21 Novembre 2019
Osservatorio Costituzionale

Quanto ci tocca la prostituzione?

di Cristina Luzzi


Recensione del libro Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione di Daniela Danna, Silvia Niccolai, Grazia Villa, Luciana Tavernini, VandA.epublishing, 2019. Cristina Luzzi è dottoranda in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Università di Pisa.


Sommario. 1. Politiche sulla prostituzione: dal “sex work” al modello neoabolizionista. 2. L’ordinamento italiano e la prostituzione: tra “sabotaggio” della Legge Merlin e nuovi progetti di legge. 3. Quanto ma soprattutto dove ci tocca la prostituzione?


1. Politiche sulla prostituzione: dal “sex work” al modello neoabolizionista

In un crescente e affollato dibattito politico e giurisprudenziale sull’autodeterminazione femminile1 le autrici di Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione consegnano al panorama nazionale giuridico, e non solo, una visione unitaria del fenomeno della prostituzione. Il libro muove da una critica alle opinioni secondo le quali la vendita della propria intimità costituisce una libera scelta della donna, opinioni che sottovalutano o rimuovono il peso che condizionamenti, economici ma anche psicologici, esercitano su questa ed altre scelte della persona.

Sostenute in tal senso dalle numerosissime testimonianze, richiamate nel testo, di donne sopravvissute alla prostituzione, e richiamandosi anche a una linea di interpretazione della Costituzione che non ha mai inteso negare l’influenza dei contesti materiali e spirituali sulla qualità della libertà delle persone (ma ha anzi inteso nominarli per rimuoverli), le autrici si collocano apertamente lungo la linea abolizionista2.

Prima di analizzare la situazione italiana, accuratamente ricostruita da Silvia Niccolai e Grazia Villa, e chiusa dalla riflessione di più ampio respiro di Luciana Tavernini, il contributo di Daniela Danna, posto, non a caso, in apertura, ordina i diversi modelli legislativi che, fuori e dentro l’Europa, regolano ma soprattutto definiscono la prostituzione e la rappresentazione della stessa nella sfera pubblica.

L’Autrice passa in rassegna differenti sistemi, da quello europeo, tedesco e olandese spingendosi fino ai confini australiani e statunitensi, al fine di isolare i profili comuni alle politiche sulla prostituzione tra gli Stati che hanno adottato il cosiddetto modello “neoregolamentarista”3.

Nel tentativo di contrastare la tratta e la prostituzione minorile, favorendo solo la prostituzione “cosciente e responsabile”, si riscontra in questi casi una depenalizzazione delle diverse condotte riconducibili allo sfruttamento della prostituzione, accompagnata da una regolamentazione più o meno stringente su requisiti d’accesso e luogo di svolgimento dell’attività. In altre parole, si assiste a un processo di normalizzazione del “mercato del sesso”, in riferimento al quale il linguaggio svolge da subito un ruolo chiave4. Non si parla, infatti, di sesso ma di “servizio sessuale”; non di prostituzione, ma di “sex work”, nonostante il grado di ambiguità che circonda tale espressionee che spinge a ricondurvi le più diverse prestazioni sessuali (da quelle che prevedono il contatto sessuale più brutale a quelle che lo escludono, come le telefonate erotiche o la condivisone di video e immagini via webcam, accomunate a ben vedere soltanto dalla capacità di consentire presumibilmente il raggiungimento del piacere per colui che ne usufruisce).

In Germania, ad esempio, il procedimento neoregolamentarista avviatosi nel 2002, è culminato nel 2016 nella ProstSchG (Legge sulla protezione delle persone attive nella prostituzione, approvata dalla Grande coalizione SPD-CDU) la quale, come riporta Danna, «ha istituito in positivo un impianto regolamentarista, compresa – come è logico se si applica alla prostituzione il paradigma del lavoro – la registrazione delle prostitute e le regole per l’apertura di bordelli»5.

Coloro che vogliano prostituirsi devono sottoporsi a un colloquio semestrale con un ente pubblico, annuale dopo i ventuno anni d’età, all’esito del quale ricevono un documento che ne attesta la qualifica di prostituta e ne riporta foto e dati personali anche se sotto un alias. La consulenza include un momento informativo intorno ai rischi legati all’eventuale assunzione durante l’attività lavorativa di sostanze psicotrope6. Il che, di per sé, spinge l’Autrice a mettere in dubbio la riconducibilità del “sex work” alla categoria costituzionale del lavoro, riconoscendo peraltro la stessa legge tedesca che non si tratta di “un mestiere come un altro” ed escludendo, ad esempio, che le donne disoccupate possano essere contattate dai proprietari di bordelli con un’offerta lavorativa, in attuazione del workfare introdotto dal Piano Hartz IV.

