di Adele Longo
Nell’introduzione del libro Controra edito da Les Flâneurs di Bari, l’autrice Katia Ricci ne racconta la genesi: l’aver salvato dallo sgombero della casa dei suoi genitori fotografie, lettere che raccontano la storia della sua famiglia, pensando di leggerle al momento opportuno, quando ne avesse avuto tempo e desiderio.
Parecchi anni dopo Katia prende in mano questo materiale: ha tempo a disposizione per il lockdown e soprattutto negli ultimi anni ha fatto parte della comunità di “storia vivente” di Foggia, pratica avviata da Marirì Martinengo con la comunità di Milano.
Una pratica che vuole portare alla luce un nodo irrisolto dentro di sé, raccontando la propria storia a partire dal corpo, dal proprio vissuto, un racconto che certamente necessita di uno scavo solitario, ma che soprattutto emerge e si forma nelle relazioni all’interno di una comunità di ricerca, un lavorio lento, continuo, basato sull’ascolto e sulla fiducia. Ed è così che una storia personale diventa condivisa e nello scambio si crea una parola autorevole che produce cambiamenti personali e simbolici.
Nel libro la storia personale si intreccia con oltre mezzo secolo di storia politica e sociale italiana e del sud in particolare. La storia di suo padre Pasqualino, unico figlio maschio sopravvissuto di una famiglia di proprietari terrieri di Rignano. L’incontro con la bellissima Anna conosciuta a Potenza, dove era ufficiale dell’esercito, e di cui si era subito innamorato a tal punto da sposarla nonostante l’ostilità dei genitori.
La nascita dei quattro figli, i ricordi indelebili di Katia dell’infanzia trascorsa in campagna, il rumore delle spighe di grano battute dal vento, le scorribande nei terreni rocciosi, gli animali, i racconti di Giuseppina.
Sono gli anni della guerra, la liberazione, il dopoguerra, le tradizioni contadine che andavano man mano cambiando, le riforme come quella agraria, la politica della DC, la Cassa per il Mezzogiorno, riforme mai risolutive per il sud disastrato, anzi, una politica sbagliata che faceva infuriare Pasqualino che non lesina passione nell’impegnarsi politicamente per il bene del suo paese.
Racconto, narrazione per indagare e affrontare un nodo che Katia si porta dentro da sempre: il conflitto con suo padre, mai risolto neanche con la sua morte.
Da dove nasce il bisogno di riconciliazione, il desiderio di andare a fondo nei luoghi più segreti dell’essere, le viscere come le chiama María Zambrano, di superare la loro resistenza per sbrogliare, mettere in parola, dare senso ad un groviglio di emozioni?
Nell’introduzione Katia scrive: «È in nome di mia madre che cercherò di riconciliarmi con mio padre e sciogliere la ruggine che sento in me perché, come tanti uomini, pensava che fosse suo diritto imporre il suo punto di vista, magari con uno schiaffo, alla donna che pure amava appassionatamente e forse malamente».
C’è un cambio di prospettiva, uno spostamento di sguardo che segna un nuovo inizio, e che avviene grazie all’incontro e alla relazione con le altre donne della comunità.
Non è la rabbia, la ribellione verso il padre, con tutto il suo carico di valori patriarcali, a guidarla in questo cammino, ma si affida all’amore della madre per suo padre, un amore che acquista valore e dignità. È la fiducia nella madre, per il suo insegnamento, modo di fare, il suo amore tenace per Pasqualino che se da giovane suscitava in Katia rabbia e ribellione, ora rappresenta la spinta ad andare oltre, a capire un uomo difficile, perennemente scontento, a tratti violento ma anche capace, come testimoniano le lettere, di passione, di tenerezza di un amore profondo irrinunciabile.
Ne viene fuori il ritratto di un uomo dibattuto tra il senso di responsabilità verso la sua famiglia di origine e il risentimento verso di essa perché gli impediva di essere sé stesso nel lavoro e negli affetti, che gli impediva di fare prevalere quell’anima leggera, gentile e affettuosa che era in lui.
Inoltre, mi pare molto significativo e rivelatore il sogno epifanico di cui Katia scrive nell’introduzione. Sogna di stare dietro una porta o una gabbia un po’ socchiusa che però ha paura di aprire perché teme si nasconda un pericolo. Ma subito dopo si sorprende a pensare che dietro quella porta ci poteva essere «al contrario qualcosa di interessante e di bello che avrei voluto vedere e fare uscire».
È un’epifania, un’illuminazione: l’ostacolo, la porta, la barriera può essere spostata, perché dietro ci può essere qualcosa di interessante, di bello, che non fa paura ma al contrario è una forza rigeneratrice che libera bellezza, il senso profondo della vita.
(donne e altri, 15 aprile 2022)