fatti […] come li inventa un artista e tenta di combinarli con fatti dell’altro tipo, essi si distruggono a vicenda.

Perciò sono sempre partita dalle testimonianze e dai documenti, incrementandoli da un’edizione all’altra, nella persuasione che una biografia onesta debba intendersi umilmente in fieri. Peraltro ho voluto scrivere due biografie letterarie, in cui l’attenzione principale è rivolta ai testi delle autrici.

Nel mio lavoro ho sempre cercato di muovermi tra empatia e distanza. L’empatia è fondamentale in una biografia, ma non può coincidere con una semplice proiezione personale, che porterebbe a una destoricizzazione delle vicende e a fraintendimenti. Comunque non mi sono negata una soggettività di scrittura: sono partita da forti emozioni personali di fronte ai romanzi di Morante e alle poesie di Pozzi; non ho rinunciato alla passione della ricerca e della narrazione; e ho utilizzato le categorie interpretative in modo ben diverso rispetto alle biografie tradizionali. Per tutto questo sono stata sempre sorretta dal confronto con il gruppo di Storia della Libreria delle donne di Milano. Mi sono stati molto utili anche libri come Scrivere la vita di una donna di Carolyn Heilbrun e Tu che mi guardi, tu che mi racconti di Adriana Cavarero, e l’idea di Gianna Pomata che la storia delle donne debba partire dalla ricostruzione delle loro “reti di relazioni”.

Quali sono gli aspetti più originali e interessanti della poesia di Pozzi rispetto al suo tempo e all’oggi?

Pozzi era lontana dalla poetica dell’«assenza», dalle rarefazioni e dalle oscurità degli ermetici, ma non si identificava nemmeno con la disciplinata poesia affidata ai soli oggetti dell’amico Vittorio Sereni.

La sua è la poesia del radicamento forte e vivo nel reale e, pur nell’ambito di una rigorosa ricerca formale, testimoniata dalle molte varianti presenti negli autografi, procede attraverso immagini sensoriali e materiche, quindi con un linguaggio metonimico di grande impatto emozionale. In questo modo Pozzi supera la frattura tra parola e corpo tipica degli autori del suo tempo, e riesce a esprimere un inedito e libero immaginario di donna, anticipando quella “poesia del corpo”, del corpo vivo e desiderante come del corpo negato, che sarà fondamentale in alcune grandi autrici del secondo Novecento, quali Sylvia Plath, Anne Sexton, Amelia Rosselli e Alda Merini.

Corporea e viva è anche la sua rappresentazione della natura, in particolare della montagna, soprattutto della Grigna di Pasturo, che appare come una mitica montagna madre, ma non perde mai una fisica concretezza e una forte capacità di accogliere e rigenerare.

Questa aderenza fenomenologica alla natura incontaminata e alla sostanza profonda del vivere costituisce oggi, in un pianeta sempre più sconvolto, un richiamo decisamente attuale: non a caso la poesia di Antonia Pozzi è oggetto di grande interesse da parte dell’ecocritica.

E interessante per il nostro difficile presente è anche il graffiante linguaggio espressionistico delle poesie in cui condanna le guerre del suo tempo e la desolazione delle periferie milanesi.


BIBLIOGRAFIA

Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, Áncora, Milano 2022, 350 pagine, 26 euro

Graziella Bernabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, Carocci Roma 2012, 340 pagine, 26 euro, 2016 euro 11,90, e-book 10,71 euro

Graziella Bernabò, Come leggere «La Storia» di Elsa Morante, Mursia, Milano 1991, 160 pagine

Graziella Bernabò – Onorina Dino – Silvia Morgana – Gabriele Scaramuzza (a cura di), …e di cantare non può più finire… Antonia Pozzi (1912-1938), Atti del Convegno, Milano, 24-26 novembre 2008, Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Filologia Moderna – Dipartimento di Filosofia, Viennepierre, Milano 2009, 433 pagine

Adriana Cavarero, Tu che mi leggi tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano 1997, ora Castelvecchi, Roma 2022, 192 pagine, 17,50 euro

Carolyn Heilbrum, Scrivere la vita di una donna, La Tartaruga, Milano 1990, 172 pagine

Gianna Pomata, “La storia delle donne: una questione di confine” in “Il mondo contemporaneo, vol. X (Gli strumenti della ricerca), tomo II/2 (Questioni di metodo)”, a cura di Nicola Tranfaglia, La Nuova Italia, Firenze 1983, pp. 1434-69

Antonia Pozzi, A cuore scalzo. Poesie scelte (1929-1938) Graziella Bernabò e Onorina Dino

(a cura di), Áncora, Milano 2019, 128 pagine, 12 euro, e-book 9,99 euro

Antonia Pozzi, Mi sento in un destino. Diari e altri scritti, Graziella Bernabò e Onorina Dino (a cura di), Áncora, Milano 2018, 157 pagine, 18 euro, e-book 9,99 euro

Antonia Pozzi, Parole. Tutte le poesie, Graziella Bernabò e Onorina Dino (a cura di), Áncora, Milano 2015 (ristampa 2017), 464 pagine, 27euro, e-book 19,99 euro

Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938, Áncora, Milano 2014, Graziella Bernabò e Onorina Dino (a cura di), 390 pagine, 26 euro, e-book 9,99 euro

Virginia Woolf, “L’arte della biografia”, in Voltando pagina. Saggi 1904-1941, a cura di Liliana Rampello, il Saggiatore, Milano 2011, pp. 389-395


Film

Sabrina Bonaiti e Marco Ongania, Il cielo in me – Vita irrimediabile di una poetessa-Antonia Pozzi (1912-1938), 67’, Italia 2014

Ferdinando Cito Filomarino, Antonia, 1h e36’, Italia 2015

Marina Spada, Poesia che mi guardi, 50’, Italia 2009


(Leggendaria n° 158/2023, pp. 23-24)

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