11 Novembre 2022
Diotima Filosofe

Qualche riflessione sul Covid… ma non solo, nell’ultimo Quaderno di Via Dogana

di Maddalena Spagnolli


Lo sapevamo.

Lo sentivamo tutti…

troppo furioso il nostro fare…

ci dovevamo fermare e non ci riuscivamo…

(Mariangela Gualtieri, Nove marzo 2020)


Quando nel marzo del 2020 tutto si è fermato per il Covid, in tante, penso, abbiamo colto questa poesia di Mariangela Gualtieri come una sorta di disvelamento del nostro tempo, di verità offerta a chi sentiva che, con il virus, il caos del mondo si riversava con inquietudine anche sulla propria pelle e che era necessario fermarsi.

A distanza di due anni dall’inizio della pandemia, molte cose sono successe, abitudini e sentimenti sconvolti nella vita quotidiana e, quando pensavamo di poter ricominciare a riprenderci in mano l’esistenza, con il vaccino e le riaperture, fiduciosi che il peggio dell’epidemia l’avevamo lasciato alle spalle, che la “guerra all’epidemia” si stava vincendo, ci siamo ritrovate/i gettate/i, di punto in bianco, senza soluzione di continuità, in una feroce “guerra vera” alle porte di casa lasciandoci in balia di uno sgomento che, via via, col passar dei giorni e dell’intensificarsi degli effetti devastanti di quell’invasione in Ucraina, si sta trasformando dall’incredulità iniziale in distruzione, terrore, disperazione per chi la sta vivendo e in sgomento, angoscia, strazio per chi la guarda.

Di fronte a questa svolta repentina (ma, a ben guardare, non così imprevedibile) della storia, ad un misto di sentimenti, tra smarrimenti ed impotenza, resta il bisogno di orientarsi in questa “doppia cesura” (covid e guerra) che ci ha gettato in un “tempo nuovo” e inquietante. L’ultimo dei Quaderni di Via Dogana, pubblicato nell’ottobre del 2021 dalla Libreria delle donne di Milano con il titolo Non sembra ma è una grande occasione1, a cura di Vita Cosentino e Marina Santini, può essere un ottimo strumento per fermarsi a mettere in ordine i fili che intrecciano il nostro tempo.

Attraversare questi testi dopo l’irruzione della guerra nella realtà e nei nostri pensieri (dal 24 febbraio 2022), permette a maggior ragione di non soccombere di fronte alle situazioni strazianti a cui stiamo assistendo e di seguire l’esortazione di Virginia Woolf nel saggio Le tre ghinee – scritto nel 1938 in risposta a uno scrittore e amico che le aveva chiesto di finanziare la sua Associazione per fermare il fascismo e prevenire la guerra, ma senza entrare a farvi parte in quanto donna. «Dove ci conduce il corteo dei figli degli uomini colti?». «Pensare, pensare, dobbiamo. Noi non dobbiamo mai smettere di pensare dove ci conduce quel corteo».

Le curatrici del Quaderno di Via Dogana scrivono: «si trattava di pensare, pensare, pensare, pensare». Questa raccolta di testi infatti ci conduce, quasi con mano di tessitrice, in una sorta di fenomenologia non solo di ciò che è accaduto con il Covid e la pandemia, ma anche del nostro tempo. Il Quaderno raccoglie una quarantina di articoli che si sviluppano, intrecciandosi l’uno con l’altro in una sorta di dialogo, mostrando realtà, contraddizioni, esperienze. Nell’insieme propone anche analisi, apre possibilità di azione, testimonia saperi di donne del nostro tempo illuminanti per leggere quanto sta capitando anche con la guerra.

Come scrivono le curatrici, il Quaderno si compone di due parti:

«gli articoli della prima sezione sono più indirizzati a ripensare il paradigma economico, la concezione del lavoro, il rapporto con le nuove tecnologie e la posizione di noi esseri umani nei confronti della natura e degli altri esseri viventi; quelli della seconda sezione sono più centrati sulla politica che trasforma a partire da sé, sulla soggettività che appare comunemente nella sua costitutiva relazionalità, sulle pratiche ancorate alla verità soggettiva, alla differenza, all’autorità, sull’idea di libertà pratica e praticabile.»2

Un racconto ragionato del disvelamento operato dalla pandemia in cui si ritrovano riflessioni e idee già circolanti ma che raccolte in questo testo mostrano in maniera organica e con grande lucidità sfaccettature, intrecci, connessioni, contraddizioni, ma anche speranze, possibilità e trasformazioni del nostro tempo.

