11 Settembre 2015
Corriere della sera

Sebben che siamo cuoche, il femminismo a tavola tra braci e padelle

Ricette condite di ricordi in un volume nato nelle cucine della Libreria delle donne di Milano

di Nicoletta Melone

Antipasto: Virginia Woolf. «Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è cenato bene». Con un dubbio di contorno. E se quella famosa «stanza tutta per sé» fosse una cucina? Magari assediata da un’ondata di chef vagamente maschilisti, sicuramente narcisisti, affamati di gloria e di potere? Una domanda che si spande, insinuante come il profumo di una torta sotto una porta, dalle pagine di un ricettario esile e colto, sfornato dalla Libreria delle donne di Milano: Fuochi – La cucina di Estia. Il nome della dea greca del focolare. Ma anche di un gruppo di inedite cuoche – sì, ma non soltanto – impegnate a nutrire «sia il corpo sia la tradizione del pensiero femminile» nella cucina del Circolo della Rosa, appendice cultural-gastronomica della libreria. Un luogo simbolo che affonda le radici negli anni Settanta della Milano in piazza con gli zoccoli. Tra slogan, impegno e sorellanza. «Il salotto più comodo del femminismo più scomodo». Ma il cammino è stato lungo. Accomodatevi ragazze che mangiamo qualcosa. Lo firmano, collettivamente come in altri tempi, con la sigla «cuoche varie», sei donne variamente impegnate, diverse q.b., ma comunque unite in un protettivo cerchio magico intorno al profilo di un piatto, di un tegame che ribolle. Da Rossella Bertolazzi a Ottavia Colabella, da Ida Farè a Clelia Pallotta e Annamaria Rigoni. Signore e storie assai assortite tenute insieme dal collante di un’impresa – politica e gastronomica – che non ha paura delle facili etichette, ugualmente distante dagli angeli del ciclostile e da quelli del focolare. Una passione comune, srotolata tra ricette e aneddoti, con divertita misura. Capace di avvolgere, dolce e consolatoria, il dolore di una madre che perde un figlio («Ho creduto – scrive Ida Farè – che il calore dei fuochi potesse sciogliere un poco il gelo dell’anima»). E impastata, sempre, di amicizie «nutrienti e nutrite senza secondi fini», come racconta Clelia Pallotta tra un patè e un bianco mangiare. Un gran fare, uno «strano sentire» buono per l’anima. Fresco come l’eco di un gruppo di giovani in costume che ride e giura, su uno scoglio, la bocca piena di focaccia: «Diventeremo grasse e intelligenti». Profumo di grandi promesse nell’aria, sullo sfondo il fumo – di sigarette e di tegami – di una combattiva cucina autogestita che soffrigge sogni in un sottoscala. «Dalle braci alle padelle». E pazienza se poi la vita cambia menu senza avvisarti.

(Corriere della sera, 11/9/2015)

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