27 Giugno 2021
il manifesto

Sexton e la scatola dell’immortalità

di Viola Papetti


«Eccola, arriva / – l’insonnia delle 3.15 – / … Mi piacerebbe una vita semplice. / Invece tutta notte ripongo / poesie in una scatolona. / È la mia scatola dell’immortalità, / il mio piano rateale, / la mia bara. / Tutta la notte ali cupe / sbattono nel mio cuore. / Ognuna un uccello ambizione». Con questa poesia, «L’uccello ambizione», apre Il libro della follia che Anne Sexton diede alle stampe due anni prima del suicidio nel 1974, anno del divorzio dal marito. Prima traduzione integrale in italiano, pubblicata da La nave di Teseo per la cura e l’ottima traduzione di Rosaria Lo Russo (collana «i Venti», testo inglese a fronte, pp. 212, € 18,00), Il libro della follia accoglie materiale disuguale, diviso in tre sezioni: «Trenta poesie», «Tre storie (in prosa)», «Carte di Gesù». 
Non ha lo straordinario impatto di Poesie d’amore (Le Lettere 1996, ristampa riveduta e corretta 2021, cura e traduzione di Rosaria Lo Russo, pp. 184, € 17,00), né di Vivi o muori che le fece vincere il Pulitzer nel 1966 e aumentò notevolmente i suoi guadagni di eccezionale performer, di rosso vestita. «Sono uscita, strega invasata, / a infestare le tenebre, più audace di notte; / sognando malefici, ho fatto i miei incantesimi» («Come lei»). Ogni performance seguiva un rituale fisso: «…completamente sbronza saliva sul palco, si toglieva le scarpe scagliandole via, accendeva una sigaretta e con meravigliosa sensuale voce gutturale elegantemente impostata, dava inizio alla fascinazione magica della Strega; la reazione del pubblico oscillava fra i due poli opposti dell’adorazione fanatica e del totale disgusto» (Lo Russo). Era nato il Poeta Pop, il Poeta Rock, il Poeta Femmina che parlava direttamente al cuore, alla testa, all’utero delle donne. «Tutto in me è uccello, / frullio d’ali. / Volevano asportarti / ma non lo faranno. / Hanno detto che eri smisuratamente vuoto / ma non è vero. / Hanno detto che eri affetto da malattia mortale / ma si sbagliavano. / Canti come una ragazzina. / Non sei ferito («In celebrazione del mio utero»). 
In Italia dal 1989 al 2010 si sono succedute ben otto raccolte di sue poesie ancor prima che fosse pubblicata l’edizione completa (Complete Poems, 1999), a cura dell’amica e poetessa Maxine Kumin. Va ricordata anche l’ottima scelta curata da Cristina Gamberi, La zavorra dell’eterno, ordinata cronologicamente (Crocetti 2016). Un ritratto di Anne Sexton tra lampi e fulgori lo ha elegantemente rifinito Caterina Ricciardi nel 2017 su «AliasD» (ora in: Novecento poetico americano, Edizioni di Storia e Letteratura 2021), e conviene tenerlo presente. Ricciardi ricerca la Sexton più segreta, più tragica «…nella coazione del lutto che è ciò che fa convergere parole sotto il segno della mutazione, spingendo all’evoluzione in altra entità, essenza, coscienza … E quale figura più liberatoria per tali rivoluzioni dell’anima se non un uccello?». Da Il libro della follia: l’ultimo volo dell’uccello metafisico nell’ultimo distico «Vuole morire cambiandosi d’abito / e sfrecciare verso il sole come un diamante» (autoironica?). Ma anche una poesia politica: «Noi siamo l’America. / Siamo i riempitori di bare. / Siamo i bottegai della morte. / Noi li imballiamo come casse di cavolfiori» («I bombaroli»). Presaga? «Mamma uccisa da uno sparo / e di me che ne sarà, che ne sarà di me? / Quando mi affiderò a uno sparo / come un pesce suicida all’amo?» («La Danza delle Figlie del Buffone»). Mistica? «Gesù dormiva immobile come un giocattolo / e in sogno desiderò Maria. / Il Suo pene ululava come un cane / ed Egli si rivoltò bruscamente da quella posa, / come una porta che sbatte. / Quella porta Gli spaccò il cuore / perché il Suo era un bisogno dolente. / Del Suo bisogno Egli fece una statua. / Col Suo pene per scalpello / scolpì la Pietà» («Gesù dormiente»). 
