30 Gennaio 2010
Alias

Poetesse

Viola Papetti

Non si può dire che la veste tipografica di questa antologia Corporea Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, a cura di Loredana Magazzeni, Fiorenza Mormile, Brenda Porster, Anna Maria Robustelli, con l’indispensabile prefazione di Liliana Borghi (Le Voci della Luna Poesia, Segni/4, pp. 204, € 12,00) sia vanitosa, e ostenti la patinata eleganza che sempre ricopre il femminile. Anzi, sono quasi irritanti nella loro ambiguità le immagini derivate da nove opere di Francesca Romana Pinzari: grigie, nere, rossastre parti di un corpo femminile seminudo, non si capisce se abbracciato o torturato, intercalate fra poesie, in inglese e in italiano, di scrittrici famose negli ultimi quarant’anni, da Margaret Atwood a Alice Walker.
Pagine dai margini ristretti, suppongo per economia, ma che danno anche un’idea di forzata costrizione entro gabbie, piccole carceri individuali da cui la scrittura fuoriesce come un urlo educato alla forma, uno strappo che però non lacera il foglio. Non rinunciano a prendere parola, per quanto il prezzo sia alto e lo sforzo al limite, come nel caso di Judith Wright, australiana, poco conosciuta da noi, qui con un’unica poesia “Naked girl and mirror / Ragazza nuda e specchio”.
il corpo delle donne è capace anche di scherzare, ma in genere si sente in fuga, tende a svincolarsi dalla proprietaria. “Questa non sono io. Una volta ero senza corpo” lamenta Wright, e con lei molte di noi. Anche Margie Piercy in “My Mother’s Body / il corpo di mia madre” dice l’estrema angoscia di non riconoscersi se non nel corpo di un’altra, inevitabile, ostile. La figlia è derubata dalla madre, la madre dalla figlia. Che sia il doppio culturale del sé femminile, o un doppio biologico, installato al principio e alla fine della vita della figlia (e alla fine di quello della madre) la minaccia è distruttiva. “Questo corpo è il tuo corpo, ceneri ora / e rose, ma vivo nei miei occhi, nei miei seni, / la mia gola, i miei fianchi. Tu fai scorrere in me / un sapore di sale negli affluenti del mio sangue, / / mi canti nella mente come vino. Ciò che / non hai osato in vita l’hai osato nella mia”.
Questa piccola antologia fa pensare a un arco teso per uno sforzo quasi impossibile, anche se necessario. Il percorso del pensiero femminista non è né facile né facilmente accessibile, e direi però che la poesia meglio di altri generi letterari può rendere i picchi improvvisi, e i ristagni paludosi. O un’estetica nuova ispirata da corpi che non obbediscono ai canoni correnti, vedi “Homage to My Hips / Tributo ai miei fianchi” di Lucille Clifton: “questi fianchi sono fianchi larghi / hanno bisogno di spazio per / andarsene in giro…”, e di Tania Rochelle “My Ass Says Hello / il mio culo saluta”: “da li dove, improvvisamente riempie tutto lo specchio. Vuole portarmi a comprare taglie comode, mi / prega di smetterla con il jogging, ‘Basta nat-chine / e lattughine!”. Negli interstizi della psiche angosciata la parola nuda della poesia penetra come una fredda lama, e scosta il groviglio delle emozioni. Si può parlare di acne, anoressia, bulimia, mastectomia, menarca, gravidanza, parto… con impudicizia. Sotto il titolo “Desiderio” c’è una scelta volutamente limitata di poesia erotica femminile perché già in parte tradotta in una antologia del 2006, Gatti come angeli (a cura di L. Magazzeni e A. Sirotti). Superfluo osservare che è una spiritosa, amabile, commedia a due, sia la coppia etero o omo, sia che si tratti di sedurre un architetto troppo impegnato nel suo lavoro ( Laux), o incastrarsi opportunamente per dormire abbracciati (Stevenson), o mantenere simbolicamente luminoso (qui l’altra assente è rappresentata dal suo giro di perle) il desiderio algido di lei (Duffyl). Sharon Olds, americana, è la più intima con la parola e con il racconto dell’eros, quella che fa sentire il respiro e la febbre e il grido dell’orgasmo anche se è così sofisticata da imitare la sillabazione fratturata e ansimante dell’Hopkins degli ultimi sonetti. Olds è una mistica di passioni e invasioni non divine, ma corporee. “The Factors / I vasai” rinnova il linguaggio erotico e la narrazione dell’atto. “Non si può chiamarla / pazienza, quando ti inginocchi, ti giri, / ti alzi, tirandolo, spingendolo fuori / l’amore prodotto in ognuno / metà d’un dio, che chiama / l’altra metà, dentro l’altro, / vieni, vieni, sì o mio tesoro, mio / carissimo, vieni”. In “When it comes / Quando arriva” si chiede cosa pensino gli uomini quando arriva il sangue mestruale: “… noi guardiamo il sangue versarsi lento dal nostro sesso, / come se la terra sospirasse lievemente, / e la sentissimo e la vedessimo, / come se la vita gemesse un poco, di meraviglia, e noi fossimo lei”. L’intelligenza del corpo che sa e produce meglio dello spirito è esaltata anche da Stevenson, Feinstein, Clanchy… a guardare bene in tutte. E da lì infatti muove il nuovo linguaggio delle donne. Che però si appanna quando deve parlare dei non nati, il loro “barlume” di moscerini, piccoli fantasmi dolorosi che si aggirano di notte nei sogni della non madre. Invece il colloquio con il proprio corpo diventa più abituale con la malattia e la vecchiaia. La poesia accenna un sorriso nel sonetto alla vagina di Joan Larkin, e nel giocoso, felice progetto covato da Jenny Joseph, di trasformarsi in vecchia stracciona. Diventa dura, prosastica, quando affronta il tema dello stupro, sfugge si direbbe. La ‘cosa’ in questione non si lascia facilmente mettere in bella forma. “Certi giorni quando ci baciamo / chiudiamo gli occhi. / Certi giorni quando chiudiamo gli occhi / ci baciamo. / Certi giorni non leggiamo il giornale” (Mary Dorcey, “A Woman in Another War / Una donna in un’altra guerra”. Ho tralasciato di parlare di due autrici ben note in Italia, Adrienne Rich e Margaret Atwood, per dare spazio ad altre poco o niente conosciute. Forse Carol Ann Duffy, di luminoso, scintillante wit, meriterebbe un libro in italiano tutto suo. Ottimo il lavoro delle traduttrici quasi sempre anche curatrici (Magazzeni, Mormile, Porster, Robustelli), a cui vorrei aggiungere un particolare apprezzamento per Elisa Biagini che da tempo e in più occasioni si è fatta traghettatrice di questa poesie.

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