L’irruzione della guerra ha spostato repentinamente il nostro immaginario su una realtà inaspettata ma che a ben guardare rivela segni di continuità con la pandemia. Cercherò di tenere insieme pandemia e guerra.

Innanzitutto, l’invito a “pensare” pone l’attenzione sull’uso del linguaggio, tema centrale nella riflessione delle donne: attenzione che è un filo conduttore di tutta la raccolta, un uso fortemente radicato nell’esperienza e di cui metto però in risalto l’uso della “metafora” della guerra3 per parlare della pandemia, con tutto il portato di termini bellici, di logiche oppositive, di schieramenti rispetto alle decisioni, alla “verità” sul bene e sul male, finché la guerra, evocata a parole per raccontare la diffusione del virus, i suoi effetti sugli umani e il modo di “combatterlo”, si è materializzata davvero, alle nostre porte, con esiti così distruttivi che ancora fatichiamo a rendercene conto.

Confusione linguistica-caos della realtà: c’è la necessità di nuove rinominazioni, ancora di trovare le “parole per dirlo”. «C’è bisogno di parole… non parole che ci sono già. Le altre per non restare sassi»4 scriveva Luisa Muraro in un suo intervento all’Università nel maggio del ’99 in una riflessione sulla guerra nei Balcani.

“Per non restare sassi” nella pandemia e nella guerra, accomunate dalla paura ancestrale della morte, capitata/subita con la pandemia, intenzionalmente agita con la guerra, ma che chiede distinzioni ben precise appunto “per non restare sassi”; parole «per distinguere l’immaginario dal reale per diminuire i rischi di guerra senza rinunciare alla lotta, che Eraclito riteneva fosse la condizione di vita»5.

Se la questione della morte ci ha segnato in un modo drammatico negli anni della pandemia e si ripresenta con crudeltà inaccettabile con questa guerra, l’attenzione all’uso delle parole potrebbe riportarci ad uno spiraglio di vita: «Chiarire le nozioni, screditare le parole intrinsecamente vuote, definire l’uso della altre attraverso analisi precise, ecco un lavoro che, per quanto strano possa sembrare, potrebbe preservare delle vite umane»6. Di fronte alla morte e alla distruzione Weil ci invita a questo lavoro per trovare un orientamento di vita. Ecco allora che ancora prima delle «parole adorne di maiuscole… parole gonfie di sangue e lacrime»7 che Weil elenca insieme ad altre come sicurezza, capitalismo, democrazia, ordine, proprietà, la pandemia e la guerra ci riportano, a mio avviso, alla radice del nostro essere: prima ancora di evocare con grandi discorsi tutti i diritti sanciti dalle più moderne costituzioni, le cesure che stiamo vivendo in questi due anni (pandemia e guerra) chiedono drammaticamente di ritornare al fondamento del nostro essere, semplicemente alla vita.

La trama della vita è l’altro tema di cui è intessuto il Quaderno, tema che nei diversi interventi illumina, come in un caleidoscopio, i molti aspetti relativi alle condizioni della nostra esistenza. Una riflessione sulla vita d’altro canto si impone proprio da una parte con la pandemia, che ci ha costretti a fare i conti con la morte come “impossibilità del respiro”, dall’altra con la guerra nel suo essere sinonimo di morte come distruzione violenta.

La pandemia, ma anche la guerra con gli effetti domino con cui dobbiamo fare i conti, ci hanno costretto ad affrontare aspetti della realtà già ben presenti e posti da tempo in discussione nella riflessione e nel pensiero delle donne: rispetto alle condizioni del nostro vivere, molti interventi si soffermano sul tema del lavoro strettamente intrecciato con quello dell’economia e del lavoro di cura.

