6 Giugno 2020
Il Quotidiano del Sud

Racconti di donne nel campo di Ravensbrück

di Franca Fortunato


Lupini violetti dietro il filo spinato – Artiste e poete a Ravensbrück è l’ultimo libro della critica d’arte Katia Ricci, la cui pubblicazione ha coinciso con questo tempo di pandemia. Il titolo riprende una frase di una delle lettere che Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, scrisse per esprimere la bellezza che lei riusciva a cogliere anche in un luogo di grandi sofferenze come il campo di smistamento di Westerbork. Capacità di cogliere la bellezza in situazioni estreme è quello che mostra di avere anche l’autrice nell’avvicinarsi e nel narrare le storie delle donne rinchiuse nel campo di concentramento per sole donne di Ravensbrück. Come hanno fatto a sopravvivere agli orrori del campo? Quali strategie si sono inventate? Quali rapporti, quali relazioni le hanno sostenute? Che cosa spinge l’autrice ad interessarsi di loro? Sono domande di fondo che accompagnano chi scrive e chi legge e che fanno del libro, come i precedenti dell’autrice, un testo di ricerca e di interrogazione di sé, della propria esperienza di donna in relazione all’altra, alle altre, pur riconoscendone l’incommensurabilità esperienziale. «Scrivere sulle donne del campo di concentramento di Ravensbrück ha significato per me non solo e non tanto fare un viaggio nell’orrore e provare sentimenti di pietà, di dolore e di sdegno – condivisi da chi legge – ma soprattutto è stato un viaggio dentro di me. Infatti la domanda più corrente che mi ponevo era perché mi interessasse tanto. Mi sono riaffiorate immagini della mia infanzia e giovinezza, che avevo rimosso, ma che mi sembrava non avessero la minima attinenza con la storia di cui mi occupavo. Poi ho capito che in qualche modo io e le donne di Ravensbrück avevamo qualcosa in comune: l’essere nate e essere state sottoposte, in una misura incomparabilmente diversa, alla stessa cultura patriarcale, che per loro si è tramutata in un’estrema violenza», violenza che riconduce l’autrice a sua madre, alla violenza del padre a cui lei bambina ha assistito. Da qui il desiderio intimo e profondo che la spinge verso le donne del campo per riscattare sé stessa, la madre, loro e tutte le donne che subiscono la violenza maschile, da un sistema patriarcale che le vuole vittime. Nell’orrore del campo, come nella vita della madre, pur nell’incomparabile diversità, lei cerca e trova un’immagine altra di donna/e, trova grandezza, forza, coraggio, creatività, umanità, senso di sé, guadagnate attraverso il primato delle relazioni, la solidarietà, l’amicizia tra donne, che nel campo “davano dignità”.

Un racconto diverso da quello che comunemente accompagna la narrazione della deportazione e dello sterminio che, se pur accomuna nella sofferenza donne e uomini, cancella la differenza femminile che l’autrice, invece, indaga e narra attraverso le testimonianze delle sopravvissute, delle poesie e dei disegni che hanno prodotto. Tra il 1939 e il ’45 scrissero ben 1200 poesie di cui alcune riportate nel libro. Scrivevano inventandosi vari stratagemmi e aiutandosi l’una con l’altra. Scrivevano per piacere, per lasciare un ricordo di sé, per testimoniare un avvenimento; scrivevano “perché scrivere era salvarsi” come il raccontarsi. Si raccontavano e si scambiavano le ricette di cucina e quasi le recitavano ad alta voce a turno, traendone un grande conforto. La sera, distese nei loro giacigli, o durante il lavoro nelle cucine a pelare patate, si raccontavano reciprocamente storie, trame di libri o opere teatrali, come appare nei disegni realizzati dalle artiste del campo. Frammenti di vita quotidiana, veri documenti e testimonianze di quanto succedeva nel campo, sono quei disegni realizzati con carte e mozziconi di matite sottratte dalle deportate che lavoravano negli uffici. Il libro ne contiene 42 che l’autrice legge e interpreta. La maggior parte dei disegni furono distrutti dalle SS che non volevano testimoni. Ma per fortuna una parte è rimasta e alcune sopravvissute, dopo la liberazione, sono riuscite a rifare molti di quelli andati perduti.

Un libro originale, reso unico dallo sguardo che l’attraversa, che vede e fa vedere, nonostante l’orrore che non viene taciuto, la bellezza che teneva insieme la vita di quelle donne, la vitalità, la speranza, l’amore, l’umanità che fecero di loro delle sopravvissute non solo e non tanto nei corpi quanto nelle anime. Un libro da leggere e fare conoscere, in particolare alle nuove generazioni di donne e uomini.


Katia Ricci, Lupini violetti dietro il filo spinato – Artiste e poete a Ravensbrück, Luciana Tufani editrice, pagg. 105, €14,00.


(Il Quotidiano del Sud, 6 giugno 2020)

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