21 Gennaio 2005

“Prima della quiete” di Elena Gianini Belotti

Riccarda Novello

“A Porciano la giovane non aveva che nemici. … Più recisi e convinti s’erano mostrati il medico condotto e il farmacista, che avevano ricordato anche i suoi meriti durante l’epidemia di colera, la sua generosità, la sua dedizione: ma costoro erano uomini istruiti, illuminati e riservati, un’esigua, insignificante minoranza…” Per inesperienza delle cose del mondo e ingenua sprovvedutezza, la giovane insegnante Italia Donati, nata il primo gennaio del 1863 e scomparsa il primo giugno 1886, cadde vittima di un’infame spirale di malevolenza e invidie, per la sua semplice bellezza, la sua onestà e il desiderio di affermazione personale come maestra comunale. Erano tempi, ammonisce l’autrice Elena Gianini Belotti nelle prime pagine del suo toccante romanzo Prima della quiete, tempi bui, in cui la gente pativa le privazioni estreme, e “l’istruzione doveva apparire un lusso inconcepibile, una pretesa scandalosa, un’ambizione colpevole che suscitava soltanto biasimo.” E, aggiunge puntuale: “Sotto il biasimo covava l’invidia.”
Niente venne risparmiato a una figura dolce e operosa, “immagine di gentilezza e ritrosia, sensibilità e timidezza”: le infami tecniche della diffamazione, del vilipendio, la prepotenza e l’inaudita crudeltà di una comunità pronta a difendere il signorotto locale, costringeranno questa Italia dal nome così simbolico, che sperava di costruirsi un futuro con la fatica, la determinazione, il sacrificio, a una situazione insostenibile di isolamento.
La Gianini Belottiha ripercorso una vicenda drammaticamente reale del nostro Ottocento, e ha trovato la propria necessaria motivazione nella storia della madre, maestra elementare, a cui i familiari avevano riservato solo un’ assoluta incomprensione: “perché nessuno … capiva la fatica tremenda di insegnare in una classe di sessanta scolari, e le buttavano in faccia l’unica vera fatica secondo loro, il lavoro manuale.” Eppure, aggiunge la figlia, “Aveva studiato con accanimento, senza respiro…”
Ben più tragicamente si concluderà l’esistenza di Italia, l’innocente travolta dalle feroci maldicenze, e che il maestro di un tempo ricorderà come “bambina seria e intelligente”.
L’autrice conclude il suo libro con una nota appassionata, ricordando la povera gente massacrata dai nazisti a Fucecchio nel ’44, auspica che la memoria dei martiri del nazifascismo sia conservata e tramandata alle future generazioni, ma sottolinea anche come lo stesso diritto, in passato, non fosse riservato a figure come quelle di Italia, “a una martire del sessismo perché non si dimenticassero gli atroci delitti consumati contro le donne … E perché le donne, venendoli a conoscere, si ribellassero all’ingiustizia.”
Tra le eccezioni, annota, si distinsero Matilde Serao che scrisse per il “Corriere di Roma” un articolo sulla solitudine drammatica di quelle donne coraggiose che affrontavano la via dell’emancipazione, a dispetto di odiose calunnie e malgrado fossero sottoposte alle angherie dei poteri locali, e l’azione illuminata del “Corriere della Sera” che pubblicò numerosi interventi, dimostrando il suo interesse per questa figura femminile, una delle tante di questa Italia ancora arretrata, che pagò un prezzo troppo alto per il desiderio di libertà e autonomia, per la sua intelligenza e dignità.

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