Le nuove “case di tolleranza” devono, dal canto loro, sottostare a un sistema di regole puntuale quali, ad esempio, la predisposizione in ogni camera di un sistema d’allarme, a dimostrazione che il pericolo di una violenza sessuale perpetrata dal “consumatore” rimane costante.

La maggior parte delle prostitute tedesche considera la prostituzione «un episodio della loro vita da concludere al più presto senza lasciare traccia» e, per tale ragione – affermano i “datori di lavoro” – rifiuta la contrattualizzazione, preferendo affittare quotidianamente una stanza nei bordelli, sostenendo costi altissimi7 ma preservando almeno un minimo margine di decisionalità sulla selezione del cliente.

Il modello neoregolamentarista non sembra d’altra parte nemmeno aver arginato il problema della prostituzione di strada; nello Stato di Victoria ad esempio sono proliferati bordelli clandestini che offrono “servizi meno cari” o “senza restrizioni”. Sono, d’altra parte, i rischi del libero mercato, a cui gli imprenditori del sesso rispondono con sicurezza e competitività; in Germania e in Australia sorgono catene di bordelli, come il Paradise e il Pasha; il Daily Planet di Melbourne fino al 2016 era quotato in borsa.

Investimenti milionari che vedono sicuramente negli imprenditori del sesso il primo gruppo di beneficiari del modello neoregolamentarista, immediatamente seguiti dai clienti – la domanda che consente all’industria sessuale di prosperare e rigenerarsi – incoraggiati da nuove e convenienti formule come la “flat rate” o la “all inclusive”: «paghi, stai dentro un’ora e fai quello che vuoi, con chi vuoi, lasciando alle donne tutto l’onere di porre i limiti»8. All’ultimo posto tra i beneficiari le “sex workers” alle quali, in virtù di una nuova e risignificata autodeterminazione, viene accordata la possibilità di diventare imprenditrici di sé stesse cedendo la parte più intima della personalità per soddisfare non certo il proprio desiderio sessuale ma quello di qualcun altro.

Al contrario, nel modello neoabolizionista (definito anche, in senso critico, “proibizionista”9), adottato in Svezia, Norvegia, Canada, Irlanda del Nord, Francia, Irlanda e Israele, la diseguaglianza nel desiderio, il fatto cioè che il pagamento della prostituta assicuri un rapporto sessuale che gratuitamente non avverrebbe, viene stigmatizzato dall’ordinamento. Scrive Danna: «dal punto di vista sostanziale pagare chi ha bisogno di denaro perché rinunci alla sua sessualità e la metta al servizio della propria rappresenta un atto di costrizione e sfruttamento» rispetto al quale un legislatore neoabolizonista non rimane indifferente ma predispone un sistema sanzionatorio: non solo per gli imprenditori sessuali che dalla prostituzione traggono profitto, ma soprattutto per coloro che tale profitto lo alimentano in prima persona acquistando “prestazioni”10.


2. L’ordinamento italiano e la prostituzione: tra “sabotaggio”11 della Legge Merlin e nuovi progetti di legge

Rispetto al quadro sin qui delineato, il sistema italiano è transitato da un modello regolamentarista ad uno a vocazione abolizionista grazie all’introduzione della Legge Merlin.

L’intento della senatrice socialista umanitaria, di cui la legge porta il nome, è quello di porre fine in primis agli abusi e alle ingerenze, rafforzatisi in epoca fascista, perpetrati nelle case di tolleranza dalle autorità di polizia nei confronti delle prostitute. Non solo: come segnala Silvia Niccolai, Merlin aveva ben presente «il carattere antisociale del mercato prostitutivo» che consente agli imprenditori di trarre ricavi immensi grazie a una società che tratta alcune cittadine non come tali ma come merci12.

