3 Aprile 2020
il manifesto

Se la mitologia del «general intellect» cela lo sfruttamento

di Roberto Finelli


L’ultimo libro di Enzo Modugno, Il Cybercapitale («Dalla macchina per filare senza dita alla macchina per pensare senza cervello», manifestolibri, pp. 125, euro 12) propone tre tesi essenziali. Primo, la categoria di «general intellect» è un concetto mitologico che non serve a comprendere la realtà del presente, anzi la imbelletta e la mistifica; secondo, i cyberutopisti, come i teorici della moltitudine – che cadono nell’errore di ritenere che il nuovo mezzo di produzione con le tecnologie informatiche «non sia una macchina capitalistica ma la facoltà di pensare e di parlare» – sono lontanissimi dal frequentare e dall’intendere la lezione più rigorosa di Marx su Machinerie e Technologie; terzo, va allargata la categoria di postfordismo dalla struttura economica al «postfordismo sovrastrutturale», perché la dequalificazione radicale della scuola pubblica e delle università è segmento fondamentale e ormai interno al ciclo produttivo per la formazione di una mente superficiale e dequalificata, pronta a interagire e ad ubbidire ai codici delle macchine informatiche.

Con questo libro Modugno conferma che per tutta la sua vita di studioso e di militante ha continuato, con radicale coerenza etico-politica e con singolare fermezza di mente, a riflettere su quegli stessi temi che aveva cominciato a introdurre sulla rivista Marxiana già durante gli anni del ’68: come lo snaturamento e la mercificazione del sapere nel capitalismo moderno e la produzione diretta delle forme della coscienza sociale e del conoscere da parte della stessa produzione di capitale.

Così oggi con il suo Cybercapitale torna a parlarci di una pretesa società della conoscenza in cui, a ben vedere, la conoscenza è tutta nelle mani del sistema di accumulazione del capitale, dato che, con le nuove tecnologie, è codificata e depositata in macchine dell’informazione, che lavorano ed operano secondo modalità ed automatismi che sono al di fuori del cervello umano.

Coloro che ritengono che il capitalismo metta al lavoro la mente umana, oggi certamente in modo subalterno, ma con tutte le sue potenzialità riflessive, creative e immaginative, che potrebbero proprio per la loro potenza essere domani condizioni di trasformazione e rivoluzione – coloro che vedono nella forza lavoro solo una potenza di essere e per nulla una impotenza e povertà di essere – hanno, secondo Modugno, scarsamente ragionato, sulla eterogeneità profonda che esiste tra i codici dei linguaggi storico-naturali e i codici matematico-formali delle macchine informatiche.

Il computer infatti elabora, calcola e trasmette informazioni attraverso regole e procedimenti che devono la loro enorme velocità proprio al fatto che sono solo formali, ovvero calcoli di segni, indipendenti da ogni significato. I codici informatici cioè sono pensati e programmati ad un livello altissimo di astrazione il quale, sottraendo quei segni ad ogni contenuto interpretativo concreto, ne consente la matematizzazione. In questo senso il computer tratta informazioni ma certamente non conoscenza, se per conoscenza s’intende l’interpretazione, il senso, che un organismo vivente, o un individuo, o una classe sociale dà come possibile risposta ad una situazione aperta e problematica del suo ambiente storico-vitale.

La moderna invenzione di macchine che calcolano e trasmettono informazioni, come stringhe di punti e linee prima nell’alfabeto Morse, oggi con l’alternanza di 0 e 1 nel linguaggio dei computer, ha completamente separato l’informazione – come spiega Giuseppe Longo dell’Ens di Parigi – da ogni significato empirico, da ogni interpretazione concreta. L’enorme potenza nell’accumulare, elaborare e trasmettere informazioni oggi è fondata sulla possibilità di tradurre il codice alfabetico del linguaggio naturale in un codice numerico-matematico, che a sua volta viene tradotto in un codice elettronico basato su differenziali di energia.

In questo modo la trasmissione ed elaborazione di informazioni – si badi non di conoscenza – è divenuta una scienza matematica e l’informazione può essere formalmente elaborata, indipendentemente da ogni interpretazione, secondo norme di spostamento/calcolo di segni che prescrivono come scriverli e ri-scriverli. Tale opera di codificazione, di matematizzazione e meccanizzazione delle informazioni, è tenuta assai ben salda, sottolinea Modugno, nelle mani del capitale, che appunto oggi è divenuto Cybercapitale, e che per tale monopolio del sapere ridotto a informazione, e depositato nelle macchine, ha bisogno di un lavoratore mentale con un livello di qualificazione assai basso: purché capace di quelle generiche (nel senso di superficiali) attitudini linguistico-calcolanti che lo rendono abile a interloquire e a seguire passivamente la crescente capacità di calcolo e di decisione dell’apparato cibernetico.

Il mito del general intellect, di un conoscere sociale generalizzato, in cui ciascuno sarebbe in comunicazione con tutti, in rete con tutte le altre menti, mistifica e dissimula per Modugno una ben diversa realtà fatta da un lato di programmatori esperti di codificazione, che lavorano sugli algoritmi che automatizzano l’acquisizione e l’elaborazione dei Big Data, e dall’altro dalla moltitudine dei lavoratori dequalificati della mente, preparati a tal fine, e «cucinati a puntino», da una scuola/università evolutasi nell’ultimo ventennio, con l’ilare e sciagurato consenso di una buona parte della docenza, in una fabbrica di «vuoti a perdere».

Ma «Cybercapitale», va aggiunto, è un libro prezioso anche per la memoria storica, non solo teorica, ma politica e sociale, che, appunto a partire dal ’68, l’autore, da protagonista appassionato, ha accumulato nel corso della sua vita e che restituisce ora al nostro ricordo e alla nostra riflessione.


(il manifesto, 3 aprile 2020)

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