Non stupisce che ci fossero delle resistenze da parte di accademici americani e italiani. «La pubblicazione di Life Studies di Robert Lowell nel 1959 si situa come capovolgimento imprevisto nella poesia formalista e impersonale degli anni cinquanta – scrive Bianca Tarozzi in Poesia e regressione: Anne Sexton («Annali di Ca’ Foscari», 1973). Sexton e Plath avevano seguito il suo corso alla Boston University nel 1957. Nel 1959 esce la prima raccolta della Plath, Colossus, Sexton segue nell’anno successivo con Bedlam and Part Way Back, che il maestro aveva già letto, e il 1° dicembre 1961 le scrive: «Diverse poesie replicano grosso modo lo stile del mio Life Studies; il metodo e le emozioni (questo dipende non da imitazione ma da una esperienza simile – penso spesso e sento così, anche se scrivo altrimenti) mi sono familiari, e ora quasi ti invidio […] Quando qualcuno sa chi è, come hai fatto tu, e si denuda con questa profondità, è assurdo sottolineare i piccoli difetti […] Penso che il tuo prossimo libro costituirà un ulteriore passo avanti […] Stai cavalcando la marea e sei sola» (corsivo mio). 
Per conoscere meglio Anne Sexton e certa psicoanalisi degli anni cinquanta e sessanta è consigliabile leggere An Accident of Hope di Dawn M. Storczewski, che ha trascritto parte delle sedute di Sexton e del dottor Martin Horne che le ha rese disponibili. Dopo la nascita della seconda figlia, Sexton in preda a depressione post-partum aveva iniziato quegli incontri che dureranno quasi otto anni: tre volte alla settimana, e telefonate negli intervalli – ventotto anni lei, ventinove lui. A quella ricca casalinga, bella, intelligentissima, con modesta cultura, il dottore consigliò di scrivere poesie per occupare il tempo mentre cercava di farle accettare la normalità del suo destino di moglie e madre. Dopo sei mesi lei gli portò ben sessanta poesie. Il dottore non credeva alla poesia, e non si accorse di aver messo la sua impavida paziente non su una strada verso la normalità – la realtà «così com’è» secondo la sua definizione –, ma una strada ben più allettante e pericolosa. Benché nato a Vienna, da madre anche lei analista, non aveva letto Schopenhauer. «Non appena scendiamo in noi stessi e, drizzando la conoscenza verso il nostro interno, vogliamo renderci di noi consci appieno, ci perdiamo in un vuoto senza fondo, simile a cava sfera di vetro dal cui vuoto parli una voce, della quale non è possibile trovar nella sfera una causa; e mentre facciamo per ghermire noi stessi, rabbrividendo non afferriamo che un vuoto fantasma» (Il mondo come volontà e rappresentazione, citato da Remo Bodei, Sovrapposizioni, 2016). Lowell aveva avvertito il pericolo, e si era arrestato in tempo. 
Se in pieno Romanticismo un poeta assoluto come Keats ancora invocava Mnemosine come dispensatrice della divina Poesia, per cui era disposto a pagare con la vita stessa, non stupisce che nelle frange neo-romantiche un poeta naïf come Sexton ne ripeta la parabola, assegnando all’analista, l’amato dottor Orne, un ruolo che lui sempre rifiutò. Con voce drammaticamente impostata, lei affrontava i ripetuti mugolii di lui, non proprio silenzio, ma forse peggio. «Buffo che a lei non importi di me come poeta. Ma lei mi ha creato poeta. Lei si prendeva cura di me. Allora lei, io, creammo il poeta». Aveva coniato l’orribile termine «concreazione» per convincerlo. Ma fu del tutto inutile, e il dottor Orne partì per Boston, appena sposato. 
Ormai Anne Sexton appartiene alla genealogia eletta che nel Novecento ha ricalcato le orme della prodigiosa Emily Dickinson, insieme a Sylvia Plath, Amelia Rosselli… Aggiungerei Alda Merini, benché non suicida, che componeva poesie come un flusso senza argine di sorta. Ricoverata più volte in manicomio, subì l’elettrochoc, amò molto, e liberata finalmente dal suo utero, a tarda età si inventò affascinante performer accompagnandosi al piano mentre recitava le sue poesie, in un bar dei Navigli.


(Alias – il manifesto, 27 giugno 2021)

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