Mossa da una forte insofferenza verso l’ingiustizia economica e sorretta dai nuovi valori repubblicani di uguaglianza, libertà e pari dignità sociale, Merlin, sottraendo la sessualità delle donne allo sfruttamento, intende porre un limite invalicabile alle ingerenze della logica del profitto sulla persona umana. Se tale profilo, di portata universale, osserva Niccolai, viene a ben vedere neutralizzato anche dalla dottrina più attenta13che rintraccia nell’impianto normativo l’intento di protezione della sola “dignità delle donne”, la «prospettiva civica che innerva la legge» Merlin non ha trovato, dal canto suo, né nella giurisprudenza né nella dottrina, alcuna forma di comprensione.

Ad aver frainteso lo spirito della legge sarebbe stata, già nel 1964, la Corte costituzionale: escludendo che l’agevolazione e lo sfruttamento della prostituzione, così come contemplati dalla legge Merlin, fossero reati indeterminati, i giudici della Consulta ritennero che essi godessero di «una obiettività ben definita», anche perché «acquisiti da tempo nel codice penale e sottoposti a lunga elaborazione dottrinale. Essi hanno un preciso e inconfondibile significato, che non si presta a equivoche interpretazioni»14.

Non solo la Corte, ma anche – e soprattutto – la giurisprudenza e la dottrina hanno sostanzialmente equiparato i delitti previsti dalla legge Merlin a quelli del Codice Rocco e mutuato da quest’ultimo i differenti trattamenti sanzionatori previsti per le singole fattispecie di reato; ciò nonostante la Legge Merlin, all’art. 3, li punisca allo stesso modo e li consideri “fattispecie alternative”, «facce di un medesimo reato che consiste nel fare della prostituzione una risorsa produttiva e perciò colpisce ogni piccola e grande messa a profitto dell’attività della donna»15.

Ne è derivato un vero e proprio “sabotaggio” della Legge che, animata in primis – in nome del principio costituzionale di pari dignità sociale – dal bisogno di arginare gli abusi dell’autorità di pubblica sicurezza nei confronti della vita delle prostitute e, in generale, i trattamenti arbitrari e discriminatori a cui storicamente le donne prostituite erano sottoposte dai pubblici poteri, si è invece tramutata in uno strumento arbitrario di repressione. Svuotata del suo significato di lotta al mercato prostitutivo ha dato luogo, per mano della giurisprudenza, a soluzioni interpretative sconfortanti; come ricorda Niccolai, «la diga si è aperta sul piano dello sfruttamento, dimenticando che la legge incrimina solo chi fa profitti sulla prostituzione di una donna, sfruttatore è stato considerato il marito o il partner, il nipote al quale la prostituta paghi gli studi, chiunque tocchi il denaro che viene dai di lei “sporchi” commerci sessuali, anche se serve solo a far la spesa tutti i giorni»16.

Questa essendo la storia interpretativa della Legge Merlin, non stupisce che da numerosi e diversi versanti politici, come ricorda Grazia Villa nel volume in commento, provengano progetti di legalizzazione della prostituzione di ispirazione neoregolamentarista, tutti concordi, chi più chi meno, nella visione della legge come un meccanismo farraginoso, di difficile attuazione, ostacolo moralista alla realizzazione del “diritto fondamentale” delle donne alla piena libertà sessuale.

Individuata, infatti, nella tratta il solo nemico dello Stato, tutti i disegni di legge operano un distinguo tra prostituzione forzata e prostituzione libera17; quest’ultima viene definita ora «atto volontario della persona maggiorenne di utilizzare il proprio corpo a scopo di guadagno attraverso il compimento di atti sessuali con persone maggiorenni», ora «volontaria offerta a scopo di lucro di prestazioni sessuali che coinvolgono persone maggiorenni»18.

Escluso il suo esercizio in luoghi pubblici o aperti al pubblico, vengono indicate le zone nelle quali invece è concesso prostituirsi volontariamente. Si riscontra talvolta una maggiore attenzione a non riproporre il modello delle case chiuse, come nel progetto Turco, dove si precisa che non più di quattro persone possono disporre nella stessa dimora di ambienti personali e separati; in altri casi, come nel disegno di legge Casellati, si afferma con estrema disinvolturache «l’esercizio della prostituzione è consentito solo in luoghi chiusi, di seguito denominati “case di prostituzione”».