La riflessione critica sul mondo della produzione, sull’economia capitalistica di mercato, sulle condizioni del lavoro – lavoro da casa (pro e contro), lavoro per il mercato e lavoro domestico, lavori essenziali – mostrano la necessità di un superamento del dualismo tra economia di mercato e economia della casa, dualismo che si innesta su quello che Ina Praetorius, citata da Vita Cosentino, chiama «ordine bipartito del mondo»: «due sfere diseguali, una più alta, alla quale si associano virilità e libertà, e un’altra più bassa, che si presume naturale, quella delle donne e della dipendenza»8. Un dualismo segnato dalla «misoginia nella politica e nel lavoro»9.

Ciò che si è reso evidente durante la pandemia è stata la presenza e la capacità quasi acrobatica delle donne di far fronte alle situazioni più impreviste e difficili per salvare la vita; si è chiaramente palesata, in quella contingenza, la centralità dell’opera femminile in tutti i campi. Con la guerra, scoppiata quando pensavamo di poter riprendere la vita normale, quest’opera sembra essere ancora una volta, ancora in questo XXI secolo, annientata con l’imporsi nella realtà di logiche machiste, violente, distruttive (non ci sono più parole per dire ciò che già sappiamo da tempo!).

La significativa e vitale presenza femminile in situazioni di emergenza come quella della pandemia e la violenza machista e distruttiva che muove la guerra, mostrano la necessità di un cambio di paradigma per salvare la vita, chiedono un cambio di civiltà: tutto ciò ci ha messo di fronte alla necessità di cercare/sentire l’essenziale e ciò che non lo è.

«Superare quell’ordine simbolico e sociale bipartito», scrive Vita Cosentino, «è già vivere un cambio di civiltà basato su un’altra concezione dell’essere umano»10 che dà origine ad un’altra politica e, come scrive Antonietta Lelario, «la politica delle donne rimettendo in gioco l’esperienza femminile, l’ha riconnessa con la vita e ha intravisto un’altra civiltà e un’altra economia»11.

È più che necessario dunque un cambio di civiltà, ed è proprio questo il senso e la prospettiva del Quaderno: nutrito dal cambio dei valori che non può trascurare il senso di vulnerabilità che stiamo sperimentando, e soprattutto «non si può immaginare rinnovamento politico economico e dei rapporti sociali senza fare spazio a ciò che le donne hanno da dire»12. Come molte riflessioni stanno mostrando ormai anche fuori dal pensiero femminista, si tratta di porre al centro il tema della cura. «L’economia è cura» scrive Ina Praetorius, «manutenzione dell’esistente»13. Non è più possibile tener distinti l’economia dai bisogni, il mondo del lavoro dal mondo della casa, lavoro produttivo e lavoro di cura, lavoro e salute, così come non è possibile tener separate le varie condizioni di vita della realtà umana. Non è più possibile tener separata la riflessione sulla realtà umana dal rapporto con gli altri esseri viventi, dalla vita della terra (sappiamo quanto sia urgente il problema climaticoecologico!) per la stretta connessione di tutti i viventi su questo mondo. Connessioni che hanno ricadute sul piano economico, della salute, sulla nostra stessa possibilità di sopravvivenza (e in questo vediamo come le/i giovani siano i più sensibili, attivi, ma anche inascoltati).

Con la pandemia si è imposta inoltre con prepotenza anche quella “vita parallela” che è il mondo digitale, una realtà già fortemente pervasiva che in quel contesto ha di fatto dominato le nostre giornate, ha fatto irruzione in un modo esplosivo mostrando la subordinazione delle nostre vite a quell’invisibile «Grande Fratello» che sono gli algoritmi. Rispetto a questi sviluppi della tecnica si pongono interrogativi sulle conseguenze legate, nel bene e nel male, alla “vita” online, agli incontri su zoom, alla DAD, alla pervasività della sorveglianza… ecc. Su tutto questo Traudel Sattler registra una difficoltà che così sintetizza: «Mi manca la misura»14. Ecco, sì, la mancanza di misura, vero male del nostro tempo! Come scriveva sempre S. Weil: «In ogni ambito, sembriamo aver perduto le nozioni essenziali dell’intelligenza, le nozioni di limite, di misura, di grado, di proporzione, di relazione, di rapporto, di condizione, di legame necessario, di connessione tra mezzi e risultati»15.

