13 Agosto 2016
Il Quotidiano del Sud

«Sai chi è Lina Scalzo?». Recensione

Sai chi è Lina Scalzo? è il titolo del libro-intervista, scritto dalla giornalista Franca Fortunato, la cui protagonista è una donna, Lina Scalzo, che col femminismo ha imparato a pensare e a dire alcune rivelatrici parole sul suo lavoro, confrontandosi con un’altra donna.

In copertina Lina è sola ma il suo sguardo è rivolto a chi è fuori: a noi che leggiamo e prima ancora a chi le ha permesso di mettere in parole precise l’esperienza del lavoro di cura che dal 1973 ha svolto per 42 anni. Infatti senza l’amicizia politica che dal 1978 la lega a Franca Fortunato le sue preziose riflessioni sul senso e sui cambiamenti, avvenuti negli ultimi quarant’anni, in questo tipo di lavoro non sarebbero diventate pubbliche e non avrebbero avuto la profondità e concretezza con cui nel libro-intervista ci vengono presentate. Lo sappiamo dall’introduzione in cui Franca delinea le tappe della loro relazione che attraversa momenti di presa di coscienza e di impegno politico: dal sindacato e dal partito alla rivoluzione che per entrambe ha costituito il femminismo. Ma il cuore del libro è l’intervista intitolata «Il racconto di Lina Scalzo»: chi scrive mette al centro l’esperienza viva dell’altra. Le domande di Franca sono un incitamento ad andare avanti, a rendere questa storia avvincente appunto come un racconto, profonda come una meditazione. Le domande scandiscono la narrazione, rendendola adatta alla modalità innovativa scelta per la pubblicazione. Si tratta infatti di un e-book in duplice formato e-pub e pdf, che inaugura la collana di Quaderni elettronici pubblicati dalla Libreria delle donne di Milano, stampabili e scaricabili gratuitamente perché, come è scritto nel sito www.libreriadelledonne.it, «non ci siano limiti di soldi e tecnologia alla fama delle grandi donne».

Lina va oltre la sua personale esperienza, ripercorrendo le trasformazioni che dal 1943 ad oggi hanno interessato le istituzioni legate all’assistenza ad anziane e a donne affette da patologie psichiche, attraverso l’analisi della situazione specifica dell’Opera Pia In Charitate Christi, divenuta poi Fondazione Betania di Catanzaro. Attraverso il suo racconto incontriamo alcune donne che, come altre, hanno messo in gioco le proprie competenze e inventato pratiche, riconosciute da storiche e storici all’origine del welfare state. Donne come Maria Innocenza Macrina, che negli della guerra, insieme a Caterina Catambrone, girava a piedi i paesi per procurare il cibo per le ricoverate e che aveva fondato diverse case di assistenza, di cui nessuna porta il suo nome: un’ingiustizia da riparare, tenendone viva la memoria. Lina usa la storia per andare al cuore dei problemi che toccano la cura, mostrando alcune pratiche che mettono in discussione le modalità neutralizzanti e aziendalistiche che sembrano rendere i servizi più efficienti ma stanno pericolosamente disumanizzando “gli utenti”. Attraverso episodi emozionanti, come il suo primo incontro a 18 anni con la morte, ci mostra un sapere femminile capace di trattare da un lato lo shock e dall’altro il rispetto della soggettività dell’altra, persino quando non è più viva. Racconta dell’ambiente familiare, in cui ricoverate e assistenti lavoravano insieme e avevano il senso di poter contribuire, ciascuna a modo suo, al benessere di tutte. Tanti sono i nodi affrontati ma non troviamo protocolli, leggiamo racconti, quasi apologhi, da cui emergono pensieri e comportamenti che ci aiutano a vedere scene di ordinaria, e forse inconsapevole, disumanizzazione nell’efficienza e neutralità, oggi predicati. E dall’ascolto di alcune ricoverate, come Caterina Rippa, Lina impara i gesti di rispetto per l’altra nella pienezza della sua umanità: entrare nella stanza salutando, chiudere la porta, smettere di parlare tra assistenti mentre si lava e si veste una donna, alzare il lenzuolo quello che basta rispettando il pudore del corpo, lasciare sui comodini gli oggetti personali, tanto per fare degli esempi. Inoltre ci confrontiamo con le riflessioni sui cambiamenti, conseguenza della legge sulla parità del 1977. In modo pacato il libro mostra le contraddizioni dei reparti misti: dagli operatori che faticano a imparare dalla competenza femminile maturata negli anni; alla perdita, nel rapporto con gli uomini, di intimità e libertà delle donne ricoverate; alla loro difesa dalla prepotenza e aggressività di alcuni. Problemi da tener presente per dare giorno dopo giorno soluzioni. E infine la costituzione della Comunità Teodora di cui voglio mettere in luce l’importante pratica del ricostruire le storie personali, andando nei luoghi d’origine e incontrandovi le persone rimaste nei ricordi, scoprendo in diversi casi come alla base di un disturbo psichico vi sia stata una violenza maschile taciuta, che ora siamo in grado di svelare, senza colpevolizzare la donna che l’ha subita, anzi liberandola, seppure siano passati tanti anni.

Ma nel libro c’è molto, molto altro. Un libro che ho letto tutto d’un fiato e che meriterebbe di essere studiato nei corsi professionali e universitari, compresa medicina e psichiatria, e da tutte le persone che si prendono cura di chi ha bisogno di aiuto perché la sua vita e anche la nostra non perda quel senso profondo che ci rende pienamente esseri umani.

 

(Il Quotidiano del Sud, 13 agosto 2016)

“Sai chi è Lina Scalzo?” di Franca Fortunato, e-Quaderni di Via Dogana, Libreria delle donne, Milano 2016, pp. 22

 

Luciana Tavernini fa parte della Comunità di Storia vivente di Milano

(Il Quotidiano del Sud)

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