La necessità di conciliare l’esercizio della prostituzione con l’ordine pubblico e la sicurezza19 fa sì che, in un sistema amministrativo decentrato, il potere di controllo e governo delle attività sia affidato a Comuni, Regioni e organismi locali. I sindaci, ad esempio, si vedono attribuito il potere di individuare aree, ovviamente periferiche, in cui collocare le case di prostituzione, o quello di vietare l’esercizio di tale attività nel proprio territorio se la popolazione è inferiore ai 10.000 abitanti. Non mancano per loro anche incarichi insoliti quale il potere/dovere di raccogliere una dichiarazione sottoscritta dal soggetto che voglia esercitare l’attività liberamente e che ne attesti la mancanza di costrizione. In caso di esercizio non individuale della prostituzione, in appartamenti privati o luoghi autorizzati, si prevede l’istituzione di registri affidati ai Comuni in cui sono indicate le generalità delle persone che la praticano e i luoghi di esercizio: sono purtroppo immediate le assonanze tra questo tipo di previsioni e la schedatura delle prostitute precedente alla Legge Merlin.

Senza dimenticare i controlli sanitari, il necessario possesso per ciascuna prostituta di un libretto sanitario, l’obbligo periodico di sottoporsi ad un esame per escludere la presenza di malattie sessualmente trasmissibili; tutte procedure dall’evidente carattere discriminatorio, come ben noto a Lina Merlin. Da allora, purtroppo, non sembra passato molto tempo se si guarda alle ordinanze comunali degli ultimi anni in cui si ravvisa l’impegno nell’ostacolare una prostituzione che «favorisce il verificarsi di situazioni igienico ambientali pericolose per la salute pubblica»20. Ad uscirne indenni, infatti, oggi come ieri, gli “acquirenti” delle prestazioni sessuali, per i quali non si teorizza alcuna forma di controllo sanitario pur essendo evidentemente i responsabili di un eventuale contagio delle proprie partner o delle stesse prostitute, il tutto nella mortificazione totale del nobile tentativo della senatrice Merlin di liberare dalle ingerenze delle autorità i corpi delle donne in nome del principio di pari dignità sociale.


3. Quanto ma soprattutto dove ci tocca la prostituzione?

Le riflessioni contenute in Né sesso né lavoro, Politiche sulla prostituzione, in questa sede brevemente ripercorse, suscitano nel lettore molteplici interrogativi; una sensazione forse, in misura più o meno maggiore, condivisa dalle stesse Autrici, le quali pur schierandosi lungo la linea abolizionista, non giungono collettivamente a promuovere il modello nordico quale eventuale forma di regolazione del fenomeno. D’altra parte, è possibile ravvisare su tali temi diverse visioni anche all’interno del mondo femminista, che vede su posizioni fortemente divaricate il fronte abolizionista e quello pro sex work21, anche in rapporto ad alcune ambiguità della sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale22.

Non a caso Luciana Tavernini chiude il libro con una domanda: “quanto ci tocca la prostituzione?”; da una prospettiva costituzionale, tale quesito, a parere di chi scrive, potrebbe essere così riformulato: “Quanto, ma soprattutto dove, ci tocca la prostituzione?”.

Come affermato dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n.141/2019, la prostituzione riguarda “la sfera sessuale di chi la esercita”, e – si dovrebbe aggiungere – di chi la richiede, ma non per questo essa contribuisce automaticamente allo sviluppo della persona umana. In altri termini, la prostituzione non costituisce un’espressione alternativa dell’inviolabile libertà anche sessuale di ciascuna e ciascuno, a presidio della quale la Costituzione pone l’art. 2 Cost; né dunque, come affermato dal giudice rimettente, una «modalità auto-affermativa della persona umana, che percepisce il proprio sé in termini di erogazione della propria corporeità e genitalità (e del piacere ad esso connesso) verso o contro la dazione di diversa utilità»23.

L’interpretazione del giudice a quo, condivisibilmente respinta dalla Corte costituzionale, difetta di una consapevolezza che interessa tutto il discorso sulla prostituzione, e a cui le Autrici di Né sesso né lavoro danno voce: la disponibilità sessuale, la circostanza per cui alcune prostitute assicurano l’accesso al proprio corpo a un uomo dietro corrispettivo non ha niente a che fare con il piacere e la libertà femminile, né tantomeno con l’idea di una sessualità piena in cui uomini e donne agiscono nella totale empatia e reciprocità24. Il fatto cioè che alcune non vivano la prostituzione come uno stupro, ma che siano capaci, nella variabile infinita delle esperienze soggettive, di risignificarla decidendo anche di ricavarne un profitto, non vanifica la diseguaglianza del desiderio.