Nei testi, oltre questi temi, vengono affrontati con grande meticolosità e profondità tante altre questioni cruciali che abbiamo vissuto in questi due anni, come l’esperienza nuova del lockdown e lo smarrimento e il senso di isolamento che ne è seguito (il blocco delle attività produttive, delle relazioni, degli incontri in presenza); ma vengono anche registrate le esperienze di solidarietà, di cooperazione, di generosità (sopratutto nella prima fase) e suggerite nuove prospettive di regolazione sociale, come il principio della gratitudine16.

Ciò che viene meno indagato nei testi (per il fatto che sono stati scritti “a caldo”) sono le conseguenze che, in particolare la pandemia, stanno lasciando alla lunga: più aggressività, grande disagio psichico e sociale, soprattutto nelle giovani generazioni; la forte reazione al vaccino e al green pass, maturata in diverse fasce sociali soprattutto con i provvedimenti restrittivi legati alla certificazione e sfociata nelle posizioni “vax e no-vax”, fenomeno liquidato troppo facilmente a mio avviso, ma che andrebbe indagato più a fondo anche per la grande sofferenza che, a sua volta, ha generato in tante persone. Si tratta di fenomeni diffusisi proprio in nome della libertà, tema che conclude (ma nello stesso apre ad altro) la raccolta di scritti del Quaderno con una riflessione di Ida Dominijanni: la libertà, grande vessillo sbandierato anche per imporre la superiorità della nostra civiltà sulle altre, viene indagata nel suo duplice aspetto di libertà individualistica neoliberale e libertà relazionale legata al senso dell’interdipendenza reciproca. La pandemia ha fatto emergere con evidenza, anche nelle sue contraddizioni, la consapevolezza dell’interdipendenza come essenza della vita facendoci toccare con mano la vulnerabilità e la fragilità umana e la necessaria dimensione relazionale del nostro essere. Ecco dunque che nella direzione di un necessario cambio di civiltà va ripensato soprattutto il senso della libertà:

«Nella politica della differenza la libertà non è mai stata solo libertà “di” e “da”, bensì soprattutto “per”: è stata ed è libertà politica, legata al desiderio di aprire la realtà a possibilità inedite, di costruire spazi e di inventare forme di vita a nostra misura, impreviste nell’ordine simbolico dato… È di questo credo che dovremmo urgentemente riprendere a parlare»17.

Se questo valeva in tempo di pandemia, vale a maggior ragione nel contesto attuale in cui siamo quasi annientati dalla realtà della guerra in Ucraina. I testi del Quaderno radicati nel «sapere dell’esperienza» si rivelano un contributo necessario per fare un po’ di distanza, per prendere un po’ di ossigeno e provare a tornare a respirare, a pensare e agire per trovare anche in questo nostro inquietante tempo «la possibilità di aprire il presente ad altre possibilità»18.


Note

1 Non sembra ma è una grande occasione, Quaderni di Via Dogana, Libreria delle donne, Milano, ottobre 2021.

2 Ivi, p. 6.

3 Ivi, p. 49. Ne parla Marco Deriu.

4 L. Muraro, Guerre che ho visto, Libreria delle donne, 1999, p. 5.

5 S. Weil, Sulla guerra, il Saggiatore, 2013, p. 74

6 Ivi, p. 57.

7 Ibidem.

8 Non sembra ma è una grande occasione, p. 33.

9 Ivi, p. 54-55.

10 Ivi, p. 33.

11 Ivi, p. 31.

12 Ivi, p. 54.

13 Ivi, p. 53. Da Immagina che il lavoro.

14 Ivi, p. 73.

15 S. Weil, Non ricominciamo la guerra di Troia, in Sulla guerra, cit. p. 58.

16 Non sembra ma è una grande occasione, p. 34.

17 Ivi, p. 179.

18 Ibidem.


(Per amore del mondo n. 18/2022, www.diotimafilosofe.it)

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