19 Giugno 2020

“Quel che di buono” di Francesca Avanzini

di Laura Minguzzi


Un libro sulla gratitudine, un racconto sulla riconoscenza alla madre e al padre, una restituzione simbolica di un debito: la nascita in primis, la crescita e gli insegnamenti. Belli e brutti, il negativo dopo il positivo. Uno spostamento interiore dell’autrice: non colpevolizzare la madre, non idealizzarla, non è un’icona, non va mitizzata la figura materna ma riscattata, nel bene e nel male. Questo è l’essenziale del racconto. Un passo obbligato per accedere all’ordine simbolico della madre e all’accettazione dell’autorità femminile nel mondo reale e farla finita con le recriminazioni e la richiesta illimitata di riconoscimenti, smisurata, un pozzo senza fondo… Trovo in quest’approccio un taglio che me lo avvicina alla pratica della storia vivente. Scegliendo la forma del memoir l’autrice riattraversa i suoi ricordi, le sue emozioni e con tocco leggero e accattivante anche il nodo della relazione con la madre reale. Riscattandola ricomincia a vederne i lati positivi, la sua concretezza materica, la pone nel giusto luogo, quello della riconoscenza, della gratitudine malgré tout.

Il tempo è l’adolescenza negli anni sessanta del secolo scorso. Due sorelle, una famiglia borghese ma con radici contadine. «Tra le cose buone, mia madre mi ha insegnato a cucinare. La preparazione del tortino di finocchi – avrò avuto dodici anni – era interamente a mio carico. […] Cucinando imparavo la misura che serve per tutto il resto. […] È tutta questione di togliere e mettere come quando si scrive e si dipinge.» Fin dalla prima pagina ho sentito delle forti assonanze con una scrittrice che io ho amato tantissimo e fatto conoscere alle mie allieve quando insegnavo francese e parlo di Colette. In particolare un romanzo, Le Blé en herbe (Il grano in erba). Al centro un’adolescente, la natura di una femminilità in erba, un’età acerba ma colma di energia e di promesse. Lo stile di scrittura me la fa ricordare: lunghi elenchi di nomi di fiori e di alberi, frutto degli insegnamenti materni, amore per la natura, per i dettagli della preparazione del cibo. L’incipit è una ricetta della madre e un abbozzo del desiderio di autonomia della figlia. Il padre le ha «insegnato a condire l’insalata prima il sale, poi l’aceto che lo scioglie e infine con l’olio, non viceversa»…


Francesca Avanzini, Quel che di buono, ed. Consulta Librieprogetti, 2020


(www.libreriadelledonne.it, 19 giugno 2020)

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