Nella lettura del fenomeno prostitutivo, a parere di chi scrive, trascurare questo dato significa, da un lato, riproporre l’ottocentesca idea «che un corpo di donna si può comprare, che esistono le donne per bene e quelle per male, che quelle per male esistevano per il piacere, e quelle per bene esistevano per fare e curare la famiglia»25; dall’altro, neutralizzare la premessa da cui femministe abolizioniste e pro sex work muovono congiuntamente: la convinzione che la scelta di prostituirsi, assolutamente slegata dalla ricerca del piacere sessuale, maturi invece in una condizione di necessità o di bisogno, più o meno urgente a seconda del mercato e dell’ambiente che si assume come riferimento.

Tanto nei racconti delle ex prostitute quanto in quelli di chi si definisce sex worker, il lavoro sessuale viene infatti indicato come «una delle poche strade percorribili»26 per accedere a un reddito da chi – come donna migrante, trans, omosessuale – già vive una situazione di estrema marginalità.

In tal senso è confortante che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 141/2019, abbia riconosciuto che «fattori di ordine economico», ma anche «situazioni di disagio sul piano affettivo o delle relazioni familiari e sociali», incidano sulla scelta di “vendere sesso”, limitando di fatto «la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali». Questo tipo di argomentazione, erroneamente ritenuta un’ingerenza indebita nel foro interno di colei che si prostituisce, rifiuta invece l’idea, tipica dell’individualismo liberale, che «la “persona” coincida sotto il profilo giuridico con il “soggetto di volontà” che crea rapporti giuridici per mezzo delle sue proprie volizioni in quanto signore assoluto della sfera d’azione a lui riconosciuta dall’ordinamento oggettivo»27, e riafferma la dimensione dialettica nella quale, nel panorama costituzionale, vivono autodeterminazione ed eguaglianza formale e sostanziale.

Da tale angolo visuale, gli interventi del legislatore repubblicano non sono meramente ordinatori del reale ma attivi e trasformativi, rivolti a garantire a tutti e tutte uguali condizioni di partenza e chances di autorealizzazione equivalenti.

A tale potenziale innovatore della legge pensava evidentemente Lina Merlin, quando, senza illudersi sull’estinzione del fenomeno prostitutivo, sceglieva contestualmente di non sanzionare né la prostituta né il “cliente”, ma solo coloro che dal mercato del sesso traggono un profitto; offrendo così ai cittadini, ma soprattutto alle cittadine, la stessa libertà dalla prostituzione, in forza di un risignificato principio di pari dignità sociale28.

Le richieste odierne di normalizzazione del “mercato del sesso” da parte del femminismo pro sex work e da una certa giurisprudenza e dottrina denotano, forse, un affievolimento del primo entusiasmo repubblicano, che emerge tanto nella difficoltà di declinare la dignità umana in termini diversi dalla semplice autodeterminazione, quanto nella crescente sfiducia nella capacità del legislatore di valorizzare il singolo nei luoghi in cui esprime la sua personalità, come la famiglia, la scuola, l’ambiente di vita, ma soprattutto, come ricorda Luciana Tavernini, il lavoro.

Che sia il “paradigma”29 del lavoro a vivere, infatti, una crisi profonda lo testimonia emblematicamente il dibattito intono al sex work, in cui il “libero e consapevole” esercizio della prostituzione – ancor più laddove si svolga in contesti di lusso, con clienti facoltosi e presumibilmente con un compenso più alto – neutralizza sia la realtà nella quale è maturata la scelta prostitutiva sia la brutalità della prestazione e i rischi per la salute che l’esercizio della prostituzione comporta per tutte le sex workers in qualsiasi contesto sociale30. Eppure, come scrive Catharine MacKinnon, «stabilire limiti al grado di intimità e di intrusione delle richieste che si possono fare legalmente a una persona è una delle finalità dei diritti umani e del diritto del lavoro»31.A questa visione sembra aderire la Corte costituzionale, riconoscendo che sanzionare lo sfruttamento della prostituzione, così come contemplato dalla legge Merlin, non lede ex art. 41 Cost., come sostenuto dal giudice a quo, «la libertà della donna di svolgere la propria attività in modo organizzato, ed eventualmente anche nella forma di una vera e propria impresa», ma traduce in termini di scelte legislative la dignità umana in senso oggettivo. Il che, più in generale, si spera rappresenti l’inizio da parte della Corte – e non solo – di una rilettura costituzionale del lavoro e della libertà di impresa. D’altronde, l’eventuale liberalizzazione della prostituzione (o l’occasionalità, la frammentarietà e i rischi che caratterizzano oggi intrinsecamente nuove esperienze lavorative32; o l’instabilità lavorativa aggravata dalla disciplina in materie di contratto a tutele crescenti33; e si potrebbe continuare) conduce a chiedersi se la Costituzione abbia, almeno in termini di limiti, ancora qualcosa da dire.

La prospettiva della Corte aiuterebbe invece a preservare non solo la dignità oggettiva, il cui contenuto appare spesso sfuggente e difficile da declinare, ma soprattutto la dignità sociale, quella più cara a Lina Merlin: l’unica «connotata in senso profondamente relazionale»34, messa a dura prova in primis – come il volume Né Sesso Né Lavoro certamente ci aiuta a ricordare – non da coloro che il loro corpo, per le ragioni più svariate, lo vendono, ma da chi, con un certo piacere sinistro, lo acquista.


(Osservatorio AIC Associazione Italiana dei Costituzionalisti, VI, 2019, pp. 256-267, https://www.osservatorioaic.it/it/osservatorio/ultimi-contributi-pubblicati/cristina-luzzi/recensione-del-libro-di-daniela-danna-silvia-niccolai-grazia-villa-luciana-tavernini-ne-sesso-ne-lavoro-politiche-sulla-prostituzione-vanda-epublishing-2019.)


1L’autodeterminazione femminile nella sfera sessuale è tornata recentemente all’attenzione della dottrina costituzionalistica a seguito della decisione della Corte cost., 6 marzo 2019, n. 141, in Foro it., 2019, I, 2262, con commento in questa rivista di C.P. GUARINI, La prostituzione «volontaria e consapevole»: né libertà sessuale né attività economica privata “protetta” dall’art. 41 Cost. A prima lettura di Corte costituzionale n. 141/2019.Ancora sulla medesima decisione A. DE LIA, Le figure di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione al banco di prova della Consulta. Un primo commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 141/2019, in forumcostituzionale.it; M. PICCHI, La legge Merlin dinanzi alla Corte costituzionale. Alcune riflessioni sulla sentenza n. 141/2019 della Corte costituzionale, id.

2Determinanti per il femminismo abolizionista la testimonianza di una ex prostituta, ora giornalista e attivista, per cui cfr. R. MORAN, Stupro a pagamento. La verità sulla prostituzione, Roma, 2017; l’indagine giornalistica intorno al fenomeno prostitutivo condotta su scala mondiale da J. BINDEL, Il mito Pretty Woman. Come la lobby globale dell’industria del sesso ci vende la prostituzione, Milano, 2018.

3 Sul punto D. DANNA, Libertà sessuale e politichesulla prostituzione, in D. DANNA, S. NICCOLAI, L. TAVERNINI, G. VILLA, Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, Milano, 2019,20ss., distingue il “neoregolamentarismo” dai regolamenti ottocenteschi sulla prostituzione: «In ogni forma di regolamentarismo gli sfruttatori o tenutari di bordello diventano coloro che “organizzano la prostituzione”, cioè “manager”. Ma nessuno oggi propugna il ritorno al modello ottocentesco di segregazione e di creazione di uno status giuridico inferiore per chi si prostituisce, è il neoregolamentarismo la politica in discussione in molti stati, giustificata e promossa dal concetto di “sex work”».

4Si tratta di un profilo ampiamente approfondito da J. BINDEL, Il mito Pretty Woman. Come la lobby globale dell’industria del sesso ci vende la prostituzione, cit., a giudizio della quale: «Il modo più efficace di ripulire qualunque abuso dei diritti umani per mascherarlo è dargli un altro nome. Come fa notare Janice Raymond nel suo libro Not a choice, Not a job un sostenitore della schiavitù delle Indie Occidentali suggeriva: “Invece di chiamarli SCHIAVI, utilizziamo per i negri il termine ASSISTENTI DI PIANTAGIONE, smetteremo di sentire le violente proteste contro il commercio degli schiavi da parte di profeti moralisti, poetesse dal cuore tenero e politici dalla vista corta”.», III, 7 ss., versione Ebook.

5D. DANNA, Libertà sessuale e politiche sulla prostituzione, cit., 33 ss.

6Cfr. D. DANNA, Libertà sessuale e politiche sulla prostituzione, cit., 56 ss. in generale a proposito dei rischi per la vita e la salute delle prostitute l’Autrice ricorda che il rischio per queste ultime di morire uccise è 18 volte superiore a quello delle altre donne; inoltre il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali statunitense, riconosce le prostitute più esposte al “disturbo da stress post-traumatico”, analogo a quello di cui soffrono veterani di guerra e vittime di tortura e di stupro.

7 Nel Pasha di Colonia, ad esempio, il prezzo che una prostituta sostiene al giorno per l’affitto di una stanza è di 175 euro. Questo significa che i suoi guadagni iniziano dopo il quarto “cliente”. Sul punto D. DANNA, Libertà sessuale e politiche sulla prostituzione, cit., 50 ss.

8Così D. DANNA, Libertà sessuale e politiche sulla prostituzione, cit., 46.

9 In tal senso, a titolo esemplificativo, G. SERUGHETTI, Prostituzione e gestazione per altri: problemi teorici e pratici del neo-proibizionismo, in Studi sulla questione criminale, 2016, II, 42 ss. La stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 141/2019 preferisce optare per tale espressione, ciò a giudizio di A. DI MARTINO, E’ sfruttamento economico e non autodeterminazione sessuale: la Consulta salva la legge Merlin, in www.diritticomparati.it, 20 giugno 2019, fa sorgere dubbi intorno alla neutralità assunta dalla Corte costituzionale nell’elencare i diversi modelli esistenti dato che «parlare di proibizionismo o di neo-proibizionismo (anziché di neo-abolizionismo) implica che si è già assunta una certa posizione valutativa».

10 Sul punto cfr. D. DANNA, Libertà sessuale e politiche sulla prostituzione, cit., 51 ss. L’Autrice pur guardando con favore al modello “neoabolizionista” o nordico, non ne nasconde i limiti. In Norvegia, ad esempio, pur essendo il numero delle prostitute che agiscono nel Paese ai minimi storici, la criminalizzazione del cliente sembra aver favorito una maggiore stigmatizzazione di chi si prostituisce, favorendo ingerenze da parte delle autorità di pubblica sicurezza e dei servizi sociali nella vita delle prostitute soprattutto quando madri.

11 L’emblematica espressione si deve a T. PADOVANI, Disciplina penale della prostituzione, Pisa, 2015, 128.

12Sul punto S. NICCOLAI, La legge Merlin e i suoi interpreti, in Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, cit., 108, prende le distanze da chi in dottrina non ha riconosciuto tale intento della legge Merlin, in particolare afferma l’Autrice: «Mi pare perciò ben lontano dal vero che “in Italial’aspetto economicamente rilevante della prostituzione èrimasto costantemente in secondo piano, ben subordinatoall’aspetto morale” (Luciani, 2002, p. 400), argomento cheha il rischio di raffigurare il nostro come un sistema arretrato,ancora non sufficientemente aperto al “progresso” veicolatodal libero dispiegarsi delle libertà economiche».

13 Il riferimento dell’Autrice è a T. PADOVANI, Disciplina penale della prostituzione, cit., 369.

14 Corte cost. 16 giugno 1964, n. 44 in Giur. cost.,1964, 532 ss.

15S. NICCOLAI, La legge Merlin e i suoi interpreti, cit., 83 ss.

16 S. NICCOLAI, La legge Merlin e i suoi interpreti, cit., 91.

17 Fanno eccezione i soli progetti Bini, Pugliesi, Giovanardi richiamati da G. VILLA, Progetti di legge e proposte politiche sulla prostituzione in Italia, in Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, cit., 164.

18Sulle differenti definizioni del fenomeno fornite dai disegni di legge cfr. G. VILLA, Progetti di legge e proposte politiche sulla prostituzione in Italia, cit., 143 ss.

19 Cfr. sul punto M. MAZZARELLA, E. STRADELLA, Le ordinanze sindacali per la sicurezza urbana in materia di prostituzione, in Le Regioni, 2010, I/II, 237 ss.; T. PITCH, Contro il decoro, Bari, 2013, 54 ss.; A. SIMONE, I corpi del reato. Sessualità e sicurezza nella società del rischio, Milano, 2010, 70 ss.

20A titolo esemplificativo, Ordinanza n. 88 del 17 dicembre 2008 del Sindaco di Pisa.

21 Nel panorama nazionalecfr. T. PITCH, Editoriale; R. DAMENO, Il diritto penale e il corpo delle donne; G. SERUGHETTI, Prostituzione e gestazione per altri: problemi teorici e pratici del neo-proibizionismo, in Studi sulla questione criminale, cit., 7 ss.

22 Cfr. A. DI MARTINO, È sfruttamento economico e non autodeterminazione sessuale: la Consulta salva la legge Merlin, cit., a giudizio della quale nella sentenza n. 141/2019 «si intravedono – oltre che sensibilità diverse all’interno del collegio – anche gli appigli per un eventuale cambiamento di rotta» laddove il legislatore decida di optare in un futuro per un regime neoregolamentarista.

23 Corte d’Appello di Bari, sez. pen. III, ord. del 6 febbraio 2018.

24 Si ripresenta la necessità di distinguere la liberazione sessuale delle donne dalla libertà sessuale, su cui cfr. L. TAVERNINI, Quanto ci toccala prostituzione?, in Né sesso né lavoro. Politiche sulla prostituzione, cit., 185 ss.

25 Le parole di Alessandra Bocchetti sono riprese da D. DANNA, Libertà sessuale e politichesulla prostituzione cit., 25 ss.

26 Così si legge nel Vademecum per sex worker e solidali in https://ombrerosse.noblogs.org/.

27 Così A. BALDASSARRE, Diritti sociali, in Enciclopedia giuridicaTreccani, Roma, 1989, 1 ss.

28 Sul differente ruolo assunto dal principio di pari dignità sociale nel passaggio dallo stato liberale a quello sociale cfr. nuovamente A. BALDASSARRE, Diritti sociali, cit., 6 ss.

29Sul punto cfr. P. COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell’Italia repubblicana, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, materiale dell’incontro di studio “Diritti e lavoro nell’Italia repubblicana”, Ferrara, 24 ottobre 2008.

30A titolo esemplificativo, a proposito della capacità del contesto di neutralizzare i rischi insiti in sé nell’attività prostitutiva cfr. A.DE LIA, Le figure di reclutamento e favoreggiamento della prostituzione al banco di prova della Consulta. Un primo commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 141/2019, cit., a giudizio del quale «non esiste in effetti una figura prototipica di prostituta, ed il sex worker non è soltanto la Pretty Woman che si aggira in pelliccia negli eleganti salotti dei grandi hotel, ma neppure esclusivamente la lucciola sfruttata che si scalda dinnanzi ad un falò di notte, al margine della strada statale, come per certi versi ha affermato la Corte costituzionale». In senso contrario per una demistificazione della prostituzione “di lusso” cfr. J. BINDEL, Il mito Pretty Woman. Come la lobby globale dell’industria del sesso ci vende la prostituzione, cit., III, 11 ss., versione Ebook.

31 C. A., MACKINNON, Trafficking, prostitution, and inequality, in Harvard civilrights-civilliberties law review, 2011, 294 ss.

32Cfr. I. MASSA PINTO, La libertà dei fattorini di non lavorare e il silenzio sulla Costituzione: note in margine alla sentenza Foodora (Tribunale di Torino, sent. n. 778 del 2018), in Osservatorio Aic, 2018, II; C. SALAZAR, Diritti e algoritmi: la gig economy e il “caso Foodora”, tra giudici e legislatore, in Consulta online, Liber amicorum per Pasquale Costanzo, 26 giugno 2019.

33Su cui da ultimo Corte cost. 8 novembre 2018, n. 194, con commento di C. PANZERA, Indennità di licenziamento e garanzie (costituzionali ed europee) del lavoratore, in Diritticomparati.it,2018.

34 Così G. BRUNELLI, Imparare dal passato: l’ord. N. 207/2018 (nel caso cappato) e la sent. N. 27/1975 (in tema di aborto) a confronto, in forumcostituzionale.it, giugno 2019.

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